Recentemente trasferito addetto al marketing di azienda mineraria, con sede periferiche nei principali Oblast, intento a camminare sul sentiero che conduce alla fermata del Bus. Nato a Mosca, laureato S. Pietroburgo, si avventura nelle ore mattutine relegando a zone periferiche del proprio vivere la sensazione di essere ormai prossimo al Tartaro o Cocito, luoghi gelidi ove giacciono in attesa i defunti. Siamo a Yakutsk, se riuscite a leggere i cartelli in mezzo al buran, che congela ed assottiglia l’aria, ed il termometro segnava -40 gradi. Una temperatura, a dire il vero, neanche troppo fredda per la media della maggiore città situata ad appena 450 Km dal Circolo Polare Artico. Così avanza, un passo dopo l’altro (la cosa più difficile che abbia mai fatto!) fermandosi a ridosso di ogni muro che gli riesce di trovare, nell’arduo tentativo di esalare quel respiro. Le scuole chiudono talvolta, ma questo non succede per gli adulti, cui si attribuisce un grado più elevato di tolleranza. D’un tratto all’orizzonte, inteso come spazio di uno slargo tra i viali di epoca sovietica, scorge una visione surreale: trattasi di un gruppo di persone, in abiti così pesanti da sembrare orsi delle steppe, radunati attorno a scrigni strabordanti di oblunghi oggetti scintillanti. Non tesori di apparente argento, né carciofi o asparagi come sembrava in un primo momento; trattasi, in effetti, del locale mercato del pesce. L’uomo giunge in mezzo a loro, gli sorridono, scherzano sul clima. Lui risponde con un faticoso senso d’ironia latente ed è allora che l’allegra proprietaria del secondo banco, battendogli su un braccio, gli offre il pezzo rigido di quello che parrebbe sul momento un ricciolo tagliato da un sorbetto. “Prendi, mangia. Scalda dentro.” Ella dice. Lui lo guarda, pensa, stai scherzando? Ma una cosa ha appreso nella prima fase della sua trasferta lungo i mesi dell’autunno siberiano: quando le condizioni climatiche sono estreme, la gente si aiuta a vicenda. Come se fosse la cosa più naturale del mondo, la ringrazia. Lo stringe con le labbra: è pesce. Nella bocca perde subito rigidità ed inizia a sciogliersi, il sapore è… Ottimo, in realtà. Il sentimento d’incombente apocalisse che lo intrappola in mezzo a pareti di cristallo, lentamente, sembra allontanarsi in mezzo alle propaggini terrene della tormenta…
Строганина, niente meno, stroganina dal verbo strogat che vuole dire: “tagliare [col rasoio]” ed è proprio questo il modo in cui essa viene preparata, fin da prima che il cosacco Pyotr Beketov, spingendosi durante il corso delle proprie esplorazioni fino alle rive del fiume Adan, costruisse la sua prima fortezza in tronchi di legno, per conoscere ed interfacciarsi con le genti oriunde intente principalmente a far tre cose: cacciare animali selvatici, allevare renne, e naturalmente, pescare. Ma se si usa dire che il più prezioso contributo gastronomico dei russi alla cultura siberiana sia stata la vodka, un’altra cosa non può essere negata: esiste soltanto un tipo di cibo, corposo, saporito e al tempo stesso privo di odore, duro ma scioglievole (per citare la pubblicità del cioccolato) che si sposa in modo quasi poetico con la bevanda alcolica simbolo del più esteso paese al mondo. E questo è il pesce surgelato in maniera, per così dire, immediata…
laghi
Smentita l’ipotesi del mare di magma sotto il suolo della luna incandescente di Giove
Tra i più interessanti misteri del Sistema Solare figura la natura eterogenea delle quattro maggiori lune gioviane, scoperta gradualmente attraverso i secoli a partire dalla loro prima identificazione ad opera di Galileo Galilei. Che li aveva chiamati i satelliti medicei, in onore del proprio mecenate, senza poter ancora entrare nel merito di cosa esattamente fossero, e quale potessero costituire i loro tratti distintivi di riferimento. Generazioni sarebbero trascorse, prima che la rivoluzione astronomica da lui iniziata permettesse di comprendere che Europa era una sfera ricoperta di ghiaccio, Ganimede un vero e proprio