Se c’è un aspetto che accomuna la conduzione degli affari monarchici contemporanea con gli albori dell’epoca Moderna ed almeno in parte, i lunghi anni del periodo medievale antistante, è il modo in cui la linea tra pubblico e privato cessino di avere importanza nel momento in cui si getti il proprio sguardo indagatore all’indirizzo della famiglia reale. Molto spesso anche a discapito della tutela della dignità personale. Forse proprio per questo l’interpretazione tradizionale della ballata più famosa nelle taverne britanniche sul finire del XVI secolo, intitolata A Newe Northen Dittye of ye Ladye Greene Sleves vedeva soltanto due possibili interpretazioni per quanto concerne l’effettiva identità della protagonista femminile dei suoi versi: una prostituta d’insignificante lignaggio, in qualche modo sollevata dalla sua miseria grazie ai doni del suo ricco spasimante. Oppure la figlia del primo Conte di Wiltshire, discendente del secondo Duca di Norfolk, nonché seconda moglie del monarca Enrico VIII dei Tudor, Anna Bolena. Personaggio femminile problematico per la ferma posizione mantenuta durante i difficili anni della Riforma Protestante, nonché il modo senza precedenti in cui venne fatta subentrare dal consorte “per amore” alla sua prima moglie, Caterina d’Aragona, successivamente relegata ad una vita fuori dallo sguardo pubblico che gli permise assai probabilmente di sfuggire allo stesso improvvido, malcapitato destino. Poiché scegliendo infine di decapitarla in modo pubblico dentro il cortile della Torre di Londra, come strega che lo aveva indotto ad allontanarsi dai suoi amici e vecchi alleati, il re la condannava ad una seconda dannazione imperitura: quella di venire sempre ricordata, rievocata e discussa da ogni possibile strato sociale.
Da qui l’idea, probabilmente popolare già in epoca coéva, che il vero autore della ballata registrata inizialmente nel 1580 presso la London Stationer Company dal musicista Richard Jones dovesse in verità essere stata scritta dal più potente sovrano dei Tudor, descrivendo con dovizia di particolari lo struggente amore che aveva vissuto, prima dell’infelice realtà coniugale che avrebbe vissuto in seguito al sospirato matrimonio con la Bolena. “Ahime’ amor mio mi hai fatto torto / nel rifiutarmi cosi’ scortesemente / Poiche’ io ti ho amato a lungo […]” recitava infatti la prima strofa, proseguendo di lì a poco descrivendo i molti pregiati regali, che il proprietario della voce narrante aveva concesso alla sua beneamata e innominata dama “dalle verdi e lunghe maniche”. Un trucco retorico ben collaudato, attraverso cui le lamentele dell’innamorato giungevano a dipingere l’immagine di una figura splendida e riccamente ornata, favorita dalla sorte e dalla società cui apparteneva. Da qui l’idea recentemente portata fino alle sue estreme conseguenze, da parte della Società degli Antiquari di Londra, di ricostruire effettivamente con tecniche storiche l’abbigliamento che costituiva il singolo effettivo protagonista della canzone. Mediante l’uso di un eclettico quanto affiatato team di specialiste del settore…
Il video notevolmente prodotto e presentato anche in una versione di documentario da 40 minuti, è stato dunque pubblicato sul canale della divulgatrice digitale Bernadette Banner, ex costumista di Broadway diventata in seguito una personalità di Internet, come praticante di una versione colta della moderna disciplina traversale del cosplay. Il che comporta la creazione pratica ed autogestita di una grande quantità di abiti storici, con particolare attenzione nel suo caso all’ultimo periodo prima dell’invenzione della macchina da cucito, tra il 1890 e il 1914. Il che pone in effetti l’abito di Greensleves largamente fuori dal suo campo di specializzazione, favorendo un’opera creata in questo caso da un lavoro collaborativo di ben quindi persone, ciascuna coinvolta nella fabbricazione di un particolare pezzo della complicata tenuta appartenente al periodo monarchico che più di ogni altro, in