La squadra dei minatori del primo turno, non ancora spossati dalle dure fatiche della giornata, sembrò fermarsi d’un tratto, come percorsa da un brivido di assoluta pertinenza situazionale. “L’orologio biologico non sbaglia mai!” era solito enunciare il cugino Jack al sopravvento del rosso solare, con il suo marcato accento della puntuta penisola meridionale. In questo Momento, Adesso, Ora, era venuto il momento. Di appoggiare temporaneamente i picconi. E mettersi tutti quanti a mangiare. Così poco prima di udire il familiare richiamo della pausa, comparve il cesto coperto da un telo ed appeso alla corda nel tunnel dell’ombelico verticale. La presa d’aria e pertugio dal tetro lucore da cui, di tanto in tanto, venivano liberati i canarini. E da cui adesso giungeva il grido, acuto ma musicale, delle mogli e figlie all’altro capo della massa indivisa della vecchia montagna: “Oggie! Oggie! Oggie!” Pace, sollievo, profumo di casa. Ed oggie che furono tirati dall’audace contenitore, uno alla volta e distribuiti tra gli uomini da un capo all’altro dell’antro scavato con la forza delle loro stesse mani. Per poi rispondere “Oi! Oi! Oi”, il concordato segnale, ovvero, necessario affinché le donne potessero tirar su di nuovo il vimini consacrato. Ma qualcosa d’insolito avrebbe colpito, in questa sequenza, gli uomini avvezzi soltanto alla vita di superficie: giacché ciascun scavatore, piuttosto che afferrare tranquillamente il fagotto di carne o verdura costituente il pasto tradizionale del suo mestiere, lo teneva da un lato, avendo cura di toccare il meno possibile la crosta di pasta frolla che costituiva l’involucro del ripieno. E così al compiersi dell’atmosfera conviviale, completato il breve ancorché lauto pasto, ciascuno di questi “cugini” (erano tutti parenti, laggiù, e poco importava dell’altrui discendenza) sollevava l’ultimo pezzo del proprio pasty, pronunciando qualcosa d’inaudibile soltanto con il movimento delle labbra. Quindi lo gettava nel buio di uno scarico dei materiali, misteriosamente interconnesso al sofisticato reticolo dei tunnel del livello inferiore. E se soltanto avessimo avuto il potere sovrannaturale, in quel solenne momento, di udire la voce di ognuno, avremmo udito la ripetuta locuzione: “Un morso per il knocker, un boccone per il tommyknocker. Che possa preservarmi fino alla fine del turno e nel prossimo a venire.”
Usanza folkloristica, di sicuro. Semplice scaramanzia apotropaica cui nessun individuo dal senso pratico, come necessariamente doveva essere chi lavorava nelle profonde cave di estrazione dello stagno in epoca pre-moderna poteva realmente credere nel profondo del proprio Io razionale. Benché i praticanti di tale ambito, ciascuno concentrato nel fare la propria parte, fossero soliti udire comunemente quel suono battente, un colpetto ripetuto nell’oscurità tenebrosa in fondo alla galleria, che tanto spesso si palesava qualche attimo appena prima della catastrofe da cui conseguiva il crollo. E non era difficile convincersi che fosse davvero un qualche tipo di creatura sovrannaturale a produrlo, con l’intento di proteggere coloro che gli rendevano omaggio, rispettavano le leggi della ragionevolezza e della natura, non tradendo i compagni, non rubando al prossimo, lasciando sempre un po’ di minerale al termine della vena, affinché il knocker potesse gloriarsi anch’egli del necessario ritrovamento di quel tesoro. Giacché dall’analisi introspettiva della questione, gli uomini della Cornovaglia furono sempre certi di una cosa, sopra ogni altra. Chiunque abitasse nel sottosuolo delle miniere, poteva essere soltanto un loro collega. E per quanto contenuta nelle dimensioni, il che spiegava la sua natura inerentemente furtiva, perfettamente attrezzato con strumenti di piccola ma formidabile fattura…
Inghilterra
Viaggio fantastico tra pennelli di mosca e frammenti di polvere intagliati a misura
Una delle storie più frequentemente ripetute dall’artista britannico Willard Wigan nel corso delle sue interviste riguarda il processo formativo dei suoi anni scolastici ed il modo in cui un’esperienza negativa lo condusse, per via indiretta, alla laboriosa ricerca di un continuo perfezionamento. Per il modo in cui negli anni ’60, tra l’ignoranza generale delle condizioni collegate alla dislessia e la sindrome di Asperger, i suoi insegnanti lo maltrattavano ed eleggevano ad esempio negativo, causa l’incapacità di leggere e scrivere in maniera analoga ai suoi compagni. “Non sei nulla, e non farai mai nulla” gli dissero. E così lui scelse qualcosa d’invisibile con l’intenzione dichiarata di renderlo grande. Il secondo aneddoto preferito si svolge invece nel 2008 e riguarda la creazione di uno dei suoi capolavori, ritraente Alice nel Paese delle Meraviglie al tavolo del Cappellaio Matto. Ed il modo in cui, a seguito di uno squillo imprevisto del cellulare ai margini del tavolo, inalò improvvisamente, finendo per mandare la protagonista in un’oscura e inconoscibile caverna: il pertugio verticale e umido dei suoi stessi condotti respiratori.