pianeta nano con tanto di nucleo ferroso, Callisto il bersaglio martoriato da una pioggia meteoritica incessante ed Io… L’inferno stesso, trasformato in luogo visitabile del nostro piccolo ritaglio di Via Lattea attorno all’astro diurno che dà la vita. Concentrazione d’attività vulcanica senza termini di paragone, con centinaia di eruzioni continuative in ogni singolo minuto della sua roboante sussistenza, come esemplificato dal primo pennacchio rilevato nel 1979 dall’osservatrice astronomica Linda Morabito, del NASA Jet Propulsion Laboratory. La stessa istituzione oggi incaricata di gestire la missione decennale della sonda Juno, che da luglio del 2016 si trova attorno al gigante gassoso che costituisce il più massiccio pianeta che disegna un’orbita nel vicinato. Attrezzata con nove sofisticati strumenti scientifici già responsabili di numerose scoperte di rilievo, sui corpi bersaglio di quel lungo viaggio, tra cui sensori per lo spettro dell’infrarosso e delle microonde. Immaginate dunque la sorpresa del team di scienziati quando l’ultima in ordine di tempo, e forse maggiormente significativa scoperta di quest’anno sarebbe stata supportata dal più “semplice” degli attrezzi a bordo, nient’altro che la telecamera sensibile alla luce visibile, capace d’inviare nuove immagini fotografiche della luna ricoperta di fiamme, furia e laghi di fuoco. Osservando le quali, in base allo studio pubblicato sulla rivista Nature soltanto lo scorso 12 dicembre da R. S. Park, R. A. Jacobson e colleghi si è giunti alla realizzazione che un’assunto perpetrato ormai da lungo tempo andasse dopo tutto confutato. Perché se veramente Io avesse posseduto uno strato magmatico nel proprio sottosuolo, la sua forma sferoidale ne sarebbe risultata ancor più irregolare. In funzione di quelle stesse forze gravitazionali impressionanti, generate dal pianeta paterno e che ogni secondo scagliano nello spazio esterno una quantità stimata di una tonnellata di particelle ionizzate a partire da quella superficie mutevolmente discontinua. Un ulteriore chiarimento, niente meno che fondamentale, per il funzionamento effettivo di un luogo tanto terribile ed inospitale…
La magica circonferenza canadese, potenziale specchio meteoritico della Preistoria
Le grandi flotte, gli eserciti in marcia, le missioni aeronautiche a lungo raggio. Eppure molti tendono a dimenticare come, tra gli Stati Uniti e la Russia, la distanza minima sia di appena 88,5 Km. Da percorrere oltre i confini delle terre abitate, nel grande gelo soprastante in base a quella logica secondo cui l’estremo settentrione si trova “in alto”. Una via percorsa saltuariamente nel corso della seconda guerra mondiale ed oltre, quando i perlustratori aeronautici ricevevano l’ordine di sorvegliare eventuali movimenti per conto dei reciproci membri di quell’alleanza, destinata a sciogliersi pochi giorni dopo la caduta del comune nemico. Così come un qualcosa di simile si verificava verso l’altro lato di quel continente, attraversando l’alto e stretto Canada per estendere il controllo verso la terra di nessuno della vasta isola atlantica di Groenlandia. Il che poneva al centro il non troppo semplice quesito di come, effettivamente, navigare tali terre prive di rilievi riconoscibili o altri punti di riferimento, oltre le propaggini abitate del Circolo Polare Artico. Allorché una delle pietre miliari preferite dai piloti statunitensi non sarebbe diventato un lago dalla perfezione geometrica più unica che rara: un cerchio dal diametro di 3,44 Km lungo la penisola di Ungava, nel distretto amministrativo di Nord-du-Quebec. Così remoto, nel dipanarsi di paesaggi che nessun occidentale aveva mai esplorato, da essere del tutto sconosciuto in geografia, pur possedendo un appellativo attribuito dalla popolazione locale dei Nunavimiut, gli “Inuit che vivono in prossimità del mare”. Nome preso in prestito dalla parola Pingualuit, il termine locale comunemente riferito al tipo di lesioni o discontinuità che tendono a comparire sulla pelle di coloro