Molte delle questioni scientifiche capaci di acquisire la condizione di viralità su Internet, diffondendosi a macchia d’olio sui molteplici canali paralleli e gruppi di confronto d’opinioni online, riescono ad accedervi mediante l’accompagnamento di un immagine notevole o in qualsiasi modo fuori dall’idea comune o percezione dello spazio immanente. Una finalità più facilmente perseguibile qualora sia possibile, per chi sceglie la didascalia di turno, alimentare un qualche tipo di utile fraintendimento. Vedi l’idea, possibile ma certamente non probabile, che un fenomeno luminoso particolarmente inquietante dalla forma di una ciambella piatta e rossa, abbastanza vasto da estendersi tra la cima degli Appennini e la costa della Croazia, possa essersi trovato ad incombere per un tempo rilevante sulle nostre teste, senza che una percentuale particolarmente alta della popolazione possa averne impresso una fedele immagine nei diari della propria memoria. Ed è qui che appare utile, ancor prima d’intavolarne una trattazione, menzionare “casualmente” la maniera in cui l’ELVE o Elf ritratto nella foto scattata da Possagno il 27 marzo ad opera di Valter Binotto, esperto documentarista e cacciatore di TLE (Eventi Luminosi Transienti) abbia avuto una durata del suo spettro visibile pari ad una mera frazione di secondo. Effettivamente catturato su pellicola soltanto grazie all’artificio, frutto della tecnologia moderna, di un video registrato con un alto numero di fotogrammi, tra cui fermare e pubblicare quello risultante, per ovvie motivazioni, maggiormente funzionale a suscitare nuove linee di ragionamento. Il che quadra pienamente col pregresso scenario dello studio di questa intera categoria di fenomeni, generalmente fatto risalire al 6 giugno del 1989, quando il ricercatore del Minnesota R.C. Franz lasciò una videocamera puntata verso il cielo notturno per l’intero trascorrere di una notte tempestosa. Riuscendo finalmente a immortalare quella lunga serie di bagliori rossastri dalla forma vagamente colonnare di cui molti avevano parlato in termini poetici attraverso i secoli, attribuendoli a presenze ultramondane o l’ira inconciliabile dei giganti. Fino all’ulteriore conferma, nell’ottobre del 1989, giunta dalla pubblicazione delle fotografie scattate dall’orbita durante la missione dello Space Shuttle STS-34, che oltre alle suddette immagini chiamate in gergo sprites o spiriti (vedi) ne identificò un tipo nuovo dalla forma e progressione totalmente distinta. Tanto da meritare l’acronimo identificativo sopra menzionato, corrispondente all’intera frase in lingua inglese “Emission of Light and Very Low Frequency perturbations due to Electromagnetic Pulse Sources” – ELVES ovvero il plurale dell’immortale razza con le orecchie a punta, le cui vicissitudini hanno arricchito la mitologia di parecchi paesi. Numerose parole, e qui appare logico sospettare anche l’intento tipicamente statunitense di arrivare ad un acronimo dal doppio significato, per riferirsi a quella stessa immane visione così documentata da Binotto da una semplice finestra del suo appartamento. Potendo approfondire visualmente il nocciolo della questione, ovvero quale possa essere l’esatta origine di un così agghiacciante prodigio…
meteorologia
Il respiro spaventoso degli alberi nel mezzo dell’instabile foresta canadese
L’essenza e l’entità degli alberi, in un caotico complesso che ricopre ancora spazi più considerevoli di quanto siamo indotti a ricordare, condiziona l’estensione delle prospettive umane. Se oggi o domani, per un qualsiasi tipo di ragione immaginabile, tutti gli arbusti della Terra avessero ragione di ribellarsi, la nostra fine non sarebbe poi così diversa da quella di Macbeth o Saruman, personaggi letterari destinati a rendere terribilmente esplicito l’innato timore collettivo nei confronti del frondoso e radicato mondo parallelo al nostro. Un groviglio di città, un dedalo di strade interconnesse, radicate, collettivamente sovrapposte. Di creature molto lente ma che sembrano pur sempre possedere un piano, sussurrato tra le fronde grazie allo strumento che traduce un simile linguaggio, il vento che sia agita negli strati superiori della foresta. Mi pare logico e del tutto ragionevole, tuttavia, affermare che qui si sta decisamente esagerando: in un giorno in apparenza come tutti gli altri, digitalizzato in verticale grazie all’uso della fotocamera nel proprio smartphone, in cui l’utente noto semplicemente come Tonie si ritrovò a fare un’escursione nella proverbiale selva oscura durante il 2019, ché la diritta via era smarrita. Preambolo di quanto a dire il vero, forse, anche un’abitante della Columbia Inglese sarebbe stato mai davvero incline ad aspettarsi: come un sommuoversi sinuoso, della terra stessa sotto i propri piedi, l’arcana oscillazione del paesaggio assecondata dall’ondeggiamento degli alberi stessi. Ritmico ed orribilmente ricorsivo, avanti e indietro, sopra/sotto, avanti e indietro. In altri termini una logica approssimazione, di ciò che avrebbe luogo ad essere nel caso di una grande bestia lungamente sopita, il dragone verde pronto a ritornare tra i coscienti per poter dare un approfondito sguardo a quello che è successo nel tempo intercorso. Il preambolo palese, nel nostro problematico caso, a possibili rivalse non del tutto prevedibili o in qualsivoglia modo opportune.
