Uguali per nascita, diversi per provenienza, educazione, contesto culturale di appartenenza. L’afflusso di strati umani sovrapposti, che a partire dalla presidenza di de Gaulle negli anni ’60 iniziarono a trasferirsi dalle campagne al principale centro urbano e capitale di Francia, portò gli amministratori parigini a dover compiere dei significativi compromessi. L’investimento nella periferia ed un tentativo di risolvere la questione degli alloggi, che nel giro di alcuni anni avevano raggiunto prezzi stratosferici e condizioni igienico sanitarie per lo più latenti. Così la costruzione di un nuovo tipo di case popolari, dalle caratteristiche architettoniche qualitativamente superiori e finanziate in parte dalla vendita di una porzione di appartamenti “di lusso” avrebbe condotto, nel corso della successiva epoca Mitterand e fino al culmine del penultimo decennio del secolo, a un’emersione interpretativa del concetto utilitaristico di Brutalismo, con maestose costruzioni di cemento in cui l’estetica non era solo una diretta risultanza della pura e semplice necessità. Bensì un riferimento, talvolta colto e convoluto, ad alcuni dei valori che avrebbero potuto e dovuto elevare lo stile di vita del sostrato di disagio umano, che permeava il popolo nel regno circostante alle cadenti, caotiche periferie delle banlieue. Esperimento riuscito soltanto in parte, come potrebbero facilmente confermare gli abitanti di un luogo come il comune di Noisy-le-Grand, composto da 63.000 anime posizionate appena fuori l’anello stradale e ferroviario che costituisce l’ultimo confine dell’antistante Parigi. Da cui potrà anche non essere visibile la Tour e le altre meraviglie dell’epoca Liberty nel centro pulsante della Città delle Luci, ma permane un certo fascino frutto della visione post-moderna delle cose, in cui la scelta di una forma riesce a sottintendere pregevoli metafore connesse alle visioni universali di questioni ermetiche latenti. Vedi l’opera del catalano Ricardo Bofill ed il suo studio RBTA, che di queste villes nouvelles fece un esperimento contestuale senza precedenti, fino al bizzarro e celebre capolavoro del condominio Les Espaces d’Abraxas (vedi precedente trattazione). Ma vedi anche, a meno di un chilometro e mezzo di distanza pur senza essere dirimpettaio, l’equipollente opera del russo per nascita, ma altrettanto spagnolo di adozione, Manuel Noez Yanowsky. Che allo pseudo-teatro del collega, completo di minuscolo arco di trionfo, volle contrapporre una sua particolare cognizione di creazione utile ad attrarre sguardi, persone, il pensiero dei filosofi indotti a sostare nel giardino antistante: un’arena, da ogni punto di vista rilevante. Poggiata attorno ad una piazza ottagonale dedicata al grande Picasso, che come nelle geometrie pittoriche delle sue tele, avrebbe trovato in una forma strategicamente ripetuta il simbolo monumentale della sua esistenza: due ruote tondeggianti dal diametro di 50 metri ciascuna, dichiaratamente ispirate all’immagine concettuale di una biga rovesciata. Ma anche il sorgere dell’astro diurno e della luna contrapposta, sebbene i più prosaici abitanti avrebbero finito per chiamarlo con un soprannome maggiormente prosaico ed al tempo stesso descrittivo: [le confezioni tondeggianti de] il formaggio camembert…
Completati nel 1985 dopo un elaborata opera d’ingegneria ed assemblaggio, di parti per lo più prefabbricate in modo alquanto avveniristica per l’epoca, le Arènes de Picasso erano state concepite per fornire principalmente 540 alloggi in un’area relativamente compatta, ma anche un asilo, una scuola media, negozi e diverse altre amenità residenziali. In un’epoca antecedente alla propagazione irresistibile dei centri commerciali, quando ancora si credeva che la vita all’interno di piccole comunità decentrate potesse condurre ad una mescolanza d’individui ed il confronto produttivo tra i punti di vista contrapposti, cementando il senso collettivo d’appartenenza. Ciò che distingue il surrealista complesso da altre opere coéve tuttavia, ivi incluso il già citato Espaces d’Abraxas, era una marcata differenziazione dell’offerta abitativa, con gli appartamenti dotati della vista e posizione migliore situati dentro i due “cerchi” o “tamburi” dominanti, mentre la più semplice struttura concepita per fargli da basamento, girante attorno alla piazza, rappresentavano in modo piuttosto chiaro spazi dedicati agli strati sociali meno agiati. Il che non rendeva tali mura in alcun modo meno appariscenti, soprattutto considerando l’aspetto avveniristico del portico al confine della piazza centrale, a metà tra i contrafforti di una cattedrale ed il profilo rinforzato di un bunker marziano. Assolutamente degno di nota anche il gruppo statuario posizionato originariamente al centro dello spazio iconico e che oggi è stato spostato poco fuori per essere ammirato anche dai non residenti, della “Sarabande pour Picasso” dell’enigmatico scultore Miguel Berrocal. In cui quattro donne danzanti, in equilibrio su altrettante sfere geometricamente perfette, rendono omaggio alle sempre fondamentali mogli, amanti e numerose muse di quello che potrebbe essere definito senza esitazioni come il più influente e celebre pittore del Novecento.
Impossibile da ignorare come elemento della disposizione urbanistica di Noisy-le-Grand, al pari della più celebre creazione di Bofill, il capolavoro di Yanowsky si sarebbe guadagnato gradualmente un posto nei cuori e nelle menti della gente. E sebbene il suo aspetto fantastico e per certi versi, fin troppo riconoscibile, gli avrebbe precluso di essere selezionato come ambiente per l’ormai famosa scena del film Hunger Games del 2015 girata all’Abraxas, altre partecipazioni al mondo della musica e del cinema avrebbero graziato le grigiastre mura del carro rovesciato con le sue svettanti ruote. In modo particolare la pellicola orrorifica “Vermines” del 2023 di Sébastien Vanicek, i cui protagonisti vengono posti in quarantena nelle Arènes assieme ad una nuova specie di aracnidi velenosi importati accidentalmente dal continente africano. Il fondamento del concetto e frase consolatoria comparativa, secondo cui le irripetibili creazioni della Francia di fine secolo potranno anche risentire di mancata manutenzione o ammodernamento degli impianti. Ma non sono in questo mondo materiale, per lo meno, invase dai ragni.
Oggi gelosamente custodite e mantenute segretamente sopra un piedistallo del carattere rappresentativo di una Francia non più esistente, le periferie monumentali dell’epoca brutalista europea riescono a meritarsi più di una sfuggente citazione sui libri di architettura. Sebbene risultino, per loro stessa natura, meno visitabili da parte dei turisti di quanto si potrebbe tendere a pensare, con più di un blogger del settore che racconta d’incontri non propriamente gradevoli con gli abitanti ritrovatisi improvvisamente al centro dell’inquadratura di un documentario o reportage auto-prodotto per il Web. Senza dimenticare d’altra parte come, almeno statisticamente parlando, le periferie di una grande capitale come Parigi non siano esattamente prive di episodi criminali ai danni dei turisti, che per mancanza di prudenza o senso pratico avessero malauguratamente deciso di allontanarsi dalle strade dedicate alle gente di fuori.
Il che non era certo nella visione idealistica di chi concesse il via libera ad opere di una così dispendiosa e significativa portata. Se anche fosse in ultima analisi l’ambiente ricco di concetti aleatori e non immediatamente apparenti, a poter cambiare l’indole delle persone che risiedono all’interno di strutture imposte dall’alto.