Il primo viaggio tridimensionale tra le stalagmiti diafane dell’Universo

Se lo spazio fosse veramente “vuoto”, che cosa impedirebbe ai nostri occhi di vedere l’infinito? Verso i limiti delle galassie ed oltre, fino al confine esterno che può essere teoricamente occupato dalla materia. Ma il vuoto assoluto non ammetterebbe nulla, neppure l’esistenza dello spazio. E dunque fu l’astronomo di Potsdam Johannes Hartmann, già nel 1904, a ipotizzare la presenza di un qualcosa di sospeso tra gli oggetti solidi ed incandescenti, il pulviscolo della creazione senza tempo. Mezzo interstellare, saremmo giunti in seguito a chiamarlo, utilizzando un termine coniato dal grande filosofo naturale del XVII secolo, Sir Francis Bacon. Ma conoscere empiricamente un qualcosa, dalle linee spettrografiche misurate dai telescopi, e vederlo fisicamente con i propri occhi, non è propriamente la stessa cosa. Sarebbe toccata soltanto a John Charles Duncan, esattamente 16 anni dopo, l’opportunità di scorgere per primo un’ombra amorfa sul fotogramma registrato dall’Osservatorio del Monte Wilson, simile alle affusolate propaggini di una medusa. O il tipo di formazione estrusa, che tipicamente si protende dal pavimento calcareo di un caverna. Naturalmente, non fu possibile a quel tempo approfondire oltre la questione. Ne trasformare la vaga ed offuscata immagine in qualcosa d’apprezzabile dal senso comune, neppure tramite l’attenta elaborazione da parte di un artista. Ci sarebbe voluto quasi un secolo affinché il più avanzato telescopio mai costruito dall’uomo, trasportato fino alla bassa orbita terrestre nella capiente stiva dello Space Shuttle, fosse puntato quasi casualmente nella stessa regione del cosmo. Ottenendo immagini che avrebbero sfidato la portata stessa dell’immaginazione umana. Il nome gli fu attribuito pressoché immediatamente, non per l’iniziativa di un singolo ma per quanto ci è offerto di presumere, grazie al comune accordo degli addetti alla missione cinque anni dopo che la super-telecamera spaziale aveva cominciato a trasformare la nostra percezione dello spazio esterno. I Pilastri della Creazione debuttarono in tal modo, il primo aprile del 1995, con riferimento ad un celebre sermone del predicatore battista Charles Spurgeon: “L’infinito è diventato un neonato; Colui, sulle cui spalle poggia l’Universo, che a sua volta è poggiato al seno di sua madre; Colui che ha creato ogni cosa, e sorregge i pilastri della creazione, è adesso diventato così debole da dover essere portato da una donna!”
Ma il doppio senso interpretativo era persistentemente in agguato. Poiché la creazione nel presente caso più che agire come causa, costituiva l’essenziale effetto dell’abnorme e indefinibile ammasso di materia. Forse una delle più impressionanti, e senz’altro la più celebre, di tutte le forge stellari a noi note…

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L’imperscrutabile mappa del cosmo nella culla del Buddhismo Theravada