Il che giustifica di per se, almeno in parte, l’evidente assenza di giudizio messa in mostra dal vasto pubblico dei soliti commentatori, pronti a dare il “merito” di tale contingenza ad ogni sorta d’improbabile intervento sovrannaturale, o ad ogni modo collegato a eventi fuori dalla percezione logica del nostro mondo prevedibilmente terreno. Parallelamente a quanto fatto da una schiera di persone maggiormente ragionevoli, pronte a citare l’evenienza della liquefazione parziale del sottosuolo, dovuta al crearsi di uno strato di fango a seguito d’ingenti piogge che in effetti, nel caso specifico, hanno ben poco a che vedere con l’assurda esperienza. Un approccio che risulta essere perciò, nonostante le migliori intenzioni, altrettanto errato. Il che ci conduce senza ulteriori indugi o tribolazioni, all’apertura luminosa nell’impenetrabile muraglia dei preconcetti acquisiti, al fine di poter scovare negli archivi internettiani la perfetta giustificazione pratica fornita a suo tempo dal Weather Network di Oakville, Ontario. Qualcosa di molto più semplice, ed al tempo stesso logico, di quanto il senso comune avrebbe potuto riuscire ad elaborare nelle floride regioni della mente…
Roy Sullivan, il ranger della Virginia per sette volte condannato dal sommo Zeus
In una data per lo più incerta situata attorno alla metà degli anni venti del Novecento, un ragazzo e suo padre lavoravano in un campo. Il giovane, attorno ai quindici anni di età, era intento a regolare l’erba mediante l’utilizzo di una falce di metallo, che utilizzava con sicurezza tenendola con entrambe le mani. Il pomeriggio era avvolto nella lieve foschia che nei dintorni delle Blue Ridge Mountains, tanto spesso, sembrava indicare l’avvicinarsi di un temporale. Tuttavia nessuna goccia di pioggia era ancora caduta a terra, ed i due apparivano sereni mentre preparavano il cortile di casa ai tiepidi giorni della primavera. D’un tratto, il ragazzo smise momentaneamente di lavorare, mentre appariva concentrato su qualcosa che aveva visto verso la linea dell’orizzonte. Nel farlo, sollevò la lama della falce in senso perpendicolare al terreno. Il padre si voltò verso di lui sorridendo e fu allora che… Lo vide accadere. Un singolo possente strale di luce, filtrato a tradimento attraverso lo strato inferiore delle nubi, sfogò la sua furia elettrica lungo svariati chilometri di cielo, soltanto per scegliere nell’ultimo tratto la via di minore resistenza: il manico dell’attrezzo tenuto in mano da suo figlio. Il Dio del fulmine aveva parlato. Ma il giovane Roy Sullivan, non sembrava averne subito le conseguenze. Esiste un’anomalia statistica, occasionalmente discussa, secondo cui chi è abbastanza sfortunato da essere colpito da un fulmine, evento probabile soltanto ad 1 contro 10.000, vede aumentare in modo significativo la probabilità di subire tale fato nuovamente prima del termine della sua esistenza. Il che potrebbe anche essere rilevante nel caso di costui, la cui occupazione futura l’avrebbe condotto in età adulta ad entrare a far parte del Servizio Parchi statunitense, trascorrendo lunghi ed operosi anni tra i boschi della regione di Shenandoah, dove diventò famoso tra i colleghi per la sua saggezza proveniente dall’esperienza, la capacità di riconoscere gli alberi e le tracce degli animali. Resta altresì opinabile che questo individuo, reso celebre negli anni da innumerevoli articoli e trattazioni, fino al suo inserimento all’interno del Guinness dei Primati a partire dagli anni ’70, potesse annoverarsi tra i più fortunati dell’intera popolazione terrestre, per la sua capacità di sopravvivere senza particolari conseguenze ad uno degli incidenti più pericolosi tra coloro che trascorrono la propria vita all’aria aperta, quella di essere trasformati nel terminale conduttivo sul finire della più impressionante scarica prodotta dalla condizioni atmosferica del pianeta Terra. Non una, né due o tre volte, bensì almeno sette in aggiunta a quella non verificabile della sua età adolescenziale. Sopravvivendo fino al 1983 quando all’età di 71 anni, inaspettatamente, morì nel proprio letto in circostanze misteriose e per un colpo di pistola alla testa.
