Rotola, rotola la sfera. Toccala, segui l’istinto. Hai provato a spingere, ma non si è spostata. Dopo tutto, siamo innanzi a 7 tonnellate di calcestruzzo, coadiuvate da un altro paio in acciaiosa struttura interna, grondante ruggine dal vertiginoso ombelico aperto. Eppure, ne sei certo: l’anno scorso era più in alto sul pendio. Ma è davvero lei ad essersi spostata, oppure quel destino si è verificato unicamente a carico di Ogni Altra Cosa Esistente?
È sempre interessante esaminare con lo sguardo una mappa e chiedersi: cosa è tangibile, cosa è immateriale? Un quesito che sostanzialmente corrisponde alla suddivisione che colloca da un lato mari, catene montuose, coste frastagliate… E dall’altro la segmentazione offerta da linee o punti puramente immaginari come i confini nazionali, i paralleli, l’equatore. Ma non è sempre del tutto impenetrabile la divisione tra questi due ambiti e può talvolta suscitare un senso di sorpresa, la subitanea consapevolezza che quanto sembrava creato con approccio arbitrario, fu in effetti la diretta risultanza di una pratica constatazione evidente. Esistono, ad esempio, quattro poli: quelli geografici e magnetici. E per quanto concerne i relativi Circoli, indicativi grosso modo di una zona dove la sopravvivenza umana può essere difficile (Artico) o risultare del tutto impossibile senza mezzi e tecnologie moderne (Antartico) è una mera tentazione la presunta idea che li vedrebbe disegnati dai geografi secondo i termini del proprio ingegno. Potendo vantare, tali anelli, la corrispondenza all’area geografica ove sussiste una precisa condizione: l’esistenza, nella progressione annuale delle rotazione cosmiche, di un solstizio con 24 ore di luce, l’estate. Ed uno con 24 ore di buio, l’inverno. Da qui possibilmente il senso d’avventura o esplorazione che deriva in seguito all’ingresso in tale area, facilmente celebrata grazie all’uso dei moderni ausili tecnologici dotati di sistema di posizionamento geostazionario terrestre. Eppure tanto spesso sembra che una simile esperienza, in qualche modo, dovrebbe essere commemorata dalla foto ricordo di un valido punto di riferimento, possibilmente un cartello, o una targa commemorativa posizionata ad hoc. Questa l’idea implementata lungamente presso l’isola abitata più settentrionale d’Islanda, l’accogliente ma gelida Grímsey, coi suoi moli da pesca, il villaggio di Akureyri abitato da 100 anime, la chiesa protestante ed un piccolo aeroporto, concepito soprattutto a vantaggio dei turisti. Che in larga parte sono spinti da quell’ambizione prototipica: toccare “con mano” (si fa per dire) la linea divisoria che conduce oltre l’estendersi oltre i confini esterni di quello che si tende a definire, per antonomasia, il Polo Nord. Ma un semplice bastone verticale recante palese dicitura non è sempre abbastanza, o almeno così sembrarono pensarla il sindaco e le altre autorità amministrative nel 2013, stanziando un milione di corone, corrispondenti a circa 6.800 euro, per la creazione di un monumento idoneo a evidenziare questo luogo dall’alta, benché impercettibile attrazione latente. Ed è qui che entra in gioco la figura spesso eclettica dell’artista concettuale Kristinn E. Hrafnsson…
spazio
Delizia degli ufologi, la terza pietra interstellare ci raggiungerà nel giorno del Sol Invictus
Fin da tempo immemore, l’intrinseco funzionamento della mente umana ci ha portato a venerare i corpi astrali, manifestazioni scintillanti di possibili divinità o entità superne. Persino nelle religioni monoteiste, come il Cristianesimo, la nascita di Cristo viene fatta corrispondere alla comparsa nella volta di un corpo cometario, la cosiddetta Stella di Betlemme, che guidò coloro che volevano rendergli omaggio fino al figlio o manifestazione prettamente antropica di nostro Signore. Ed è forse una fortuna, dal punto di vista di coloro che volessero classificare i molti culti nella storia delle religioni, il fatto che l’attrezzatura tecnologicamente limitata abbia in passato contenuto il numero di quei fenomeni, che gli aspiranti profeti potevano indicare ai propri sostenitori nelle ore che si frapponevano tra il tramonto e l’alba con voce tremula e sguardo (temporaneamente) offuscato da rivelazioni trascendenti. Poiché al sopraggiungere dei tempi odierni, il metodo scientifico ha ormai da tempo smascherato l’occorrenza sistematica delle coincidenze, con appena 365 giorni di calendario a disposizione per il compiersi degli eventi predestinati, inclusi fenomeni galattici di proporzioni tali da poter essere osservati ad occhio nudo. Ma persino i più potenti telescopi di cui possiamo disporre, risultano condizionati da particolari limitazioni…