Il mito trasversale delle Antiche Conoscenze è un filo conduttore che collega non soltanto i popoli di angoli diversi della Terra, ma anche momenti particolarmente distanti nella vicenda cronologica dell’uomo. Ci sono conclusioni empiriche che d’altro canto possono variare, sulla base del contesto e le precipue circostanze vigenti. Mentre l’utilizzo di concetti aleatori, per loro stessa e implicita natura, può permettere l’arrivo a conclusioni che potremmo definire a tutto tondo, Universali. O in altri termini dei tondi che contengono, in maniera metaforica, l’intero Universo. Proprio questo è d’altra parte il punto di partenza di un soggetto grafico come il mandala o yantra, ideale diagramma pensato per rappresentare in un sol colpo gli abitanti della Terra e tutto ciò che hanno intorno. Invenzioni risalenti all’Induismo arcaico, quando i teorici di un clero eterogeneo presero l’ambiziosa decisione di mettere in chiaro la disposizione del Creato e tutto ciò che vive, o agisce al suo interno. Il che significa da un alternativo punto di vista, che in tale approccio analitico alla disquisizione di Ogni Cosa ricorrono tematiche appropriatamente coordinate. Luoghi e punti di partenza come fili di collegamento di un pensiero profondo. Ma che dire della mente estrosa e spesso imprevedibile, degli estrosi? Coloro che mediante il tratto del proprio pennello, o i molteplici colpi del cuneo utilizzato per incidere la pietra (come in questo caso) potrebbero essersi impegnati per dar forma ad un sentiero alternativo nondimeno pertinente alla questione che intendevano tramandare. Con risultati spesso… Interessanti.
Il Sakwala Chakraya è un disco inciso del diametro di 1,9 metri su una parete rocciosa perfettamente verticale all’interno del giardino Ranmasu Uyana, parte del complesso monumentale della città cingalese di Anuradhapura, famosa per essere stata tra le altre cose la capitale del regno omonimo, durato dal 417 al 1.017 d.C. Sei secoli durante i quali, trasformandosi in un centro di riferimento culturale ed economico, vide convergere tra i suoi palazzi e residenze le considerevoli risorse necessarie a costruire alcuni dei templi più notevoli del Mondo Antico, tra cui il grande stupa destinato ad ospitare le offerte per il Buddha di Ruwanwelisaya, alto 103 metri e di un diametro di 290. Ciò che trova rappresentazione in questo sito comparativamente piccolo e considerato spesso degno di poco più di una nota a margine sulle guide turistiche, è il tipo di creazione culturalmente difficile da collocare, se non proprio e totalmente fuori da qualsiasi tipo di perimetro concettuale determinabile a posteriori. Con figure, immagini e forme geometriche dal significato poco chiaro che parrebbero d’altronde suggerire, alle menti particolarmente aperte, la possibilità di una visione delle cose diametralmente contrapposta a quelle di cui abbiamo già notizia…

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L’enorme distruttore che costituisce il nucleo più potente mai osservato dall’uomo

Tentando di considerare quale sia la presenza di maggiori dimensioni che riesce a passare inosservata, le persone comuni tendono a vagliare insetti, piccoli mammiferi, presenze notturne come pipistrelli o gufi. Mentre gli astronomi rivolgono la mente a nubi gassose o pianeti raminghi, possibilmente liberati dalla presa gravitazionale della loro stella. Semplicemente esiste un ordine di luminosità e grandezza, oltre il quale non è facilmente immaginabile l’assenza di una presa di coscienza, per il tramite di annotazione sui diari condivisi della nostra memoria. Ma che dire, invece, di tutti quei casi in cui una cosa tende ad essere fraintesa? Come quando nel 1980, durante il Sondaggio Stellare del Cielo Meridionale del telescopio ESO in Cile, a un punto luminoso tra milioni venne attribuito il numero di serie J0529-4351, tale da porlo in mezzo al novero di una delle tante tra quelle che vengono comunemente dette stelle fisse dei cieli. Benché molti siano perfettamente coscienti della maniera in cui lo splendore di un corpo ardente possa dirsi la diretta risultanza di due fattori: potenza e distanza. Così che la prima possa essere, talvolta, sottovalutata per sbaglio. Stiamo parlando in altri termini della maniera in cui l’impiego della matematica computerizzata o meglio un tipo di ragionamento automatico su parametri regolarmente imposti possa, in determinate circostanze, condurre a conclusioni errate. O “piccoli” errori della portata di sette milioni di anni luce, ovvero 15.000 volte la distanza tra il nostro Sole e il pianeta Nettuno. Questa l’effettiva ampiezza, dunque, dell’alone circostante la “cosa” che possiamo conseguentemente definire straordinariamente distante ed in funzione di ciò, antica. In quanto altrimenti, non sarebbero ancora trascorsi i 12 miliardi di anni necessari affinché la sua presenza potesse rendersi visibile anche da questo particolare distretto dell’Universo. Due fattori a dire il vero non direttamente correlati quando si considera che siamo necessariamente innanzi al tipo di oggetto cosmico chiamato tradizionalmente quasar, fin da quando nel 1964 l’astrofisico Hong-Yee Chiu ebbe la necessità di riferirsi ad un qualcosa che era Quasi una Stella, ma non Proprio. Anni sarebbero trascorsi, conseguentemente, affinché l’utilizzo di strumenti d’analisi maggiormente avanzati permettessero di comprendere di cosa stavamo effettivamente parlando: il tipo di di orizzonte degli eventi, simile ad un letterale uragano galattico, che ruota attorno ad un buco nero supermassiccio o SMBH. Categoria entro cui la massa complessiva viene misurata normalmente in milioni o miliardi di volte la nostra insignificante stella o come in questo caso, oltre 500 trilioni (milioni di bilioni o 1 milione alla terza) tale entità specifica misura. O per usare un’altra metodologia internazionalmente beneamata molti, moltissimi campi da football americano. Abbastanza a dire il vero, da farne di gran lunga l’oggetto più potente mai osservato da occhi umani…

