Molti sono i cambiamenti cui va incontro la foresta in seguito a una pioggia particolarmente intensa: la rinascita del muschio che ricopre, come un manto, la corteccia degli alberi e la curva delle rigide radici in affioramento. La fuoriuscita di vermi e lumache, dai sepolti lidi delle loro tane, improvvisamente interessati alla ricerca di nuove valide opportunità di nutrimento. Insetti avvolti nel profumo primordiale che passeggiano su rami oscillanti, il cui fruscio viene musicalmente accompagnato dalla ritmica caduta delle gocce d’acqua sul tappeto delle foglie ed aghi sottostanti. Tranne quando, caso vuole, tale accumulo si trovi concentrato sulla superficie di una pietra compatta, formando la caratteristica ghirlanda barbagliante di emisferi danzanti, in grado di riflettere e segmentare la luce che proviene dall’alto. Cui fa il compatto eco una forma più piccola, relativamente rara in base al paese in cui si sta cercando, pallida presenza ricoperta di perline, questa volta, di un color rosso vermiglio. Sembrando sangue, a voler essere diretti, che inusitato sgorga dalla forma frastagliata di quel misterioso oggetto. Al punto che parrebbe quasi giustificato, l’inesperto tra i micologi, incline a definirlo come un “dente”, la vistosa preminenza di una bocca seppellita, in epoche o momenti misteriosi. Ed ormai prossima al risveglio del suo sopito gigante. Il che pur non trovando alcun riscontro pratico nella realtà dei fatti (la mitologia non è Scienza!) offre quanto meno l’opportunità di elaborare in merito ad una metafora in qualche maniera calzante. Poiché invero lo Hydnellum peckii, o fungo del dente biliare, o fungo della zanna del Diavolo, è uno dei pochi segni visibili di un reticolo sotterraneo che divora e digerisce valide sostanze nutrienti: il cosiddetto Wood Wide Web micorrizico, creato dal sistema d’interrelazione simbiotico tra il micelio soggiacente e il sistema di propaggini radicali, in perenne quanto attenta ricerca delle fonti d’umidità necessarie alla funzionale sussistenza vegetativa. Scambiando minerali e aminoacidi preziosi con il carbonio già fissato dai possenti arbusti, attraverso un processo irraggiungibile per l’occulta madre fungina, di cui i puntinati carpofori rappresentano soltanto un metodo spettacolare finalizzato alla propagazione della propria inquietante genìa. Giacché molte sono le diffuse ed entusiastiche elucubrazioni, sull’aspetto marcatamente orrorifico e fuori dalla normalità di quelle piccole manifestazioni viventi, apparentemente estratte da una manuale sulle mutazioni aliene o le pericolose contaminazioni dal continuum spaziotemporale adiacente. Sebbene questo essere dall’aspetto diabolico, ad uno studio delle sue caratteristiche tossicologiche ed il ruolo avuto nell’ecologia, non rappresenti in alcun modo un pericolo per chicchessia…
sostanze
Dolore o guarigione nella pianta che produce il fuoco dalla punta delle sue foglie
E fu così che mentre Mosè pascolava il gregge di Ietro, suo suocero, scorse l’angelo del Signore in un roveto in mezzo a un passo del monte oltre il deserto, l’Oreb. La pianta ardeva per il fuoco, ma non si consumava. La voce allora disse: “Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali, poiché il luogo su cui sta camminando è suolo consacrato.” Mosè allora si coprì il volto con la mano, perché aveva paura di guardare verso Dio. Gesti ben precisi ancora oggi compiuti, con la massima attenzione, dai sacerdoti del monastero di Santa Caterina in Egitto, dove oltre alle reliquie della principessa martirizzata ad Alessandria gli ecclesiastici hanno il dovere di custodire ormai da più di mille anni i rami non del tutto naturali di un cespuglio. La pianta stessa, o almeno così si ritiene, presso cui il profeta degli Israeliti ottenne la sua rivelazione più importante: scientificamente parlando, un esemplare all’apparenza normalissimo di quello che è stato identificato come Rubus sanctus, pianta strettamente imparentata con le spine acuminate di lamponi o more dei nostri ambienti boschivi. Oltre il legittimo dubbio che la forma di vita vegetale in questione possa essere stata sostituita svariate volte nel corso dei lunghi secoli intercorsi, tuttavia, una sfida per la fede può collocarsi nel ricco novero della tassonomia botanica da una potenziale specie responsabile, dotata di una caratteristica invero piuttosto rara. Quella di accendersi in modo spontaneo durante giorni particolarmente caldi e secchi, di una scintilla che può circondarne momentaneamente il fusto, le foglie e i fiori. Per poi spegnersi, regolarmente, senza conseguenze in grado d’inficiarne la sopravvivenza nell’immediato o potenziale futuro.