Ma prima di parlare della triste fine di una simile leggenda, sarà il caso di percorrere in maniera ordinata i punti più salienti della sua improbabile vita, partendo dal suo primo incontro, volente o nolente, con la devastante furia elettrica della Natura…
12 perfette sanguisughe intrappolate nella giostra che anticipa la bufera
L’aria nella stanza al piano superiore del museo di Whitby appariva stranamente statica, come talvolta càpita nel frangente di quiete che anticipa un qualche monumentale accadimento. Il medico chirurgo George Merryweather, temporaneamente in pausa dai suoi molti impegni nel vicino ospedale, stava visionando alcuni documenti relativi all’inserimento nel catalogo di nuovi fossili provenienti dalle colonie africane, destinati ad occupare gli scaffali più alti del salone al piano terra della prestigiosa istituzione. A fianco dello spazio usato come scrittoio, sul grande tavolo da lavoro, era collocato uno strano marchingegno circolare. Oggetto all’interno del quale, una volta ogni 40 minuti, egli riversava alcuni piccoli contenitori di esche vive, per nutrire gli esseri famelici che vivevano al suo interno. “Ah, la mia piccola giuria di consiglieri filosofici” ripeteva tra se e se talvolta, immaginando un futuro di gloria e fama imperitura per i piccoli animali, acquistati a poco prezzo dalla farmacia del proprio luogo di lavoro principale. Con il proseguire del tardo pomeriggio, e all’addensarsi delle fosche ombre del tramonto, Merryweather aveva quindi cominciato a riporre i documenti in archivio, quando un suono squillante spezzò l’illusione persistente del silenzio. “Dong!” Fece la macchina, richiamando istantaneamente la sua totale attenzione. E mentre si affrettava ad infilare a forza i fogli tra quei mucchi polverosi, nuovamente si udì risuonare in un peana veemente: “Dong! Dong!” Esse sorgono, si svegliano! Lode all’ora del supremo cambiamento. “Ding! Dong!” Prima ancora che potesse risuonare il sesto rintocco, lo scienziato ridestato aveva preso nuovamente in mano la sua penna. E con gesto attento, dava forma al proprio avviso per l’amico e collega posto in quel periodo a capo della Royal Society d’Edimburgo: “Esimio Dr. Young, al momento della ricezione di questo messaggio, consulti gli almanacchi meteorologici di Whitby, nello Yorkshire settentrionale. Sono pienamente certo che, anche stavolta, potrà trovare notizia di copiose precipitazioni e forte vento. Forse la tempesta più terribile di queste parti, da quella che infuriò nella precipua baia di Robin Hood lo scorso inverno…”
Certezza…. Imprescindibile capacità di anticipare il corso degli eventi. Una visione chiara del metodo e lo svolgimento dei processi sopra cui si fondano le mutazioni dell’atmosfera terrestre. Con l’entrata nel vivo dell’Epoca Vittoriana, verso la metà del XIX secolo, l’approfondita comprensione del metodo scientifico e la presa di coscienza in merito al funzionamento della valutazione oggettiva, avevano favorito il diffondersi tra la popolazione di una serie di strumenti scientifici di varia e più o meno utile natura. Principali tra questi, diverse versioni antesignane del concetto di un barometro, l’oggetto in grado di prevenire repentine variazioni climatiche, con chiare conseguenze positive sull’organizzazione delle partenze via mare. Che tanto, troppo spesso sembrava somigliare all’estrazione di un numero fortunato dal bussolotto della lotteria di stato. Possibili risposte tecnologiche a una necessità effettivamente esistente, tra cui forse la più stravagante, eppure stranamente ed innegabilmente precisa, sarebbe derivata dalle attività collaterali di una mente fervida e creativa, appartenente all’uomo che già nel 1832 aveva ottenuto una notevole risonanza con la sua speciale lampada “Platina” capace di produrre luce da un misto economico di alcohol e whisky, per il costo di appena un penny ogni otto ore. Per dedicarsi in seguito, a una decade da quel momento significativo della propria eclettica carriera, alla risoluzione del problema dei suoi giorni, tramite un approccio che potremmo solamente definire come frutto di un’esperienza personale pregressa di assolutamente originale ed insolita natura…