Immaginate dunque la sorpresa degli addetti presso l’Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System (ATLAS) di Río Hurtado, Cile, quando lo scorso primo luglio ciò che avevano fino a quel momento classificato come un tenute asteroide iniziò a spostarsi di qualche grado, dimostrando nel contempo alcune delle caratteristiche tipicamente associate alle comete: una chioma marginale, una coda di 3 secondi d’arco ed una possibile nube di polvere capace di oscurare il suo nucleo rotante. Essendo nel contempo identificabile, causa la sua traiettoria eccessivamente tangente ed oltremodo rapida, come un oggetto proveniente da regioni ben più distanti della nostra familiare nube di Oort, così come gli altri due predecessori provenienti da regioni astrali cosmiche identificati fino ad ora, 1I/ʻOumuamua del 2017 e 2I/Borisov del 2019. Doverosamente denominato, a questo punto come 3I/ATLAS rendendo onore al sito da cui era stato avvistato. Per una classificazione relativamente preoccupante proprio perché il nostro più avanzato centro di ricerca sugli oggetti cosmici vaganti aveva identificato il “rischio” relativamente tardi, a 670 milioni di Km di distanza dal Sole ed appena 171 giorni dal perielio (momento di massima vicinanza con la Terra) corrispondente a circa 268 milioni di chilometri dalla nostra cara, vecchia e vulnerabile sfera di fango. Laddove obbligatorie risultano essere virgolette in quel contesto, vista la distanza proiettata a rimanere sempre significativa, soprattutto rispetto ai pianeti che saluterà molto più da vicino di Giove (53 milioni di Km) Marte (29 milioni) e Venere (97 milioni). Il che costituisce, nel contempo, il nocciolo primario dell’interessante problema. Essendo tale tripla congiunzione molto atipica, al punto da costituire una reale coincidenza, per la maniera in cui il corpo in questione giunge non soltanto alla velocità vertiginosa di 68,3 Km al secondo, ma riesce a farlo con un asse in alcun modo tangente al piano di rotazione orbitale del Sistema Solare, quasi come se un mandante sconosciuto avesse inteso proiettarlo in modo tale da massimizzare il numero di tali incontri. Aggiungente a tutto questo la maniera in cui l’attività di vaporizzazione glaciale, tipica delle comete, sia iniziata in questo caso molto più lontano del previsto, come se qualcuno/qualcosa avesse intenzionalmente acceso una sorta di motore, per comprendere come la cometa abbia già sollevato i soliti dubbi sulla sue possibili… Intenzioni…
La scultura fuori dal contesto che mostra la quarta dimensione facendo muovere il tesseratto
Seduto a gambe incrociate nella mezza posizione del loto, sollevo lievemente le mie palpebre al momento esatto in cui lo spaziotempo sembra essere piegato da una vibrazione transiente. Per molti giorni ho meditato, sopra l’arieggiata roccia del Karakorum, alla ricerca della logica ragione delle forme. Il profilo che ora scorgo dominare sulla valle sottostante mi dimostra, finalmente, che avevo una valida regione per farlo. I 32 spigoli ed i 16 angoli della suprema manifestazione appaiono traslucidi ed opalescenti, nello sforzo di permeare la membrana sull’ultimo confine del nostro affollato angolo del mondo. Per volere di una mente ferrea, ed il bisogno di scoprire l’ultima ragione delle cose, l’ultima barriera infine si divide. E con un’inaudibile boato, l’ipercubo è giunto. Ma l’Universo non riesce veramente a contenerlo. Esso esiste, eppure al tempo stesso sfugge in parte alla spaziale comprensione. Nessun aspetto della geometria divina esimersi dal continuare a farlo. Dunque con il movimento e la continua danza dei maestosi astri, l’insieme dardeggiante non potrà davvero porre fine alla sua rotazione persistente. Spinto da una forza che lo porta a ripiegarsi in modo ricorsivo su se stesso, ancora e ancora, dando luogo all’incessante nascita della sua stessa ombra. Con un profondo respiro, chiudo nuovamente gli occhi. Mentre la mia mente incorpora i concetti che conducono alla quarta dimensione dell’Esistenza.