Il suo appellativo binomiale è Dictamnus albus. per associazione geograficamente non corretta con l’isola greca di Dikté, anche detta Creta ed in modo particolare il suo punto di maggiore preminenza, il sacro monte di Ida. Laddove il thamnos (arbusto) di riferimento sarebbe in questo caso un’altra pianta autoctona, l’Origanum dictamnus appartenente per l’appunto alla famiglia dell’origano, piuttosto che quella del rosmarino che vede per l’effettiva specie presente nell’intera Eurasia, incluse zone temperate della Siberia e del Caucaso. Molto meno problematica nel frattempo la nomenclatura d’uso comune in italiano, che vede la pianta monotipica in questione definita come frassinello, per la superficiale somiglianza delle sue foglie con l’albero delle Oleacee comune in tutto l’emisfero settentrionale. Pur trattandosi nello specifico di pianta erbacea perenne, che non muore facilmente ma rinasce dalle sue radici, anche in seguito all’abbattimento del fusto, comunque raramente più alto dei 60-80 cm da terra. Fino alla spettacolare produzione delle vistose infiorescenze violacee, lungamente inserita nei cataloghi botanici, per le doti pratiche e talvolta mitologiche confermate già note agli antichi…
Ecce Datura, la capsula spinosa che contiene i semi del babelico delirio e del caos
Difficile fu sempre la profonda aspirazione, dei cosiddetti imperi di epoca moderna e contemporanea, a governare su ampi territori da una capitale posta all’altro capo di oceani, vasti continenti, insuperabili catene. Poiché il tipo di priorità anteposte da coloro che non hanno mai davvero potuto sperimentare le reali condizioni e implicazioni di un territorio, mai potranno sostituire il punto di vista critico posseduto dai legittimi abitanti di quelle foreste o amene pianure. Almeno finché il sollevarsi di una ribellione, prevedibile quanto spietata, non recida quei legami simili a un lunghissimo cordone ombelicale. In tal senso uno dei primi tentativi di rivendicare un qualche tipo d’indipendenza americana avvenne sotto la supervisione del mercante ed avventuriero Nathaniel Bacon nel 1676 in Virginia, quando lui ed i suoi si rifiutarono di scacciare i Nativi dai loro territori ancestrali. Alleandosi piuttosto con loro e puntando le armi contro i britannici nelle caserme e piazze d’armi di Georgetown, in una sommossa che avrebbe letteralmente dato fuoco all’intero centro abitato di epoca coloniale. Uno dei resoconti maggiormente inaspettati ed interessanti della vicenda, tuttavia, sarebbe stato redatto dal politico e coltivatore del luogo Robert Beverley Jr, venuto a conoscenza di una strana esperienza di alcune giubbe rosse che avevano accidentalmente trangugiato, durante la preparazione di una zuppa con ingredienti foraggiati localmente, alcune foglie e fiori della strana pianta nota come Whisky degli Indiani, così chiamata a causa dei presunti effetti inebrianti causati dalla sua consumazione benché negli anni successivi avrebbe assunto l’appellativo inglesizzato di jimsonweed. Ebbene costoro, nei risvolti a tratti tragicomici di quel racconto, iniziarono immediatamente a comportarsi in modo straordinariamente atipico, con uno di loro che passava ore a far volare una piuma soffiando, mentre il secondo gli lanciava fili d’erba. Mentre il terzo seduto da una parte, completamente nudo sghignazzava all’indirizzo d’interlocutori inesistenti. Ed il quarto cercava di attirare l’attenzione degli altri, atteggiando il propri volto a “Più smorfie di una farsa teatrale d’Olanda.” Messi sotto sorveglianza per la propria stessa sicurezza, i soldati si sarebbero quindi ripresi dopo il trascorrere di alcuni giorni. Benché sia ragionevole pensare che, dal punto di vista dei malcapitati, tale arco di tempo possa essere durato l’equivalente di mesi, o persino anni.
