Il gufo che venne dal cosmo, vagando nell’UFO dei boschi notturni

Dopo appena una dozzina di ore trascorse nello spazio di quell’orbita, fu dolorosamente evidente: la Terra non recava in alcun modo traccia di quel marchio, che su scala intergalattica caratterizza il gruppo dei pianeti illuminati. In altri termini, i suoi abitanti non avevano esperienze di contatto pregresso. Né la capacità inerente di comprendere l’aspetto, le motivazioni, le caratteristiche di un abitante del Cosmo Indiviso. Nonostante questo la creatura esploratrice ben sapeva di dover condurre a termine la sua missione; incontrare, comunicare, raccogliere una serie basilare d’informazioni, per conto del Concilio che tutt’ora finanziava i lunghi viaggi e il carburante della sua astronave. Così puntandone la prua verso una regione a caso del continente occidentale, atterrò a poca distanza da una piccola comunità, il cui nome, in base alle intercettazioni pregresse, sembrava essere Flatwoods. Con un senso di ansia latente, indossò laboriosamente la sua tuta protettiva, al fine di poter sopravvivere nell’aria colma di quel velenoso ossigeno, che la stragrande maggioranza delle creature locali sembrava essere in grado di respirare. Con il cappuccio a punta della pace chiaramente erto sopra il capo, la creatura fece dunque i primi passi in mezzo agli alberi della foresta. Gli animali sembravano amichevoli ed estremamente vari per foggia e dimensioni. Mentre iniziava, cautamente, a godersi l’esperienza ne arrivò tuttavia uno di un tipo marcatamente differente. Quadrupede, non particolarmente grande (gli arrivava appeno alle caviglie) l’essere in qualche maniera simile ai lupi di Rigel IV produceva un flusso ripetuto di onde sonore, trascrivibile come “Bark, bark, bark!” Ma la cosa peggiore fu il prefigurarsi tra le fronde di coloro che lo accompagnavano: sette presenze bipedi, due più grandi, cinque abbastanza ridotte da poter sembrare degli esemplari giovani e per questo ancor più imprevedibili nel comportamento. I mostri gridavano ripetutamente il nome del quadrupede, quindi si misero a conversare con fare concitato nella lingua incomprensibile del pianeta. Uno degli adulti, con espressione contratta, puntò allora un dito all’indirizzo dell’Esploratore interstellare. La parola “Mo-mostro!” Rappresenta una fedele traslitterazione delle sillabe impiegate. Accompagnate da un senso di ribrezzo ed assoluta ostilità, al che l’oggetto della sua attenzione non poté fare nulla diverso rispetto a quanto segue: un’emissione controllata di liquido repellente N5G2, capace di permeare per qualche minuto l’aria. Con un po’ di fortuna, nessuno degli indigeni avrebbe riportato danni permanenti. Quindi, con un lampo nello spettro visibile dei suoi due grandi occhi vermigli, lanciò verso i cieli il rapido segnale che attivava il teletrasporto.
Se soltanto il giorno dopo si fosse soffermato ulteriormente in orbita, le sue antenne d’intercettazione avrebbero captato e forse lentamente decrittato la notizia, che sembrava rimbalzare freneticamente da un lato all’altro della nazione chiamata “Stati Uniti Americani”. Un trafiletto, gradualmente espanso ad articolo con tanto d’interviste, a un gruppo formatosi del tutto casualmente presso Flatwoods, nella contea di Braxton. Il quale, dopo aver scorto una palla di fuoco nei cieli (ovviamente, trattavasi dei retrorazzi della sua tuta) avevano incontrato qualcosa di terribile ed inusitato. L’Esploratore avrebbe allora meditato sul relativismo del terrore di chi non conoscendo, istintivamente diffida. E la casualità della rassomiglianza di un qualcuno d’innocente, ai più intimi terrori onirici di colui o coloro che potevano trovarsi casualmente ad incontrarlo nei recessi ombrosi di un’isolato distretto forestale…

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Il puntuale fenomeno del mare che prende fuoco l’ultima notte di luglio in Giappone