Un destino, per così dire, anatomico poiché microbica è l’implicita natura di quanto stiamo definendo. Qualcosa di tanto piccolo da risultare spesso invisibile a occhio nudo. Pur non essendo irraggiungibile, così ci è dato rilevare grazie ai semplici trascorsi dell’evidenza, tramite l’impiego delle dita e mani esperte di qualcuno che scelto una strada. E nei 68 anni della propria vita ricca di trionfi e soddisfazioni, l’ha percorsa fino ai limiti più estremi dell’umana indole creativa. Con plurime mostre di largo successo all’attivo e la comparsa in diversi programmi televisivi nazionali e all’estero, egli è diventato in effetti il sinonimo di un tipo di scultura precedentemente inesplorata al di fuori di qualche singolare esperimento, consistente nel creare riconoscibili miniature, di personaggi fantastici, individui effettivamente vissuti o celebri opere d’arte, all’interno di spazi eccezionalmente ridotti, come la cruna di un ago o la punta di uno spillo. Usando materiali quali pezzi di filo, fibre tessili o persino dei granelli di polvere, attentamente modellati nel corso di giorni o settimane tramite l’impiego di una selezione di strumenti assolutamente fuori dal comune. Oggetti come schegge di diamante incollate a uno stuzzicadenti, fili di nylon ripiegati come fossero un uncino e punte affilate pronte ad essere inserite in un trapano, se tali attrezzi elettrici potessero misurare appena una frazione infinitesimale di un’unghia umana. Semplicemente inimmaginabile risulta essere il livello di mano ferma e precisione necessaria per l’ottenimento di uno dei suoi prodotti finali, il cui livello di dettagli sfiora letteralmente il maniacale. Vedi il caso nel 2019 della sua statua equestre del Principe Alberto (il marito della Regina Vittoria) misurante circa 0,005 millimetri di altezza, le cui medaglie appuntate sulla giacca erano comparabili nelle proporzioni ad un monocita o globulo bianco. Tanto da richiedere, per la riuscita realizzazione di un pezzo, un condizionamento e circostanze particolari, tra cui una casa in periferia ed orari di lavoro per lo più notturni, al fine di evitare vibrazioni veicolari, ma anche il controllo del proprio respiro e persino il battito cardiaco, laddove avvicinare le mani ad un pezzo senza particolari accorgimenti diventa, al di sotto di determinate proporzioni, del tutto simile a colpirlo con la forza di un martello pneumatico…
La storia frammentata e il destino ignoto del tesoro che avrebbe restaurato la monarchia inglese
Fin dagli albori dell’Era Moderna, l’invenzione del concetto di politica internazionale fu sfruttato dai monarchi del tempo per ampliare e consolidare la propria sfera d’influenza, sia tramite approcci diplomatici che altri, non propriamente trasparenti in termini di legittimità e meccanismi procedurali. Quel sostanziale tipo d’ingerenze, è ciò a cui sto facendo riferimento, i cui effetti ancora oggi lamentiamo nell’instabilità inerente di determinate zone del mondo, dove l’esistenza di correnti politiche contrapposte trova l’alterno sostegno di potenze straniere, interessate in modo enfatico ad alimentare il fuoco del cambiamento. Spostandoci all’indietro lungo l’asse temporale, tuttavia, appare chiaro come tali pratiche andassero consuetamente incontro a contrattempi di natura fondamentale, dovuti soprattutto a quel fenomeno, tattico e strategico, che viene convenzionalmente definito “nebbia di guerra”. Abbagliati e fuorviati quotidianamente da notizie non verificabili, che possiamo quanto meno fare in modo di filtrare in parte grazie al senso critico, oggi non possiamo neppure cominciare a immaginare cosa volesse dire non poter disporre dei mezzi di comunicazione attuali, portando i potenti a prendere le decisioni sulla base di dispacci risalenti a settimane, se non mesi prima della data corrente. E di certo non lo avevano in mente Luigi XV di Francia e Filippo V di Spagna, quando allo scoppio della ribellione Giacobita del 1745 in Scozia decisero di comune accordo che fosse giunta l’occasione di destabilizzare gli attuali schemi di potere delle Isole Inglesi. Agevolando la potente dinastia dei protestanti Hannover, tramite il ritorno in patria del solido pretendente Charles Edward Stuart, anche detto il Bonnie Prince. Colui che, ultimo in ordine di tempo, vantava una diretta discendenza da Giacomo II d’Inghilterra, figlio a sua volta del Re cattolico decapitato Carlo II, così eliminato all’inizio della gloriosa (e sanguinosa) Rivoluzione di esattamente un secolo prima. Eroe possibile cresciuto in un confortevole esilio, per quanto potesse esserlo nella sofferta consapevolezza di aver subito un’ingiustizia di fronte alle leggi di Dio e del mondo, finché in seguito alla visita presso la sua residenza parigina di numerosi sostenitori della cosiddetta causa giacobita, si convinse di poter guidare un esercito composto dai clan scozzesi assieme ad un certo numero di alleati stranieri. Per cambiare, nel nome della giustizia, il corso sostanziale della Storia.
