La valle giapponese dove il fiume scorre tra i residui prosperosi di un futuro passato

La verticalità costituisce, tra gli aspetti di un centro cittadino, uno degli elementi di maggior fascino utile a costituire il tipo di scorci che vengono definiti convenzionalmente “da cartolina”. Così luoghi visti da lontano, in bilico su valli attraversate da un profondo torrente, trovano collocazione nella nostra fantasia come l’equivalente contemporaneo di luoghi fiabeschi o fantastici. E non c’è corso d’acqua più conforme a tali crismi visuali, del Kinugawa nella prefettura di Tochigi, non lontano dalla città di Nikkō, il cui nome in kanji (鬼怒川) significa letteralmente “Fiume dell’Orco Rabbioso” con riferimento pratico alle numerose inondazioni, subite dalla popolazione locale in epoca pre-moderna con gravi conseguenze per l’agricoltura e l’abitabilità della zona. Questo almeno finché l’invenzione del cemento armato, delle fondamenta dotate di pali d’acciaio, degli edifici alti e solidi posizionati strategicamente sopra zoccoli pietrosi sopraelevati, non avrebbe permesso attorno agli anni ’80 la superba costruzione di un intero resort, proprio sotto l’occhio distaccato degli antichi Dei delle acque che scorrono. All’ombra di alberi secolari ed inconsapevoli colline erbose. Creando un contrasto… Interessante. E indelicato. Nulla, tuttavia, avrebbe potuto preparare gli scoiattoli e tanuki di zona alla casistica destinata a verificarsi nel giro di appena mezza generazione. La solenne dipartita di ogni accenno visibile d’umana civilizzazione. Con il conseguente sopravvivere di quello che può essere soltanto descritto, da ogni punto di vista rilevante, come il più desolato dei luoghi.
Ecco allora che il convenzionale visitatore, avvicinandosi maggiormente allo scenario, magari dopo aver percorso il caratteristico ponte sospeso all’ingresso di questo ex-polo turistico di grande popolarità, inizia a intravedere qualcosa di profondamente ed innegabilmente Sbagliato. Le facciate derelitte dei titanici ecomostri, con finestre talvolta mancanti e piante d’edera pesantemente abbarbicate all’intonaco esterno. Le porte sbarrate degli edifici, oppure del tutto mancanti, lasciando intravedere all’interno il tipico caos di un luogo abbandonato all’improvviso, dopo il passaggio di ondate successive di ladruncoli ed “esploratori urbani”. Nella peggiore accezione del termine in questo caso, benché non manchino praticanti etici di questa disciplina dei nostri giorni, generalmente responsabili di alcuni dei video-reportage più interessanti reperibili in mezzo alle pieghe periferiche di YouTube. Di cui molti sono passati, come rilevabile nel repertorio degli ultimi anni, in questo sito dalla posizione geografica piuttosto conveniente, lungo un’arteria stradale a poche ore da Tokyo e una distanza ancor più raggiungibile mediante l’uso dei veloci treni locali. Per trovarsi nell’ideale punto di collegamento, tra tutto ciò che avrebbe potuto essere, e l’oscura deriva di un paese storicamente associato ad un’ampia serie di disastri. Tra cui forse il più terribile di tutti, in fin dei conti, resta l’uomo…

