L’abisso dei ragni che si servono di microbi per trasformare il gas metano in sostentamento

Nelle remote profondità del Pacifico, esistono recessi ove la vita è rarefatta al punto da permettere di sopravvivere soltanto ad animali altamente specializzati, il cui metabolismo è calibrato al fine di minimizzare il consumo di energie ed al tempo stesso, la necessità di localizzare le minime fonti di cibo a disposizione. Situazione largamente attestata al di sotto di una certa profondità dove, a causa della mancanza di luce, la vita vegetale è impossibile, e quasi ogni essere vivente è stato sviluppato dall’evoluzione nel vorace cercatore dei propri co-abitanti. I che non significa che sia impossibile, per creature al sotto di una certa dimensione, riuscire ad occupare l’ultimo e isolato anello della catena alimentare; batteri, soprattutto, che mettono in pratica il complesso principio biochimico dell’autotrofia. Potendo generare alla loro maniera tutte le energie necessarie a sopravvivere e replicarsi, non a partire da qualsivoglia tipologia di materiale organico pronto all’assimilazione, bensì un prezioso fluido presente in grande quantità sotto lo strato superiore della crosta terrestre; l’antico ed impalpabile residuo di perdute foreste. Tra tutti gli idrocarburi, il più abbondante: il gas metano, principe supremo dei carburanti. Che per propria innata propensione tende ad affiorare in luoghi molto specifici dei fondali oceanici, chiamati camini o cold seep (pozzi freddi) proprio per distinguerli da luoghi simili caratterizzati dalla fuoriuscita di sostanze gassose incandescenti che rendono invivibili gli immediati dintorni. Nel mentre qui fioriscono, del tutto indisturbate da invasioni estranee di possibili nemici, indivise moltitudini di forme di vita, la cui biodiversità ha più volte messo alla prova i presupposti posseduti dagli scienziati. Molluschi, granchi bianchi come l’osso, vermi, gli eleganti cnidari e qualche occasionale pesce. Nonché uno dei veri maestri nell’abilità deambulatoria di un particolare tratto di fondale, il “ragno” di mare o picnogonide, creato dalla natura con i crismi operativi di un sofisticato procacciatore di prede. Ma che in base ad un nuovo studio scientifico (Bianca Dal Bó et al, rivista PNAS) proprio in questo ambiente si sarebbe rivelato in grado di trovare un suo sentiero alternativo verso la prosperità: coltivare quei preziosi batteri, sull’esoscheletro che protegge il suo stesso corpo…

A fronte di una lunga serie di osservazioni e campioni raccolti presso i camini californiani di Del Mar e Palos Verde, in aggiunta a quello delle isole Aleutine di Sanak, la squadra principalmente composta da ricercatori della Scripps Institution, il California Institute of Technology ed altre istituzioni accademiche di Los Angeles ha dunque sottoposto multipli esemplari di questa misteriosa discendenza dei chelicerati di superficie, principalmente appartenenti al genere Sericosura, ad approfondite analisi spettrografiche e chimiche, così da provare in modo molto chiaro quanto pochi avrebbero avuto la propensione di aspettarsi. Un tipo di relazione simbiotica la quale, in effetti, risulta essere infrequente persino in questo tipo di ambienti naturali, comportando la perfetta comunione di due creature di ordini di scala estremamente diversi. Questo il comprovato metodo degli artropodi in questione, non più larghi di un paio di centimetri includendo anche le agili zampe, con un conseguente piano biologico che vede molti dei propri organi situati proprio negli arti in questione, ivi incluso il sistema digerente, quello respiratorio e riproduttivo nonché, nel caso delle femmine, le sacche di contenimento delle preziose uova fecondate, mantenute in questo modo al sicuro dallo sguardo di eventuali nemici. Ed è stato proprio in corrispondenza di quest’ultime, in aggiunta alle zampe stesse, che gli scienziati hanno rintracciato la maggior concentrazione di batteri appartenenti alle famiglie Methylomonadaceae e Methylophagaceae, in posizione tale da permettere facilmente all’ospite di nutrirsene ogni qual volta ciò diventi necessario per rimettere in moto il proprio lento, ma cionondimeno esigente metabolismo. Molto significativo, in tal senso, l’associazione topica degli epibionti con parti anatomiche coinvolte direttamente nella riproduzione, lasciando sospettare in modo empirico che il trasferimento dei preziosi microbi avvenga proprio al momento della nascita, assicurando in questo modo una continuità del rapporto vantaggioso per entrambe le forme di vita coinvolte. Assicurando alla coltura batterica, che accetta in questo modo una vita in subordine in cui parti vengono ripetutamente fagocitate, la sopravvivenza a lungo termine in un luogo meccanicamente protetto, mobile e capace di difendersi da eventuali pericoli transitori. Nonché la pertinenza pressoché esclusiva di una nicchia ignota ai propri principali avversari, tutti quegli altri microbi che non hanno acquisito tecniche di condivisione e convivenza con i propri giganteschi dominatori a otto zampe.
Abitatori principalmente bentonici dei fondali, i ragni di mare sono a tal proposito dotati della capacità di sollevarsi nella colonna acquatica e nuotare a distanza quando necessario, sebbene nel particolare ambiente dei camini idrotermale avrebbero ben poche destinazioni possibili a disposizione. Potendo dirigersi unicamente verso le limitate isole trofiche, create in profondità dal decesso e temporanea abbondanza dell’occasionale balena ormai prossima alla totale decomposizione e disfacimento. Il che porta alla creazione di comunità molto gremite, con conseguente facilitazione del processo riproduttivo, che vede per i membri del genere Sericosura l’esistenza di due sessi distinti. Assieme all’utilizzo della fecondazione esterna, tanto facilmente influenzabile in altri luoghi causa l’esistenza di correnti trasversali capaci di spostare il materiale genetico dalla congiuntura desiderata. Un ostacolo del tutto inesistente, in luoghi dove tutto è statico e invariabile da incalcolabili generazioni occorse.

Complicato e interconnesso è il sistema ecologico he permette l’esistenza di quel mondo naturale di cui noi stessi, nonostante l’ostinata opinione di alcuni, facciamo imprescindibilmente parte. Una realtà brulicante in cui ogni singolo dente dell’ingranaggio, ciascuna ruota e scappamento, è altrettanto fondamentale alla prosecuzione d’interconnessioni più antiche di qualsiasi civiltà creata dai superbi appartenenti al genere Homo. Comprovati possessori della fiamma indiscutibile della sapienza. Ma non per questo, i soli praticanti di quegli approcci di coltivazione o allevamento lungamente funzionali che trovano collocazione nella strategia dei ragni. Che sfidano le cognizioni facenti parte del senso comune, sostituto non del tutto conforme dell’altrettanto collaudato, o addirittura maggiormente utile, flusso delle informazioni generazionali: l’istinto. Potendo affidarsi unicamente alla massa ganglionica di un proto-cervello in prossimità del proprio esofago, per raggiungere il coronamento ultimo della propria stessa eminenza.

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