L’antica capitale nella giungla diventata il regno dei macachi dello Sri Lanka

In nessun luogo come lo Sri Lanka, la storia degli insediamenti umani può essere desunta dalla costruzione dei sistemi d’irrigazione. Isola tropicale dal clima caldo per l’intero estendersi dell’anno, fatta eccezione per alcuni limitati territori dell’entroterra, venne a un certo punto determinato dai suoi abitanti che per trarre il massimo dal suolo fecondo, l’unico sentiero percorribile consisteva nello scavo di ampi serbatoi e lunghi canali strategicamente dislocati ai margini della vegetazione selvaggia. A partire dalla parte settentrionale e lungo l’intero estendersi di quelle coste con la forma di una goccia sul profilo dell’Oceano Indiano, per seguire quindi l’andamento della colonizzazione verso sud e fino ai centri urbani di Colombo e Kandy, entrambi destinati a diventare capitali politiche e amministrative di quel paese. Cinque secoli prima dell’arrivo dei Portoghesi, tuttavia, questi luoghi sopravvivevano sotto il giogo di un’occupazione straniera, quella delle forze imperiali dei Chola provenienti dall’India, che avevano spodestato il predominio dell’originale regno di Anurādhapura, fondato nel remoto 377 a.C. Che per tredici secoli aveva dominato, senza significative interruzioni, finché in seguito alla conquista ed al saccheggio dei propri principali centri amministrativi a cavallo dell’anno mille, non avrebbe visto seguire un lungo periodo di sottomissione alle autorità nemiche, destinate a dominare incontrastate le genti cingalesi. Situazione destinata a terminare quando dalla fortezza decentrata di Dambadeniya, il condottiero Vijayabahu I discese nel 1055 vincendo una serie di tre importanti battaglie, culminanti con la conquista dell’insediamento amministrativo di Polonnaruwa, punto di convergenza d’innumerevoli rotte commerciali ed infrastrutture civili. Il che l’avrebbe portato a confermarsi, nelle lunghe generazioni a venire, come luogo di residenza della nuova dinastia dominante sull’isola, portatrice di un’Età dell’Oro da molti punti di vista totalmente priva di precedenti.
Furono per poco tempo il fratello e successivamente il figlio di Vijayabahu, dunque, a contendersi per qualche tempo il regno destinato poi a passare sotto il controllo del nipote del principe di Vijayabahu, il signore della regione di Dakkhinadesa destinato a passare alla storia come Parakramabahu I il Grande. Sovrano illuminato, riformatore, il cui regno della durata di oltre 40 anni avrebbe visto la costruzione di molte opere monumentali inclusa la larga parte delle meraviglie che ancora oggi, tra scorci di natura selvaggia non totalmente sotto il controllo dei giardinieri, è possibile ammirare attorno ai siti della sua antica dimora. Polonnaruwa per come si presenta oggi costituisce, in effetti, uno dei luoghi di maggior fascino dell’isola che non tutti si prendono la briga di visitare, in parte per la sua collocazione relativamente remota e potenzialmente, per la poca affinità nei confronti degli animali. Ormai diventato la perfetta residenza per una comunità dalle dimensioni significative, dei circa 5 milioni di macachi dal berretto che vivono a fianco degli umani nella popolosa isola dello Sri Lanka…

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Nascita e deflagrazione del castello costruito per serbare le più care armi della vecchia New York

