L’ascensore genovese che oltrepassa il muro della traslazione binaria

La particolare conformazione fisica di Genova, costruita su una serie di colline che s’intersecano andando a scomparire verso il Mediterraneo, comporta nella maggior parte dei casi soluzioni per la viabilità dall’alto grado di adattamento specifico e perizia logistica ingegnerizzata. Anche nel significativo catalogo di strade inclinate, ponti, filobus, viadotti, tram, funicolari e altri approcci alla mobilità civile, d’altronde, vi è un caso che fuoriesce ad un tal punto dalla norma del senso comune, non soltanto italiano ma persino d’impronta globalizzata universale, da essere paradossalmente diventato più famoso (almeno su Internet) dello svettante complesso a cui dovrebbe agevolare l’ingresso. Un aspetto senza dubbio singolare, quando si considera come il sito in questione sia niente meno che il castello neogotico d’Albertis, fatto costruire nel XIX secolo dal facoltoso esploratore e capitano di marina omonimo, oggi ospitante il più notevole museo ligure dedicato alle culture di tutto il mondo. Così chiamato benché dedicato in modo specifico alle popolazioni indigene di America, Africa e Oceani. I cui appartenenti all’epoca mai, e poi mai, avrebbero potuto immaginare di salire a bordo di una tanto eclettica cabina semovente, capace di spostarsi come quella del finale cinematografico de La fabbrica di cioccolato con Gene Wilder “Sopra, sotto, avanti, dietro e di lato.”
Con finalità molto più attentamente calibrata ed offrendo soluzioni ad un problema di natura estremamente pratica, relativo a semplificare l’accesso dalla Stazione Centrale di Piazza Principe al viale 72 metri più in alto di Via Balbi, che collega piazza della Nunziata alla Basilica del Vastato. Nello stesso modo in cui avveniva già dal remoto 1929, con quello che aveva costituito all’epoca uno dei maggiori impianti costruiti dalle linee del trasporto urbano AMT: la cabina con capienza significativa in grado di elevare fino a una ventina di persone alla volta, a patto che fossero disposte a camminare per circa 300 metri all’interno di un tunnel fino al punto d’ingresso nel cuore della collina, in modo analogo a quanto avveniva per determinate stazioni della metropolitana cittadina. Ma con un significativo punto di forza: un prezzo del biglietto notevolmente minore. Tanto da rendere la tratta un caposaldo beneamato fino alla prima modernizzazione delle cabine nel 1965 e per ulteriori trent’anni destinati a concludersi nel 1995, per una temporanea chiusura ed ulteriori lavori di significativo ammodernamento. Fu a partire da quel momento dunque che, coinvolto l’ingegnere Michele Montanari e l’impresa Maspero Elevatori di Como, si elaborò il progetto di un sistema fondamentalmente migliore, pur non avendo mai trovato applicazione pratica prima di quel momento. Fu l’inizio, in un certo senso, di una leggenda…

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Il castello di caverna che fu l’ultima dimora dello sfortunato Robin Hood dell’Europa Centrale