Che cosa rende un territorio esterno, attraverso lo scorrere della storia, parte inscindibile di una nazione? Uniformità culturale, assenza di barriere paesaggistiche, il fiorire prolungato di un vantaggioso interscambio commerciale. O come nel caso della più meridionale tra le quattro isole principali del Giappone, la rabbia incontenibile di un singolo uomo. Yamato Takeru no Mikoto, il principe figlio del dodicesimo Imperatore, Keikō (regno: 71-130 d.C.) facente parte di quella prima dinastia che come diretta discendenza della Dea del Sole Amaterasu, si vide attribuire una storia sospesa tra leggenda e realtà, oltre a una statura e una forza sovrumane. Il cui culmine narrativo, paragonato da taluni filologi al ciclo arturiano, viene raggiunto quando in giovane età Takeru uccise durante una lite uno dei suoi circa 90 fratelli, venendo immediatamente bandito dal padre fino a vita natural durante. Ma non prima che la principessa Yamatohime-no-mikoto, sacra fanciulla dell’antico santuario di Ise, avendo pietà di lui gli facesse dono della potente spada, che il Dio della Tempesta Susanoo in persona aveva estratto dalla coda del grande serpente Orochi, identificata con il nome tutt’ora celebre di Kusanagi-no-Tsurugi (草薙の剣). Oggetto in grado di controllare i venti e far tremare gli eserciti, tanto che una volta sbarcato sull’isola e circondato dai suoi nemici, l’infuriato principe conquistò valli e montagne, città fortificate e gli alti bastioni di numerosi signori della guerra. Prima che stanco di combattere, morisse all’età di soli 42 anni, creando un vuoto di potere considerevolmente significativo. E fu allora che l’Imperatore Keikō nel suo 43° anno di regno, ancora dotato del vigore di un giovane essendo destinato a viverne 143, salì su un’imbarcazione per attraversare lo stretto mare di Yatsushiro, allo scopo d’iniziare la campagna che gli avrebbe permesso di conquistare l’attuale prefettura di Kumamoto. E fu allora, nelle tenebre nebbiose di un’improbabile circostanza di mezza estate, che ebbe l’occasione di vederlo.
Dapprima due bagliori che si profilano all’orizzonte, le oyabi (親火) o “luci progenitrici”, simili a lanterne sospese nell’aria tersa notturna, sospese come i segnali sulla prua della nave di un pescatore. Ma dopo il tempo appena necessario a chiedersi se potesse trattarsi effettivamente di questo, l’imprescindibile tendenza a sollevarsi in alto e moltiplicarsi, diventando progressivamente dozzine, quindi centinaia e persino migliaia d’intensi fuochi privi di una possibile derivazione umana.
E fu così che una volta sbarcato in Kyushu con le sue armate, come narrato nelle cronache pseudo-storiche del Kojiki e del Nihon Shoki, l’Imperatore avrebbe chiesto ai nobili locali (gozoku) che cosa gli fosse capitato di vedere, ottenendo l’unica approssimativa risposta che dovesse trattarsi di una qualche shiranu hi (不知火) ovvero letteralmente, “fiamma sconosciuta”. Nome col quale sarebbe stato a partire da quel fatidico giorno identificato lo strano fenomeno, fino alla traslitterazione moderna di Shiranui, che avrebbe continuato fino a verificarsi unicamente nella data specifica dell’ultima luna di kajitsu (29-30 luglio) sfuggendo insistentemente ad ogni possibile spiegazione di tipo scientifico degna di essere definita completamente soddisfacente.