Questo il potere del genere di piante alte fino a due metri dalle origini centroamericane, appartenente allo stesso ordine dei pomodori e del tabacco, la cui caratteristiche caratterizzanti dal punto di vista botanico includono la tendenza a sbocciare unicamente dopo il sopraggiungere del vespro e per l’intera durata delle ore notturne, fino alla creazione di una capsula dei semi dalla forma tondeggiante, ricoperta di agguerrite spine in grado di richiamare il profilo sfrangiato delle foglie stesse. Che la scienza chiama Datura, benché il nome popolare ed internazionale preferito sembri essere quello di trombe del Diavolo, causa la forma a calice di tali fiori che crescono in maniera perpendicolare al suolo. E la capacità di evocare, per chiunque sia abbastanza folle da consumarle, una ragionevole approssimazione dell’Inferno in Terra…
L’intricato filo delle alghe che lega le donne all’eredità delle isole balinesi
Con il progredire dell’attuale situazione climatica e i suoi effetti sulle condizioni meteorologiche vigenti, le conseguenze ad ampio spettro subite dal pianeta continueranno a coinvolgere progressivamente una percentuale maggiore d’interessi ed attività umane, in aggiunta al danneggiamento della macchina ambientale che sostiene fauna & flora delle zone maggiormente colpite. Uno delle principali fonti di sostentamento di una buona parte delle isole Sunda in Indonesia, ma soprattutto Nusa Penida e Nusa Lembongan situate ad est di Bali, è la coltivazione tradizionale di diverse specie di alghe con particolare attenzione nei confronti della grandong o katoni. Appellativi locali riservati al “muschio di mare” della specie Kappaphycus alvarezii, un tipo di rodofita fotosintetico famoso per la sua capacità di ancorarsi saldamente alle barriere coralline, creando meta-strutture proteiche interconnesse che gli permettono di propagarsi con fulminea efficienza. Lo stesso principio impiegato con sapienza, ormai da secoli, come fondamento di un’industria praticata soprattutto dalle donne, consistente nell’applicazione del metodo del lungo filo, che non richiede l’utilizzo di semi. In cui una cima del diametro di 10-15 mm viene sospesa tra boe o galleggianti ad intervalli di 4-5 metri, per legarvi vaste quantità di talli (rametti) del muschio di mare con cadenza regolare, affinché il sole, il vento e il movimento delle onde si occupi di fare il resto. Approccio collaudato in grado di garantire, in condizioni ideali, una crescita di ciascuna pianta per percentuali di un 4-6% giornaliero ed il raggiungimento del giorno raccolto in appena un paio di settimane. Prassi priva di latenti vulnerabilità, giusto? Non proprio, visto il prolungarsi della stagione delle piogge nel corso delle ultime decadi. Con conseguente danneggiamento e necessario intervento di rimozione preventivo di una certa quantità delle fluttuanti inquiline di color verde-marrone dalla cima, portando a un danno economico ed allo stesso tempo aumento dell’energia necessaria a portare a compimento le operazioni. Una deriva che sta portando, soprattutto negli ultimi anni, alla riduzione delle aziende di famiglia attive nel settore e la conseguente invocazioni di norme commerciali più stringenti da parte del governo locale, con il potenziale di arrecare un tipo d’impulso al settore che potrebbe anche rivelarsi nocivo. Mentre una parte significativa del carattere di queste isole, così fortemente radicato nel territorio, rischia per la prima volta di scomparire…