L’onsen (bagno termale) di Kinugawa aveva d’altra parte costituito, fin dall’epoca Meiji antecedente alla prima guerra mondiale, un sito di primario interesse per quel turismo domestico che ha storicamente costituito una delle fonti di guadagno più affidabili del moderno Giappone, particolarmente apprezzato dai monaci che si recavano in pellegrinaggio presso il celebre santuario di Nikkō. Con l’inizio del periodo contemporaneo dunque, e l’affermarsi del lavoro all’interno delle grandi compagnie supportate dall’elite politica ed economica nazionale, questo luogo riuscì ad acquisire verso la metà del secolo scorso l’invidiabile status informale di okuzashiki o “luogo di ritiro nascosto” dove ci si aspettava che gli stipendiati (i cosiddetti salarymen) potessero trascorrere le loro ferie annuali, assieme alla famiglia e/o, ancor meglio, gli stessi colleghi e capo dell’ufficio di appartenenza. Nel lungo periodo in cui il Giappone uscito dalle proprie mire imperiali ed autoritarie cavalcò la spinta degli aiuti statunitensi successivi al chiudersi del conflitto, il resort fluviale crebbe in modo esponenziale diventando uno di quei luoghi in cui la natura veniva posta in subordine, rispetto all’ostentazione dei valori e metodi procedurali dell’invitante modernità priva di compromessi. Mentre l’accorciarsi delle distanze grazie all’introduzione dei moderni sistemi di collegamento, di pari passo, contribuiva ad incrementare ulteriormente l’attrazione apparentemente magnetica di questa intrigante destinazione, destinata ad arricchirsi di luoghi di divertimento, punti di ristoro, persino un paio di luna park. Raggiunto l’apice all’inizio degli anni ’80, Kinugawa diventò anche un modo pratico per investire le impressionanti quantità di risorse pecuniarie accumulate dalle banche durante la crescita di quella che viene definita l’economia della bolla (バブル景気, baburu keiki) destinata a far lievitare esponenzialmente il valore “teorico” delle azioni in borsa ed un’ampia varietà di proprietà immobiliari. Questo almeno finché nel 1992 la banca del Giappone non decise in modo precipitoso d’incrementare i tassi d’interesse, precipitando e rendendo inevitabile un crollo pressoché immediato del valore dello yen, con conseguente inizio della cosiddetta decade perduta. Molte aziende ed istituzioni finanziarie andarono ben presto in bancarotta, ivi inclusa la banca di Ashikaga responsabile in parte significativa dei finanziamenti per il non più tanto redditizio onsen a nord di Tokyo. Con alcuni hotel rimasti aggrappati al sito fino all’inizio degli anni 2010 infine, il verificarsi di un evento naturale si occupò del resto. Il grande terremoto del Tohoku nel 2011, con conseguente incidente alla centrale di Fukushima. Che pur trovandosi ad un centinaio di chilometri dal sito, fece registrare un aumento sensibile di radiazioni presso una scuola elementare nei pressi della stazione ferroviaria di Kinukawa Koen. Chiaramente, la tolleranza pubblica per questo tipo di problematiche risulta particolarmente bassa, nel caso in cui si stia scegliendo una destinazione per le proprie sospirate vacanze…

Laddove il Covid, come si usa dire per questa tipologia di casi, si sarebbe occupato del resto. Per una non-città costituita oggi da un’atipica mescolanza di strutture turistiche ancora funzionali ed interi quartieri pesantemente urbanizzati ma rimasti totalmente privi di abitanti, l’onsen di Kinugawa si presenta come una visione possibile del futuro derelitto dell’umanità, conforme a quella di molte pellicole post-apocalittiche sul tema degli zombies o altri disaster movies sulla stessa falsariga creativa. Oltre ad un parco giochi senza pari per i praticanti dell’urbex, ma questa e tutta un’altra storia. E soprattutto dal punto di vista di determinati paesi europei, può costituire il monito dell’inevitabile destino di un luogo in cui la crisi delle nascite continui sufficientemente a lungo, mentre l’afflusso di nuove fasce di popolazione viene severamente scoraggiato con tutti i metodi disponibili, così come fatto dai diversi governi che si sono succeduti ai vertici dell’amministrazione dell’arcipelago al confine d’Asia. Là dove il concetto di Akiya (空き家) la “casa vuota” è una condizione prevedibile e ricorrente in molte piccole comunità rurali, ormai in stato di avanzata desertificazione umana. Mentre il trascorrere del tempo continua a fare ciò che gli riesce meglio: riprendere l’assoluto controllo, senza pregiudizi apprezzabili, di quegli spazi che avevamo tentato di sottrarre in modo perpetuo alla Natura.

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