Fu dunque dopo il proprio sbarco ed alcune vittorie tutt’altro che decisive a Prestonpans e Carlisle, con la creazione di una corte itinerante di consiglieri e sicofanti, che l’aspirante si rese conto di come i rinforzi promessi non sarebbero mai effettivamente arrivati. Sostituiti, se non altro, da ingenti risorse pecuniarie, la cui consegna nei tempi utili si sarebbe rivelata tutt’altro che garantita. Un primo carico di 400.000 livres d’oro iniziò il proprio viaggio nel marzo del 1746, a bordo dello sloop francese Hazard, effettuando la traversata senza incidenti fino all’arrivo 20 giorni dopo presso le secche di Tongue nelle Highlands Nord-Occidentali, dove l’imbarcazione finì per restare bloccata. Poco prima dell’arrivo della fregata inglese HMS Sheerness, che costrinse gli uomini a scaricare in tutta fretta il tesoro. Ben presto catturato, senza troppe difficoltà, da membri in armi del clan Mackay, alleati del governo britannico hanoveriano. Il che sarebbe stato un mero antefatto, dell’ingente quantità di ricchezze destinate a scomparire in quei mesi caotici e decisivi…
Nel vuoto cosmico della cava, un monumento sferoidale alla preziosa biodiversità terrestre
Semplificazione ereditata dalle antiche usanze è l’atto di descrivere lo spazio sovrastante al nostro mondo come “volta” o “arco” celeste, laddove l’atmosfera che ha lo scopo di proteggerci dal vuoto cosmico ha piuttosto le caratteristiche oggettive di una sfera. Costituita dagli strati sovrapposti di sostanze gassose ed un campo magnetico non del tutto permeabile alla radiazioni, condizione necessaria all’insorgenza e prosperità della vita per come la conosciamo. Basta rivolgere lo sguardo verso l’alto, d’altro canto, per capire in quale modo le metafore imperfette possano essersi concretizzate nello spazio ideale della mente delle persone. Giacché una prospettiva naturalmente incompleta è quella che si offre allo sguardo dei costruttori. Che nel tentativo di tradurla in modo comprensibile, ricorsero a concetti architettonici che potenzialmente fossero capaci di replicare. Prendiamo, per esempio, una cupola. Strumento che racchiude o protegge. Scudo nei confronti dei fattori sussistenti, come la pioggia, il vento o il gelo. Una membrana in grado di dividere l’esterno dall’interno. Donando a quest’ultimo la capacità di esistere in maniera indipendente dai fattori contestuali di appartenenza. E giungendo a posizionare un’intera foresta tropicale, ad esempio, nell’ambiente alquanto freddo e relativamente umido di una miniera di caolino dismessa sui confini della Cornovaglia.
15.600 metri quadri totalmente sigillati come nelle astronavi teorizzate dallo scrittore di fantascienza britannico Stephen Baxter dunque, il progetto Eden costituisce la fetta presa in prestito ed attentamente tutelata di uno degli ambienti maggiormente distintivi del nostro inconfondibile pianeta. Ciò che nasce, cresce e si rinnova rigoglioso in lande prossime alla linea equatoriale, qui tradotte in una serie di parametri del tutto sotto controllo grazie alla regolazione dei sistemi tecnologici di pompaggio e condizionamento dell’aria. In cupole geodetiche, del tipo spesso utilizzato per le serre di maggiori dimensioni. In due gruppi reciprocamente interconnessi di quattro e due, di cui il secondo e più piccolo (“appena” 6.500 mq) risulta di suo conto dedicato all’ambiente vegetale del bacino del Mediterraneo, polo forse meno esotico proprio perché conosciuto in prima persona da una maggior percentuale di abitanti della parte Nord del mondo. Sebbene qui lo scopo di riuscire a conquistare il pubblico venga servito da numerosi fattori collaterali, tra cui i cartelli informativi, le passerelle panoramiche, le guide turistiche ed i narratori per i visitatori più giovani. In quella che riesce a profilarsi come un tipo raro di attrazione turistica, un polo dei divertimenti al tempo stesso scientificamente utile e culturalmente edificante. Nato, come altri luoghi simili nel territorio insulare del Regno Unito, grazie ai fondi elargiti dallo stato per l’impegno a promuovere i contributi e la capacità di quel paese al concludersi del secondo millennio. Soprattutto grazie al contributo creativo e la capacità di visione posseduta da un paio di figure chiave…