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Cosa farete quando la cometa diabolica sfiorerà con le sue corna l’orbita del pianeta Terra?

Che l’uomo antico amasse le metafore e la creazione di similitudini eleganti, mentre quello contemporaneo cerca soprattutto di coinvolgere ed intrappolare l’inconscio ad un livello quasi istintivo, è largamente desumibile dai rispettivi criteri utilizzati per denominare le diverse tipologie di corpi celesti. Laddove il primo, pensando alle costellazioni delle stelle fisse, decise d’identificarle con i termini di animali, figure mitologiche o i personaggi del suo canone di leggende. Mentre l’ennesima questione prettamente scientifica, relativa ad un’anomalia di media rilevanza nel comportamento di una cometa di corto periodo relativamente simile a quella di Halley, ha visto accumularsi nel corso degli ultimi mesi termini come diabolica, infernale, apocalittica ed esiziale. “Grande tre volte il monte Everest” o “Più vasta di un’intera città” Con continue menzioni di corna, braccia infuocate, scie minacciose… Nonché notazioni formalmente corrette, vedi quella relativa alle multiple esplosioni verificatosi nel corso dell’ultimo anno. Che vedendo accelerare ulteriormente il bolide denominato 12P/Pons–Brooks fino alla velocità di 65.000 chilometri orari, l’ha vista perfezionare ulteriormente la propria rotta dirigendosi con fare minaccioso all’indirizzo del pianeta Terra. Il che, approcciandosi alla questione da un punto di vista meramente statistico, non basterebbe in alcun modo a incrementare il senso di pericolo che incombe sulle nostre teste. Ma poiché un’aspetto della mente umana che accomuna sia gli antichi che i moderni, da che sussiste l’intenzione pratica di approfondire e studiare il mondo, è una capacità non particolarmente sviluppata d’interpretare istintivamente le probabilità inerenti, sarebbe irrealistico non menzionare come l’intento minatorio implicito sia effettivamente riuscito, almeno in parte, a centrare il punto.
C’è d’altronde più di un mero fattore estetico nel tratto distintivo il quale, di contro, caratterizza e connota questo ricorrente ospite del nostro cielo stellato, probabilmente notato per la prima volta nel quindicesimo secolo da astronomi cinesi ed italiani, per venire in seguito scoperta formalmente solo nel 1812 dal francese Jean-Louis Pons. E poi di nuovo, in modo autonomo, nel 1884 dall’americano William Robert Brooks che costituisce la seconda parte di quel nome scevro di ulteriori connotazioni. Diversamente dall’identificativo mediatico impiegato in epoca corrente, fatto derivare dalla caratteristica in questione, consistente in una doppia coda curvilinea parallela al senso di marcia, la cui forma e orientamento ha favorito l’invenzione ed utilizzo reiterato dell’associazione con il grande maligno. Non che mucche, capre o simili creature erbivore sarebbero state meno calzanti, se ancora a qualcuno fosse parso pratico indirizzare l’associazione poetica verso una proporzione più ottimistica e tranquillizzante. Benché un tentativo, per lo meno, sia stato fatto grazie all’evocazione da parte di un gruppo di scienziati e pubblicisti (difficile capire chi sia stato il primo) di un altro oggetto cosmico dall’iconica forma di un ferro di cavallo: l’astronave cinematografica del Millenium Falcon, istantaneamente riconoscibile per tutti i fan di Star Wars. Il che d’altronde offriva molti pochi appigli, per cominciare ad approcciarsi al tema dell’effettivo funzionamento e ragion d’essere di questa insolita cometa…

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