Siamo in Europa verso la fine del XIII secolo: le arti, la cultura e la musica dimostrano gli effetti di un significativo aumento di complessità mentre le principali corti nazionali raggiungono e tutelano un livello di coesione privo di precedenti per i rispettivi paesi d’appartenenza. La Reconquista nella penisola Iberica, e le crociate a Oriente condotte primariamente sotto l’egida dei Cavalieri Teutonici hanno restituito quello spazio al Cristianesimo a cui aveva sempre sentito di avere diritto, mentre lontano a Oriente il condottiero mongolo unisce le orde in quello che diventerà presto l’esercito più forte del mondo. Nel 1215 in Inghilterra, Re Giovanni Plantageneto aveva firmato la Magna Carta ma siamo ancora ben lontani dall’istituzione di un sistema di organizzazione sociale capace di tutelare la stragrande maggioranza delle persone. Così sul finire del centennio, i patriarchi di Oglej decidono di costruire a Luegg nell’odierna Slovenia il proprio castello. Esso enfatizza ulteriormente, grazie alla posizione imprendibile e incombente, la loro appartenenza ad uno strato superiore di popolazione, inviso e ostile alla diffusa sudditanza dei loro sottoposti. Ma non per questo scevri di dovere da osservare ed entità capaci di limitarne i poteri. Così entro un centinaio d’anni, le loro cariche sono mutate nella qualifica di cavalieri di Predjamski, al servizio del Sacro Romano Impero e per estensione, l’austriaco Federico III d’Asburgo. Essi dominavano la terra fino ai confini dell’odierna Italia, dalla cima di una rupe alta 150 metri eppure ben sapevano che ogni diritto poteva essere tolto, ciascuna prerogativa, costituire l’oggetto di un vezzo momentaneo dedicato alla loro totale e irrimediabile devastazione. In tal senso si trattava di un delicato equilibrio eppure intessuto a tal punto che soltanto a una persona eccezionale, con tutta l’intenzione di liberarsene, sarebbe potuto riuscire di scardinarlo. Quel qualcuno sarebbe nato intorno al 1420, proprio tra queste mura, ed il suo nome fu Erazem (Erasmo) Predjamski. Egli era, da ogni punto di vista tramandato, un eccellente e consumato guerriero, ma dotato di un ideologia notevolmente problematica per i suoi tempi. Tanto che una celebre leggenda lo vede allineato politicamente con Mattia Corvino, il sovrano giusto ed eroe popolare ungherese, che tra il 1458 ed il 1490 era tanto incline ad ascoltare i problemi del suo popolo, da trasvestirsi come una persona comune e vagare in gran segreto tra i confini del regno. Che ciò fosse vero o meno, nella maniera articolata anche in una serie di racconti popolari ed alcuni romanzi sloveni, è ragionevolmente comprovato dunque che ad un certo punto Erasmo avesse scelto di percorrere la via del fuorilegge, assaltando alcune carovane appartenenti ai suoi vicini feudali, per ridistribuirne le ricchezze ai bisognosi del territorio. Benché esista una vicenda alternativa in cui egli avrebbe fatto adirare, piuttosto, l’Imperatore con un duello non autorizzato culminante con la morte del suo maresciallo Pappenheim, che aveva mancato di rispetto a un compagno d’armi del cavaliere recentemente caduto in battaglia. Ciò sarebbe avvenuto attorno all’anno 1483-84. Quale tra queste due fosse stata effettivamente la ragione, entro pochi mesi il governatore di Trieste, Andrej Ravbar, venne inviato alla testa di un esercito per catturarlo, uccidere i suoi uomini e sottoporlo all’opportuna punizione in base ai codici e regolamenti del Medioevo. Ma egli non aveva ancora fatto i conti, in quel momento, con le alte e antiche mura costruite dagli antichi guardiani di Luegg…

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Loarre, il castello di montagna che costituiva l’ultima linea difensiva dei regni d’Europa

Certe cose erano più dirette all’epoca, meno stratificate. Ma la politica, una fitta rete di alleanze tra le opposte dinastie, regni e culture distanti, non rientrava di sicuro in tale visione semplicistica del Medioevo. Così quando Carlo Magno, il re più potente del suo mondo riuscì a portare a termine la riconquista della città di Saragozza alla fine dell’VIII secolo, sconfiggendo il sovrano islamico dell’Emirato di Còrdoba e installando il nuovo territorio della Marca Ispanica, la situazione era ben lontana dall’essere risolta. Mentre gli eserciti cristiani dilagavano e conquistavano la regione a meridione dei Pirenei, i loro nemici infatti si riorganizzavano ed infine riuscirono a sconfiggere le forze di spedizione, nella difficile battaglia di Roncisvalle (la cui vicenda è narrata nella Chanson de Roland). Ma l’asse del potere era ormai cambiato, ed una costellazione di piccoli domìni formati dalla popolazione locale, alcuni dei quali più forti di altri, erano riusciti a imporsi sui propri rispettivi dominatori di el-Andalus. Il più grande dei loro rappresentanti, nel tempo, sarebbe diventato Sancho Garcés II della fiorente città stato di Pamplona, dopo il suo fortunato matrimonio nel 925 con l’unica erede e figlia di Galindo II Aznárez, conte di Aragòn. Ed è al passaggio di una manciata di generazioni, nel periodo immediatamente successivo all’anno Mille, che troviamo il discendente di questa unione Sancho Garcés III all’apice della propria posizione di preminenza, tanto da meritarsi l’agognata qualifica di el Mayor. Governante forte, capo militare di successo, egli era anche e soprattutto incline a mantenere aperti i rapporti diplomatici con gli antichi alleati al di là dei Pirenei, ivi inclusi Roberto II di Francia. Guglielmo V d’Acquitania ed Odo II, conte di Blois e Champagne. Ragion per cui non poté in alcun modo esimersi dal dare lustro alla propria specifica collocazione geografica, accettando di buon grado il ruolo di porta invalicabile, ovvero barriera stolida contro la possibile venuta degli Infedeli. Così egli decise di far costruire in un punto strategico il castello che avrebbe cementato il proprio ruolo in tal senso; una fortezza capace di dominare l’intera valle verdeggiante della Huesca, ospitando forze militari pronte a ricacciare chiunque avesse l’intenzione di usurpare le competenze amministrative ed ereditarie dei suoi ancestrali possidenti. Un alta rocca costruita in stile Romanico, possibilmente presso il sito di un’antico castrum dell’Imperium Romano, strutturato attorno alla torre di cinque piani che oggi porta il nome di el Homenaje. Struttura a pianta rettangolare da cui venne posto ad estendersi un muro di cinta con seconda torre di guardia chiamata “della Regina” abbastanza alta da permettere l’appostamento di arcieri, mentre gli occupanti avrebbero potuto beneficiare di un capiente magazzino al livello del terreno ed alloggi presso quelli superiori. Ben poco potevano immaginare all’epoca i suoi costruttori, di come il fronte di battaglia delle guerre di religione fosse stato spostato ormai in maniera permanente verso la parte sud dell’odierno territorio spagnolo, relegando questa poderosa struttura al ruolo di un possente, quanto inutile monumento. Almeno finché non giunse a costituire, col trascorrere dei secoli, una notevole quanto insostituibile capsula del suo tempo…

