Nascita e deflagrazione del castello costruito per serbare le più care armi della vecchia New York

Alto e cupo, superbo a vedersi, sorge lungo il fiume Hudson come un OOPArt (artefatto misterioso) fuoriuscito da un portale verso l’epoca dei laird sui loro scranni di quercia e delle scintillanti spade che si accompagnavano alle cornamuse degli Altipiani. Finché a bordo del kayak d’ordinanza, l’aspirante visitatore non si appresta alla fronzuta landa emersa gettando sguardi più vicini a quella rovina dolorosamente frantumata, con due sole pareti ancora in piedi ed ormai simili alla falsa facciata delle residenze rese celebri nel vecchio Far West. Torrioni parzialmente sventrati, vecchie strade invase dal muschio e le grida ululanti di numerosi fantasmi. Un cavallo che fugge, a quanto si narra. I guerrieri di Toro Seduto in persona. Numerosi soldati in uniforme di svariate epoche tra il Medioevo e i nostri giorni. Nonché grazie al mondo della letteratura, troll baffuti, gatti parlanti ed una misteriosa donna di nome Eleanor. Pronta ad accogliere con grazia gli sconosciuti, per narrargli della lunga storia ed ascendenza della cara, commerciale, sfortunata isola di Pollepel.
Narra la leggenda della storia familiare dei Bannerman di Dundee, Scozia, che nel 1314 un avo di quella linea di sangue, appartenente in origine al clan Macdonald, avesse accompagnato il grande Re degli Scozzesi, Robert Bruce, nella drammatica battaglia di Bannockburn. E che in quel punto di svolta della rivoluzione scozzese, mentre le forze di Edoardo II d’Inghilterra venivano respinte su ogni fronte, quest’individuo noto solamente come Francis avesse notato la caduta accidentale in terra dello stendardo con il leone dalla lingua rossa, raccogliendolo e sollevandolo per dare coraggio alle truppe impegnate nella mischia selvaggia. Al che il sovrano, notando l’eroico gesto, ne avrebbe insignito l’autore con un nastro prelevato direttamente dalla croce di Sant’Andrea, dichiarando con voce stentorea: “Da quest’oggi sarai noto come Bannerman (Vessillifero) e che ciò possa arrecarti la gloria di cui sei degno.”
Un episodio che il suo omonimo nato nel 1851, Francis “Frank” Bannerman VI avrebbe presto appreso per filo e per segno, successivamente allo sbarco ad Ellis Island con i propri genitori che avevano deciso d’immigrare per cercare fortuna nel Nuovo Mondo. Assieme al racconto della partecipazione familiare alla Gloriosa Rivoluzione del 1689 che aveva portato alla deposizione di Giacomo II e la partecipazione del suo stesso padre alla guerra civile tra gli Stati e conseguente emancipazione degli schiavi nordamericani. Un’educazione dunque dalle implicazioni fortemente militari, che l’avrebbero portato fin da ragazzo a frequentare le spiagge dell’Hudson, ritrovando antiquati reperti che in seguito metteva in vendita ai collezionisti facendo le sue prime esperienza nel mondo degli affari. Un hobby destinato a diventare il suo futuro, se è vero che nel 1865 all’età di soli 14 anni, con l’aiuto dei genitori avrebbe aperto un negozio presso il cantiere navale di Brooklyn, che dovette trasferirsi per mancanza di spazio entro soli due anni in un’officina per le barche su Atlantic Avenue, che iniziò gradualmente a riempirsi di reperti sempre più pregiati, come sciabole, fucili, mitragliatrici, cannoni e la più incredibile quantità di munizioni, rigorosamente ancora utilizzabili per fare fuoco in base alla stimata tradizione statunitense. Il che avrebbe portato a un certo punto i suoi vicini a lamentarsi del potenziale rischio d’esplosione con la città, che intimò al giovane affarista scozzese di trasferire la sua azienda fuori città. Un obbligo che egli avrebbe trasformato, come un vero seguace del grande sogno americano, in opportunità…