Alto e cupo, superbo a vedersi, sorge lungo il fiume Hudson come un OOPArt (artefatto misterioso) fuoriuscito da un portale verso l’epoca dei laird sui loro scranni di quercia e delle scintillanti spade che si accompagnavano alle cornamuse degli Altipiani. Finché a bordo del kayak d’ordinanza, l’aspirante visitatore non si appresta alla fronzuta landa emersa gettando sguardi più vicini a quella rovina dolorosamente frantumata, con due sole pareti ancora in piedi ed ormai simili alla falsa facciata delle residenze rese celebri nel vecchio Far West. Torrioni parzialmente sventrati, vecchie strade invase dal muschio e le grida ululanti di numerosi fantasmi. Un cavallo che fugge, a quanto si narra. I guerrieri di Toro Seduto in persona. Numerosi soldati in uniforme di svariate epoche tra il Medioevo e i nostri giorni. Nonché grazie al mondo della letteratura, troll baffuti, gatti parlanti ed una misteriosa donna di nome Eleanor. Pronta ad accogliere con grazia gli sconosciuti, per narrargli della lunga storia ed ascendenza della cara, commerciale, sfortunata isola di Pollepel.
Narra la leggenda della storia familiare dei Bannerman di Dundee, Scozia, che nel 1314 un avo di quella linea di sangue, appartenente in origine al clan Macdonald, avesse accompagnato il grande Re degli Scozzesi, Robert Bruce, nella drammatica battaglia di Bannockburn. E che in quel punto di svolta della rivoluzione scozzese, mentre le forze di Edoardo II d’Inghilterra venivano respinte su ogni fronte, quest’individuo noto solamente come Francis avesse notato la caduta accidentale in terra dello stendardo con il leone dalla lingua rossa, raccogliendolo e sollevandolo per dare coraggio alle truppe impegnate nella mischia selvaggia. Al che il sovrano, notando l’eroico gesto, ne avrebbe insignito l’autore con un nastro prelevato direttamente dalla croce di Sant’Andrea, dichiarando con voce stentorea: “Da quest’oggi sarai noto come Bannerman (Vessillifero) e che ciò possa arrecarti la gloria di cui sei degno.”
Un episodio che il suo omonimo nato nel 1851, Francis “Frank” Bannerman VI avrebbe presto appreso per filo e per segno, successivamente allo sbarco ad Ellis Island con i propri genitori che avevano deciso d’immigrare per cercare fortuna nel Nuovo Mondo. Assieme al racconto della partecipazione familiare alla Gloriosa Rivoluzione del 1689 che aveva portato alla deposizione di Giacomo II e la partecipazione del suo stesso padre alla guerra civile tra gli Stati e conseguente emancipazione degli schiavi nordamericani. Un’educazione dunque dalle implicazioni fortemente militari, che l’avrebbero portato fin da ragazzo a frequentare le spiagge dell’Hudson, ritrovando antiquati reperti che in seguito metteva in vendita ai collezionisti facendo le sue prime esperienza nel mondo degli affari. Un hobby destinato a diventare il suo futuro, se è vero che nel 1865 all’età di soli 14 anni, con l’aiuto dei genitori avrebbe aperto un negozio presso il cantiere navale di Brooklyn, che dovette trasferirsi per mancanza di spazio entro soli due anni in un’officina per le barche su Atlantic Avenue, che iniziò gradualmente a riempirsi di reperti sempre più pregiati, come sciabole, fucili, mitragliatrici, cannoni e la più incredibile quantità di munizioni, rigorosamente ancora utilizzabili per fare fuoco in base alla stimata tradizione statunitense. Il che avrebbe portato a un certo punto i suoi vicini a lamentarsi del potenziale rischio d’esplosione con la città, che intimò al giovane affarista scozzese di trasferire la sua azienda fuori città. Un obbligo che egli avrebbe trasformato, come un vero seguace del grande sogno americano, in opportunità…

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La valle giapponese dove il fiume scorre tra i residui prosperosi di un futuro passato

La verticalità costituisce, tra gli aspetti di un centro cittadino, uno degli elementi di maggior fascino utile a costituire il tipo di scorci che vengono definiti convenzionalmente “da cartolina”. Così luoghi visti da lontano, in bilico su valli attraversate da un profondo torrente, trovano collocazione nella nostra fantasia come l’equivalente contemporaneo di luoghi fiabeschi o fantastici. E non c’è corso d’acqua più conforme a tali crismi visuali, del Kinugawa nella prefettura di Tochigi, non lontano dalla città di Nikkō, il cui nome in kanji (鬼怒川) significa letteralmente “Fiume dell’Orco Rabbioso” con riferimento pratico alle numerose inondazioni, subite dalla popolazione locale in epoca pre-moderna con gravi conseguenze per l’agricoltura e l’abitabilità della zona. Questo almeno finché l’invenzione del cemento armato, delle fondamenta dotate di pali d’acciaio, degli edifici alti e solidi posizionati strategicamente sopra zoccoli pietrosi sopraelevati, non avrebbe permesso attorno agli anni ’80 la superba costruzione di un intero resort, proprio sotto l’occhio distaccato degli antichi Dei delle acque che scorrono. All’ombra di alberi secolari ed inconsapevoli colline erbose. Creando un contrasto… Interessante. E indelicato. Nulla, tuttavia, avrebbe potuto preparare gli scoiattoli e tanuki di zona alla casistica destinata a verificarsi nel giro di appena mezza generazione. La solenne dipartita di ogni accenno visibile d’umana civilizzazione. Con il conseguente sopravvivere di quello che può essere soltanto descritto, da ogni punto di vista rilevante, come il più desolato dei luoghi.
Ecco allora che il convenzionale visitatore, avvicinandosi maggiormente allo scenario, magari dopo aver percorso il caratteristico ponte sospeso all’ingresso di questo ex-polo turistico di grande popolarità, inizia a intravedere qualcosa di profondamente ed innegabilmente Sbagliato. Le facciate derelitte dei titanici ecomostri, con finestre talvolta mancanti e piante d’edera pesantemente abbarbicate all’intonaco esterno. Le porte sbarrate degli edifici, oppure del tutto mancanti, lasciando intravedere all’interno il tipico caos di un luogo abbandonato all’improvviso, dopo il passaggio di ondate successive di ladruncoli ed “esploratori urbani”. Nella peggiore accezione del termine in questo caso, benché non manchino praticanti etici di questa disciplina dei nostri giorni, generalmente responsabili di alcuni dei video-reportage più interessanti reperibili in mezzo alle pieghe periferiche di YouTube. Di cui molti sono passati, come rilevabile nel repertorio degli ultimi anni, in questo sito dalla posizione geografica piuttosto conveniente, lungo un’arteria stradale a poche ore da Tokyo e una distanza ancor più raggiungibile mediante l’uso dei veloci treni locali. Per trovarsi nell’ideale punto di collegamento, tra tutto ciò che avrebbe potuto essere, e l’oscura deriva di un paese storicamente associato ad un’ampia serie di disastri. Tra cui forse il più terribile di tutti, in fin dei conti, resta l’uomo…