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Colombia: strane apparizioni sotto la diga che sta per crollare

C’è una sottile linea tra realtà e immaginazione, che con l’aumentare delle ore di lavoro tende a diventare completamente invisibile, influenzando la capacità umana d’identificare i confini dei suoi incubi più remoti. Ed è allora, generalmente, che l’impossibile tende a realizzarsi, sotto gli occhi semichiusi di chi era lì, nonostante tutto, nella speranza di fare il suo dovere. Una situazione di crisi. L’ultimo sforzo, condotto con profonda dedizione, nella speranza di salvare le case di 9.000 persone, potenzialmente l’incolumità di molti e con assoluta certezza, l’economia già sofferente della propria nazione: sto parlando di una situazione corrente di cui, purtroppo, non ci hanno parlato i telegiornali. Certo, la crisi politica italiana è importante. I fatti di Windsor hanno stimolato la nostra fantasia. Le Hawaii bruciano per l’effetto del loro vulcano. Ma che dire del più grande fallimento a memoria d’uomo, di un progetto pubblico costato l’equivalente di 3,8 miliardi di dollari, in un paese che sta tentando di risalire la china dopo decenni di violenza, disordini civili e predominio assoluto dei trafficanti di droga? Sta succedendo… Esattamente adesso. Il 17 maggio, tra l’incredulità generale, il messaggio è comparso su Twitter, televisione, radio ed è stato fatto rimbalzare tra gli altoparlanti usati per comunicare fatti urgenti alla popolazione: “Si prega di evacuare immediatamente l’area corrispondente alle rive del fiume Cauca, al di sotto del villaggio di Ituango e la sua diga. Si verificheranno aumenti di flusso e potenziali indondazioni. Tutti gli abitanti devono recarsi ai centri di recupero e accoglienza allestiti nelle seguenti zone sicure…” Questo perché, a causa di un periodo di piogge particolarmente ingenti delle ultime settimane, due dei tre tunnel usati per deviare il corso del fiume durante la costruzione si sono intasati di detriti, causando un riempimento eccessivo del bacino idroelettrico prima che l’intera struttura potesse venire consolidata. Ma sono certo che il pensiero dei coraggiosi lavoranti, che proprio in queste ore stanno lavorando 24 su 24, giorno e notte nella speranza di completare in tempo la diga e rendere operativi i canali di scolo d’emergenza a cielo aperto prima della catastrofe, nei drammatici momenti rappresentati nel video non stavano pensando soltanto ai viventi. Bensì alle innumerevoli tombe dei desaparecidos, i cimiteri comuni allestiti lungo il corso del principale fiume colombiano, potenzialmente destinate ad essere ricoperte da un fiume di detriti, fango e zolle in viaggio con tutta la veemenza di una mandria di bufali inferociti. Del resto, non capita tanto spesso di vedere un fantasma.
La scena ripresa con il cellulare si svolge all’interno di uno dei tunnel di raccordo, costruiti al di sotto del terrapieno alto 225 metri che era stato destinato a produrre 2.456 megawatt di energia entro il novembre di quest’anno, rispondendo da solo al 17% dell’interno fabbisogno elettrico del paese. Dove gli addetti, spostandosi con senso d’urgenza per intervenire presso le zone d’intasamento, si ritrovano d’improvviso a dover frenare il proprio veicolo, mentre dinnanzi a loro si dipana l’evento più surreale immaginabile in quel contesto: una sorta di nube di vapore, che si forma velocissima a partire dalle pareti e il suolo del passaggio di transito, per poi sparire come se niente fosse. Salvo che, qualche decina di metri più avanti, il fenomeno si verifica nuovamente, come se l’entità misteriosa avesse impiegato la tecnica del teletrasporto. E lo facesse ancora e ancora a intervalli regolari, fin quasi a investire l’autoveicolo in sosta con il suo carico di passeggeri increduli e paralizzati dal terrore. Quindi, proprio mentre sembra che i testimoni stiano per essere investiti da questa manifestazione tangibile del mostro di fumo del telefilm Lost, le riprese si interrompono, lasciandoci soli con la domanda su cosa, esattamente, ci è capitato di vedere. Nella continuativa assenza di comunicazioni internazionali, o testimonianze dirette di chi questa drammatica situazione la sta vivendo sulla propria pelle, Internet come sempre si è lanciata nelle sue ipotesi contrastanti. Alcune compaiono nei commenti stessi al video, sia in lingua spagnola che inglese. Altre sui gruppi di discussione più disparati, da dove una sorta di consenso para-scientifico, un poco alla volta, sembra essere emerso dalle nebbie del complottismo generico e le battute su cinema e videogames…

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