Trecentesco Bodiam, umido castello del cavaliere del Parlamento

“Il prossimo richiedente, mio signore, è un nobile minore del Sussex nonché membro della Camera dei Comuni, Edward Dalyngrigge.” Edoardo III, re d’Inghilterra, lanciò uno sguardo verso l’ingresso recentemente rinnovato della camera delle udienze di Westminster. “Ah, ci ricordiamo di lui, cancelliere.” Quell’individuo rissoso sempre pronto a duellare, che l’anno scorso era stato il protagonista di una ridicola lite con suo zio Giovanni, il Duca Plantageneto. E tutto ciò per la ragionevole espansione di quest’ultimo entro terreni che l’altro reputava proprietà della sua famiglia. “Controllate che questa volta non abbia con se i guanti.” Ridacchiò il sovrano, alludendo alla maniera in cui, avendo perso la causa in queste stesse sale, il Cavaliere aveva gettato più volte a terra il pegno di sfida senza che, fortunatamente, lo zio reale decidesse di raccoglierlo condannandolo essenzialmente a morte. Fu dunque lo stesso Edoardo III, in un raro sprazzo di magnanimità, a intercedere affinché fosse liberato sul finire dello scorso 1384. Nient’altro che una ragionevole concessione, per un vecchio eroe di guerra. “Mio Re, è un onore incontrarvi. Come il cancelliere vi stava spiegando…” Ah, si, distrazioni. “Sono qui avendo presentato una petizione di merlatura. Sarebbe mia intenzione fortificare, a partire dalla prossima primavera, la residenza della mia famiglia presso Robertsbridge, dove gli odiati francesi hanno più volte tentato di sbarcare. A questo punto, come vent’anni fa, sarebbe un onore servire il popolo in qualità di scudo e spada della corona d’Inghilterra.” Tutto, nella proposta, era formalmente corretta ed il re prese in attenta considerazioni diversi aspetti. Dalyngrigge, dopo tutto, si era fatto onore come mercenario nella guerra dei cento anni ed aveva anche aiutato personalmente le truppe di Londra, durante la rivolta contadina del 1381, convinti da sedicenti sacerdoti che una seconda venuta di Cristo li avrebbe “liberati” dalla servitura della gleba. Senza perdersi in superflui convenevoli nei confronti di costui, dunque, fece un cenno indefinibile con la mano destra: “E sia” indicò al cronista di corte. “Che al signore di Dalyngrigge venga concesso di costruire una residenza con mura di pietra e calce, sovrastato da merli militari. Vicino al mare ed in difesa della contea adiacente, per resistere ai nostri nemici…”
Tornato entro i confini dei terreni avìti, dunque, il cavaliere ormai quarantenne non perse tempo a mettere in atto la propria idea. Contattati i più affidabili architetti ed artigiani della zona, diede ordine che attorno all’antica magione venisse scavato un fossato rettangolare, dell’ampiezza di 115 x 155 metri. Questo per l’assenza di rilievi degni di nota attorno al sito e l’effettiva intenzione di poter disporre di un castello che fosse al tempo stesso attraente, memorabile e simbolo del suo prestigio. Proprio per questo, le mura di Bodiam sarebbero sorte su di un’isola nel paesaggio, spoglio di alberi, affinché fosse possibile ammirarlo da una piccola collina antistante. Sarebbe stato il “castello britannico” perfetto…

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i360, la strana torre panoramica sulla costa meridionale d’Inghilterra

Nove pali possono essere ammirati con la bassa marea lungo la spiaggia di Brighton, nella storica contea inglese del Sussex, presso la città architettonicamente interessante di Bristelmestune, oggi più frequentemente indentificata con la semplificazione etimologica di Brighton. Otto sono dei costrutti arrugginiti, dell’altezza approssimativa di tre metri e mezzo, svettanti come zanne solitarie di un massiccio dinosauro ormai polverizzato dal tempo. Il nono sale invece un po’ più in alto, arrivando a misurare con la sua ombra, dal mattino a sera, i più remoti confini visibili del lungo mare. Per quei 162 metri, distribuiti in soli 4 di diametro, tali da farne una delle torri più alte e sottili al mondo. Ma chi fosse naturalmente, e comprensibilmente incline a scambiare da lontano una simile colonna per un’antenna utile alle radiocomunicazioni intercontinentali dovrà ben presto ricredersi, allo spuntare da oltre l’orizzonte di una grande capsula che ne risale il verticale percorso, il cui aspetto sfolgorante sotto la luce dell’astro solare può indicare solo un materiale: vetro, trasparente e inusitato, soprattutto in tali circostanze frutto del più estremo ingegno della società umana. L’avevate mai vista prima? Non è particolarmente nota all’estero. Il che in un certo senso, può indicare la condizione poco desiderabile di un fallimento comunicativo. Già perché la linfa e le vicissitudini di un così atipico punto di riferimento, possono individuarsi unicamente nella quantità di turisti che decidano di visitarlo ogni giorno, settimana e col trascorrere dei mesi. E quest’ultimo anno appesantito dalla pandemia, sotto un simile punto di vista, non dev’essere di certo risultato un aiuto.
Ecco, perciò, l’ultimo video promozionale con indicazioni sulla sicurezza del contagio, pubblicato dalla West Pier Trust, associazione culturale e amministrativa incaricata di curare la promozione dell’i360, risposta dell’Inghilterra Meridionale al grande successo comunicativo e d’immagine della ruota panoramica London Eye. Monumento londinese che avvicina l’estetica della capitale a quella di un colossale Luna Park. E se vogliamo ampliare i confini di quell’area fino alle acque vorticose del canale, non potremo che scorgere quest’altra concessione ad un simile quadro sorprendente, con quel tipo di attrazione che generalmente sale, sale e sale verso il cielo; per poi ricadere, con velocità inquietante, verso il compatto suolo in silenziosa attesa. Ed è tutto esattamente uguale tranne questa specifica modalità d’impiego (difficilmente scalabile senza indesiderabili implicazioni strutturali) nella creazione opera proprio di quello stesso studio architettonico Marks Barfield, responsabile anche del sopracitato monumento sulla riva su del Tamigi. Così due hostess della British Airways, sponsor di una simile improbabile meraviglia, accolgono il pubblico all’interno dell’ufo trasparente con la forma di una grande cipolla, prima d’indicare la collocazione già delimitata dagli “spicchi”, ciascuno corrispondente ad uno dei pannelli che compongono la forma della navicella. Che puntualmente, la concludersi del giro della durata di circa 30-35 minuti, vengono accuratamente disinfettati dal personale operativo dell’attrazione. Certo, nonostante tali ineccepibili linee guida, risulta difficile immaginare per il 2020 e 2021 una quantità di visite anche soltanto prossime alle 800.000 annue, ritenute neccessarie a partire dal completamento nell’aprile del 2016 per riuscire a giustificare l’investimento pregresso di 46,2 milioni di sterline.
L’i350, con un nome che imita lo schema e discende chiaramente dal successo, all’epoca insuperabile, dell’azienda americana Apple, che cinque anni fa pareva dominare incontrastata il mondo dei device tecnologici su scala pressoché globale, costituisce dunque la dimostrazione di quali confini sia possibile oltrepassare, e con quanti approcci tecnologici finalizzati all’obiettivo, sia possibile riuscire a conseguire un qualche cosa di davvero sorprendente. In un contesto urbano e storico, quello di Brighton, già tutt’altro che privo di luoghi e strutture caratteristiche pregresse…