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Trecentesco Bodiam, umido castello del cavaliere del Parlamento

“Il prossimo richiedente, mio signore, è un nobile minore del Sussex nonché membro della Camera dei Comuni, Edward Dalyngrigge.” Edoardo III, re d’Inghilterra, lanciò uno sguardo verso l’ingresso recentemente rinnovato della camera delle udienze di Westminster. “Ah, ci ricordiamo di lui, cancelliere.” Quell’individuo rissoso sempre pronto a duellare, che l’anno scorso era stato il protagonista di una ridicola lite con suo zio Giovanni, il Duca Plantageneto. E tutto ciò per la ragionevole espansione di quest’ultimo entro terreni che l’altro reputava proprietà della sua famiglia. “Controllate che questa volta non abbia con se i guanti.” Ridacchiò il sovrano, alludendo alla maniera in cui, avendo perso la causa in queste stesse sale, il Cavaliere aveva gettato più volte a terra il pegno di sfida senza che, fortunatamente, lo zio reale decidesse di raccoglierlo condannandolo essenzialmente a morte. Fu dunque lo stesso Edoardo III, in un raro sprazzo di magnanimità, a intercedere affinché fosse liberato sul finire dello scorso 1384. Nient’altro che una ragionevole concessione, per un vecchio eroe di guerra. “Mio Re, è un onore incontrarvi. Come il cancelliere vi stava spiegando…” Ah, si, distrazioni. “Sono qui avendo presentato una petizione di merlatura. Sarebbe mia intenzione fortificare, a partire dalla prossima primavera, la residenza della mia famiglia presso Robertsbridge, dove gli odiati francesi hanno più volte tentato di sbarcare. A questo punto, come vent’anni fa, sarebbe un onore servire il popolo in qualità di scudo e spada della corona d’Inghilterra.” Tutto, nella proposta, era formalmente corretta ed il re prese in attenta considerazioni diversi aspetti. Dalyngrigge, dopo tutto, si era fatto onore come mercenario nella guerra dei cento anni ed aveva anche aiutato personalmente le truppe di Londra, durante la rivolta contadina del 1381, convinti da sedicenti sacerdoti che una seconda venuta di Cristo li avrebbe “liberati” dalla servitura della gleba. Senza perdersi in superflui convenevoli nei confronti di costui, dunque, fece un cenno indefinibile con la mano destra: “E sia” indicò al cronista di corte. “Che al signore di Dalyngrigge venga concesso di costruire una residenza con mura di pietra e calce, sovrastato da merli militari. Vicino al mare ed in difesa della contea adiacente, per resistere ai nostri nemici…”
Tornato entro i confini dei terreni avìti, dunque, il cavaliere ormai quarantenne non perse tempo a mettere in atto la propria idea. Contattati i più affidabili architetti ed artigiani della zona, diede ordine che attorno all’antica magione venisse scavato un fossato rettangolare, dell’ampiezza di 115 x 155 metri. Questo per l’assenza di rilievi degni di nota attorno al sito e l’effettiva intenzione di poter disporre di un castello che fosse al tempo stesso attraente, memorabile e simbolo del suo prestigio. Proprio per questo, le mura di Bodiam sarebbero sorte su di un’isola nel paesaggio, spoglio di alberi, affinché fosse possibile ammirarlo da una piccola collina antistante. Sarebbe stato il “castello britannico” perfetto…

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