Inghilterra, avrebbe segnato il passaggio tra due epoche nettamente distinte. Così a ogni verso rilevante della versione completa della ballata, avrebbe corrisposto un particolare pezzo di abbigliamento ricostruito dal relativo “dono” del misterioso ed ignoto spasimante. A partire da: “Ti acquistai dei kercher per il capo, di ottima manifattura e splendidi d’aspetto;” riferito al tipico copricapo della donna dell’epoca, una copertura di lino concepita per proteggere e contenere i capelli. E “L’abito di seta, chiaro e candido, con magnifici ricami dorati;” una versione particolarmente pregiata dello smock, sottoveste normalmente indossata come strato di supporto ai pregiati strati esterni del vestiario della nobildonna. Per passare quindi alle “Calze rosse di seta, con oro attorno alle ginocchia;” il colore brillante, nello specifico, delle opportune quanto necessarie giarrettiere, in un’epoca in cui il tessuto elastico non era ancora stato scoperto. Senza dimenticare a questo punto la rapida menzione di “pumps bianche come il latte;” un tipo di calzature basse di stoffa semplice, il cui stesso colore bianco avrebbe dimostrato la ricchezza della proprietaria, capace di esimersi dal toccare con i piedi l’umile suolo fangoso delle strade cittadine. Da qui verso i pezzi forti della composizione e l’opera delle Antiquarie londinesi: “il tuo petticoat era dei migliori, di una stoffa senza pari” un chiaro riferimento al tipo di vestito, cromaticamente indefinito, con un busto semi-rigido che avrebbero indossato in quell’epoca, immaginato essere per il progetto in questione anch’esso di un acceso color vermiglio. Ed infine il verso prototipico: “Thy gown was of the grassy green, thy sleeves of satin hanging by;” nello specifico atto a descrivere il famoso abito dalle maniche verdi, lunghe e affascinanti, che secondo una leggenda popolare Anna Bolena avrebbe utilizzato per nascondere la mano deformata dalla presenza di un sesto dito, chiaro segno della sua cospirazione col Maligno in persona. Che per il modello realizzato nel video presso la residenza elisabettiana di Athelhampton House sono state disegnate con un caratteristico profilo lasciato aperto, per dare maggior risalto ai pregevoli ricami della sottoveste indossata dall’attrice che interpreta Lady Greensleves.
Forse un potenziale anacronismo, come d’altronde potrebbe venire interpretata l’intera composizione musicale, basata su un tipo di teoria musicale, il passamezzo antico, caratteristica delle composizioni romanesche introdotte storicamente almeno un paio di generazioni dopo il decesso del personaggio storico di Enrico VIII nel 1547. Il che non toglie la possibilità che il problematico monarca, inviso in molti modi all’opinione pubblica dopo la sua persecuzione e chiusura dei monasteri, potesse essere stato mantenuto in vita nella fantasia delle persone, al punto da poter “creare” una canzone così come molte altre aveva composto e suonato nel corso della propria rutilante, intransigente conduzione del regno. Finché il peggioramento del suo stato di salute, l’allontanamento dai tornei ed una probabile deriva della stabilità mentale, avrebbero portato alla dolorosa vicenda delle sue consorti ulteriori. Tra cui Anna Bolena fu senz’altro la più sfortunata. Ma non meno di altri consiglieri precedentemente mantenuti in alta considerazione e poi condannati in vari modo all’ignominia e il conseguente patibolo, come il cardinale Wolsey, il confidente di umili origini Thomas Cromwell o ancora il successivamente santificato Thomas More. Problematica deriva, se vogliamo, del conferire il potere assoluto nella mani di una singola persona. Sulla base del prestigio di un lignaggio che, la storia c’insegna, offriva ben poche garanzie in termini di giustizia e probità individuale.
Ma così tante magnifiche ed appariscenti questioni, da discutere gozzovigliando, dinnanzi ad un boccale di birra mentre trilla nelle orecchie il liuto allegro o malinconico dell’intrattenitore di turno…