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Il treno sui trampoli che superò i confini del mare

Risultano ancora visibili mentre si passa sulla Strada Costiera verso Rottingdean, nel distretto di Brighton & Howe, poco oltre i confini del bagnasciuga segnato dall’alta marea: una coppia di lunghe piste, come cicatrici incancellabili del paesaggio, punteggiate dall’occasionale blocco quadrangolare di cemento. E sarebbe certamente difficile, al giorno d’oggi, trovar qualcuno che abbia memoria diretta del loro impiego all’inizio del secolo scorso. 1896-1901 è il periodo. Durante il quale un oggetto non propriamente facile da identificare, sorgendo maestoso tra i flutti di Nettuno, spingeva il suo unico vagone dalle dimensioni piuttosto significative verso la meta all’altro capo del promontorio costiero, per poi tornare indietro lungo lo stesso identico tragitto, trasportando un carico d’ulteriori 30 passeggeri. “Ferrovia Elettrica Costiera” o Pioneer era il suo nome ufficiale, volendo riferirsi al veicolo solamente, benché vigesse l’abitudine collettiva di definirlo per antonomasia “Papà Gambalunga”. Un probabile riferimento al ragno dal corpo piccolo e le zampe sovradimensionate (fam. Pholcidae) largamente diffuso nell’intero territorio inglese. Questo perché, diversamente da qualsivoglia tipo d’imbarcazione, il surreale veicolo fuoriuscito direttamente da un romanzo di retro-futurismo speculativo restava perennemente a contatto con il fondale, mediante quattro affusolate colonne tubolari all’interno delle quali trovavano posto ben due alberi di trasmissione, capaci di connettere un singolo motore elettrico ad altrettante ruote motrici non del tutto dissimili da quelle di una qualsivoglia locomotiva. Barca? Treno? Difficile capirlo; per quello che era all’epoca, e sostanzialmente sarebbe ancora, un esempio totalmente privo di precedenti di trasporto tecnologico umano, frutto tangibile di quel periodo verso la fine dell’epoca Vittoriana in cui l’ingegneria britannica sembrò aver raggiunto il punto di gran lunga più elevato della sua storia pregressa, lanciandosi conseguentemente verso territori pindarici che mai nessuno, prima d’allora, avrebbe mai tentato di concepire all’interno della propria mente. Spazio virtuale utile a perseguire vie di rinnovamento, come quello nel cranio pensante di Magnus Volk (1851–1937) inventore talvolta definito l’Alessandro Volta o il Nikola Tesla dell’East Sussex, responsabile, tra le altre, cose della prima casa alimentata elettricamente della sua città oltre alla popolare, nonché redditizia, ferrovia elettrica di Brighton & Hove. Una soluzione di trasporto relativamente convenzionale e che tale sarebbe rimasta, almeno finché maturando l’intenzione di estendere i propri interessi commerciali fino a Rottingdean, il fondatore e amministratore unico non si sarebbe trovato a fare i conti con le difficoltà di un paesaggio poco collaborativo. Dovendo trovare un sistema, economicamente proficuo, per superare l’alta collina sul tragitto da compiere mediante l’impiego dei motori elettrici non particolarmente potenti dell’epoca, possibilmente scavando una costosa, profonda galleria, oppur passando coi suoi binari a ridosso di un pericoloso baratro sopra i flutti del Canale. Al che, giunse il principio della notevole idea: perché non passarvi, piuttosto, attraverso? Come una torre magica di stregoni, capace d’avanzare indefessa tra le nebbie del tempo. Come un antico dinosauro, trasformatosi in criptide avvistato nel mezzo del lago scozzese. Veicolo concepito per svolgere un compito e soltanto quello, per cui l’avrebbe svolto (si spera) eccezionalmente bene…

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