È una visione per certi versi mistica ed in effetti quanto meno straniante, quella che aspetta i partecipanti al tour guidato del complesso Science Gateway presso l’istituto di ricerca del CERN di Ginevra. Dove tra le varie installazioni dedicate in modo esplicito a suscitare un interesse per la fisica nelle nuove generazioni, campeggia fin dall’inaugurazione del 2023 una scultura cinetica dall’aspetto e funzionamento straordinariamente particolari. Trattasi di Round About Four Dimensions, creata dagli artisti tedeschi Julius von Bismarck e Benjamin Maus, con la collaborazione tecnica del fornitore industriale CNC24. Molto più che un semplice cubo e al tempo stesso, qualcosa di diverso da un comune oggetto costruito sulla base di cognizioni logiche e immanenti. Trattandosi nei fatti della propria stessa evidenza, di una delle proiezioni matematicamente possibili di qualcosa di trascendente, ovvero l’ipotesi visuale, resa popolare per la prima volta dall’autore di fantascienza ante-litteram Charles Howard Hinton nel 1880 che l’aveva chiamata il tesseratto, della più basilare forma geometrica capace di coinvolgere un’ulteriore dimensione oltre alla terza. Immaginate dunque un punto immobile nell’infinito, che guadagni un suo compagno permettendo l’esistenza della linea. Che venga successivamente estrusa lungo il piano orizzontale, aggiungendo a quell’immagine mentale il concetto di un quadrato. Il quale sollevandosi verticalmente, darà origine al primo volume nell’insostanziale permanenza. Ed infine nella risultante comunione di elementi, la creazione risultanti inizi a estendersi verso una direzione ulteriore. Che non è l’interno né l’esterno, ma piuttosto entrambe le cose, lungo l’asse imperscrutabile del Tempo…
La complessa verità spagnola del grande spazio bianco che nutre l’Europa
L’annientamento pressoché totale della natura in quanto principio non-umano dell’esistenza può assumere molte guise o colori. Il meno probabile dei quali, nella maggior parte delle circostanze, è il verde. Tonalità considerata maggiormente rappresentativa di vegetazione, foreste, persino i campi coltivati che a loro modo, possono costituire uno spazio sicuro per fauna benefica quali insetti impollinatori, lombrichi, uccelli migratori. Esiste tuttavia un contesto, quello dell’agricoltura intensiva, in cui questa felice comunione cessa totalmente di sussistere. Anche per il semplice fatto, tra molti altri, del tetto che ricopre le coltivazioni create con al centro delle aspettative l’esigenza di riuscire a soddisfare l’economia di scala contemporanea. Che nella comarca andalusa di Poniente Almeriense, in corrispondenza della costa meridionale della Spagna con epicentro presso il comune di El Ejido, un’intera zona di 260 Km quadrati possa essere stata sottoposta a tale trattamento, è d’altra parte una questione raramente discussa o sottoposta ad alcun tipo di osservazione o regolamento da parte dei legislatori europei. Forse perché tale zona dove tutto è bianco, per l’effetto riflettente di un distretto che si estende fino all’orizzonte ed oltre, è ormai da molte decadi una condizione necessaria a rifornire tutto l’anno un’alta e significativa parte dei supermercati europei.
L’idea che molti tipi di frutta non abbiano più una vera stagione, il fatto che mangiare l’insalata d’inverno sia del tutto normale, l’esistenza stessa di concetti come la macedonia fuori da periodi molto particolari o i dolci di Natale al cioccolato ad ogni latitudine sono la diretta risultanza di una serie di processi sviluppati soprattutto nel corso dell’ultimo secolo, grazie all’evoluzione dei trasporti ma anche e soprattutto la creazione di hub produttivi dall’elevato grado di efficienza procedurale. Luoghi dove la crescita vegetale è sostanzialmente cadenzata da gesti del tutto artificiali e l’aspetto meteorologico del clima, fatta eccezione per grandinate o tempeste particolarmente distruttive, non viene semplicemente calcolato all’interno dell’equazione. Dal che nasce il cosiddetto Mar de Plástico, così soprannominato successivamente alla pubblicazione di una foto satellitare da parte della NASA in cui questo paesaggio emerge prepotentemente tra i profili del Vecchio Continente, contrastando in modo netto tra la terra brulla e il blu profondo del Mar Mediterraneo. Come una megalopoli ma interamente dedicata alla coltivazione di cose come pomodori, cetrioli, melanzane, peperoni, meloni, cocomeri ed innumerevoli altri “doni” della terra, sotto un telo di poliestere del tutto o parzialmente trasparente. Distribuito in quello che costituisce la spropositata equivalenza di un vero e proprio labirinto di stabilimenti, costruiti l’uno a ridosso dell’altro. Ed angusti pertugi riservati agli spostamenti umani, dove l’aria circola soltanto in quantità e modalità limitate…