La costruzione del castello di Bannerman su un’isola scoperta casualmente da Francis durante un’escursione, il primo posseduto fuori dalla Scozia dall’antica ed onorata famiglia, avrebbe dunque avuto inizio nell’anno 1900. Quando il suo committente, ormai celebre nel proprio settore d’interesse come autore, tra le altre cose, di una serie di cataloghi ancora oggi considerati tra le migliori fonti d’informazioni per gli appassionati d’armi d’epoca, decise d’investire le notevoli finanze e cimentarsi in modo molto personale nel settore inesplorato dell’architettura naïf. Allorché realizzando un preciso disegno, basato sulle fortificazioni più affascinanti che aveva conosciuto durante i suoi molti viaggi in Europa, diede mansione agli ingegneri di trasformare il suo sogno ideale in verità: feritoie scozzesi, bastioni prelevati dalla Bavaria, un frontone decorativo avvistato in Italia. Gradualmente, con tutta la perizia possibile visto l’impiego di gente comune per le maestranze reclutata nel vicino villaggio di Fishkill, il ponderoso edificio cominciò a prendere forma su quella che all’epoca veniva chiamata l’isola di Pollepel, ovvero del “cucchiaio di legno” in olandese, fin dall’epoca della sua scoperta ad opera dei primi coloni di New Amsterdam, la cittadina che sarebbe diventata in seguito Nuova York. Quindi, una volta finito di dipingere le pareti esterne fece scrivere su quella più ampia la chiara dicitura “Bannerman’s Island Arsenal” come una sorta di Ikea ante-litteram, benché ricolmo di quello che costituiva probabilmente il più impressionante repertorio di armi ed attrezzatura bellica in possesso di un privato statunitense. Con il tempo, la magione crebbe ulteriormente mentre il proprietario continuava ad accrescere il suo successo nel settore eclettico dei commerci d’armi, investendo nella costruzione di un vero e proprio porto d’approdo, nonché una dimora estiva simile al castello principale, ma posizionata a rispettosa distanza di sicurezza. Ma tutto sembrò andare per il meglio almeno finché nel 1918, all’età di 67 anni, Francis non passò a miglior vita.
E ci sarebbero voluti soltanto altri due anni perché la presunta maledizione dell’isola non iniziasse finalmente a colpire, assumendo la forma di una catastrofica quanto repentina esplosione che sventrò letteralmente l’edificio principale, inviando pezzi del suddetto ad ostruire la navigazione sul fiume per diversi giorni. E mancando per poco di uccidere, a quanto si narra, la stessa vedova Bannerman, che aveva da poco lasciato un patio che venne letteralmente fatto a pezzo dai pesanti detriti. Il che l’avrebbe portata in seguito (comprensibilmente) a trasferirsi ed i suoi eredi a vendere la proprietà allo stato nel 1950, poco prima che un vaporetto finisse accidentalmente per scontrarsi durante una tempesta con i vecchi residui delle strutture acquatiche del castello, causando una seconda esplosione che avrebbe compromesso ulteriormente l’integrità del sito. Poco prima che gli “esperti” assunti dall’Ente Parchi svendessero come rottami la più significativa parte delle antiche, pregevoli armi contenute nei suoi magazzini. Ma la disgregazione progressiva, per il primo castello scozzese-americano, non aveva ancora finito di compiere il suo doloroso corso…

Diventato celebre per qualche tempo nella seconda metà del XX secolo come meta turistica per escursionisti in cerca di un’affascinante avventura, in quel periodo il castello dell’isola subì il suo terzo e penultimo disastro: un incendio, probabilmente doloso, che distrusse quanto quel poco che era rimasto ragionevolmente integro dei suoi originali ambienti interni. Verso il compiersi di un ulteriore ed irrecuperabile degrado, che avrebbe visto nel 2009 il crollo inevitabile di una parte significativa delle mura tanto ostinate da essere rimate ancora in posizione verticale. Ragion per cui ad oggi, le rovine che serbano ancora una forma riconoscibile sono state puntellate soltanto grazie ai finanziamenti ed agli sforzi del Trust di Pollepel, un’associazione gestita in parte anche da una discendente diretta della famiglia dei Bannerman.
Contro l’incedere dell’incessante crudeltà del tempo, che ogni opera dell’uomo divora, come si trattasse di una scultura di ghiaccio al sopraggiungere inclemente della primavera. Permettendo alle nostre più elevate aspirazioni di risplendere un’ultima volta sotto l’astro diurno, offrendoci false speranze prima di decadere. Benché l’arco temporale di ciascuna cosa sottoposta ad entropia tenda, in modo inevitabile, a variare. E sia spesso la fluttuante legge della Sorte, qualche volta avversa nonostante i presupposti, a decidere la lunghezza non esattamente collettiva della memoria.

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