che non indossavano abiti abbastanza coprenti, in un luogo dove le temperature invernali potevano anche scendere al di sotto dei 30 o 40 gradi sotto lo zero. Con l’opzionale alternativa, dall’impostazione metaforica decisamente più elegante, di Occhio di Cristallo di Nunavik, a causa della notevole trasparenza delle sue acque prive di sedimenti. Non che tale luogo avesse un qualche tipo d’importanza per il foraggiamento o l’organizzazione di eventuali villaggi, trovandosi nell’entroterra e senza fiumi di alcun tipo per collegarlo alle coste abitate. Chiaramente rifornito dalle sole piogge e scioglimento stagionale dei ghiacci, esso sarebbe dunque rimasto un’anomalia per i pochi che ne conoscevano l’esistenza, almeno finché a qualcuno non fosse venuto il desiderio di approfondire. E quel qualcuno fu il prospettore dei diamanti dell’Ontario Frederick W. Chubb, che nel 1950 decise di raggiungerlo assieme all’amico V. Ben Meen, direttore del Museo di Geologia di Toronto. Con l’unico tipo di mezzo in grado di atterrare nei dintorni: un idrovolante…
La questione spinosa delle pulci che hanno invaso i grandi laghi del Nuovo Mondo
Fare il bagno dentro un lago non è sempre semplice, in modo particolare quando si comincia a percepire quella problematica impressione di milioni, se non miliardi di occhi che ti guardano da ogni direzione. Non a coppie situate dentro il cranio di un singolo animale, bensì tutti liberi e del tutto indipendenti, concentrati in macchie nebulose che si aggirano nell’acqua limpida, troppo limpida di un luogo un tempo colmo di vite. Ovvero l’esistenza congeniale di una pletora di specie differenti, così come la natura aveva decretato, nel prosieguo di moltissimi millenni d’evoluzione. Eppure dove neanche il susseguirsi delle epoche geologiche, l’incombenza di fattori esterni e addirittura il mutamento climatico dei tempi odierni avevano potuto rallentare l’ingranaggio di quel meccanismo lungamente oliato, l’operato di una singola creatura, in grado di clonarsi all’infinito, avrebbe aperto il transito verso regioni nuove per l’appiattimento dei processi biologici riproduttivi. Verso l’assoluta e inarrestabile proliferazione del Bythotrephes longimanus, con in misura minore il suo parente prossimo Cercopagis pengoi, presenze maggiormente giustificabili presso luoghi all’altro lato dell’Atlantico, come il Mar Caspio ed altri vasti bacini acquatici dell’Eurasia. Ma… Non… Qui.
Condanna dell’Ontario. Dannazione dello Huron. Mannaro del Michigan e vampiro del Superiore. Il piccolo crostaceo della famiglia Cercopagididae, comunemente definito come pulce d’acqua “spinosa” costituisce l’impressionante esempio di una presenza che mette alla prova la definizione stessa di animale planktonico. Con i suoi imponenti 15 millimetri di lunghezza, il 70% dei quali costituiti dall’equivalenza corporea di un lungo spadone medievale. La spina, per l’appunto, dalle minacciose ramificazioni e addirittura un uncino finale nel caso del C. pengoi, alla base del terrore implicito che parrebbe accompagnare l’avvistamento di siffatti esseri all’interno di precisi, ed inadatti recessi idrografici di vari continenti terrestri. Questo perché i nostri piccoli nemici, nell’ecosistema che finisce per ospitarli dove la stragrande maggioranza dei pesci al di sotto di una certa dimensione non riesce per ovvie ragioni a trangugiarli, tendono a diventare dei feroci predatori dei loro simili più piccoli, gli onnipresenti e microscopici crostacei del genere Daphnia, anch’essi definiti pulci d’acqua, pur essendo non più lunghi di 5 mm complessivi. Primo passo di quel tipo di catastrofe ecologica che prende il nome di cascata trofica: poiché ogni cosa è intimamente connessa all’interno di un singolo bioma. E quando un nuovo agente ad alto impatto grava sui sistemi collaudati che permettono a creature di qualsiasi dimensione di prosperare, ciò che segue è l’inesauribile mescolanza delle carte in gioco. Fino all’ottenimento di una singola, rigida e immutabile mano di poker…