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Il ponte naturale del castello sospeso in mezzo al canyon americano

La disponibilità di fonti d’acqua ha in tutto il mondo influenzato e caratterizzato la progettazione urbanistica delle antiche civiltà. Poiché non può sussistere un insediamento, dove la questione idrica resta irrisolta, rendendo l’acqua uno dei carburanti imprescindibili dell’aggregazione umana. Eppure paradossalmente furono proprio alcuni dei gruppi etnici confinati in territori particolarmente aridi, ad industriarsi per trovare fonti dove non pareva essercene alcuna, costruendo dighe, serbatoi di cattura della pioggia, deviando il corso di piccoli fiumi o torrenti. Gli Anasazi furono dei veri maestri in questo, edificando il proprio lascito immanente soprattutto nei secoli tra il decimo e il quattordicesimo d.C, nella regione progressivamente più inospitale dei Quattro Angoli, situata in corrispondenza dell’incontro tra gli stati rettangolari di Utah, Colorado, Arizona e Nuovo Messico. Eppure, persino tra l’ampio novero delle rovine delle loro costruzioni, spesso incorporate nei paesaggi rocciosi o sopra il ciglio dei burroni, riesce a distinguersi la possente cittadella di Road Canyon, nella regione archeologica di Cedar Mesa presso la contea di San Juan nello Utah. Per inaccessibilità ed potenza strategica, ma anche l’apparente surrealismo del suo contesto. Poiché come avrebbe mai potuto resistere a un assedio, un luogo tanto lontano da approvvigionamenti o spazi di stoccaggio idrico latente?
Rovina accertata come risalente al periodo tardo di queste genti, quando le poche comunità rimaste si combattevano in modo pressoché costante le risorse di cui disponevano giungendo spesso a praticare il cannibalismo, questo vero e proprio castello dei cieli avrebbe dunque potuto costituire essenzialmente una di due cose: un sito di stoccaggio per il cibo facilmente difendibile, la cui posizione non sarebbe stata facilmente individuata dall’esercito nemico. Oppure una fortezza temporanea dove ritirarsi per la propria ultima e più strenua resistenza, in maniera analoga a quanto teorizzato nella battaglia tolkeniana del Fosso di Helm. Il che non impedì d’altronde all’ignoto gruppo di Anasazi d’industriarsi a costruirvi un vero e proprio villaggio, incuneato come di consueto sotto il tetto sporgente di una grande pietra d’arenaria color ocra, mediante l’uso di mattoni di adobo per mura solide e durature. Ma accessibile soltanto mediante una struttura geologica tanto spettacolare quanto pratica nel suo contesto evidente; sostanzialmente una cengia o penisola verso il singolo pilastro centrale, posizionato al centro di uno strapiombo alto almeno una trentina di metri. Immaginate dunque di avanzare lungo quel tragitto in un malcapitato tentativo di conquista. Senza valide armature o scudi per proteggere i propri guerrieri, sotto il tiro continuo di frecce, lance ed altri appuntiti implementi, nel tentativo disperato di porre fine ad un conflitto ormai da tempo senza quartiere. Un luogo come questo avrebbe potuto costituire la condanna, in modo ragionevolmente equanime, sia degli aggressori che dei suoi stessi abitanti…

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