Fulgida è la spada che ha trascorso due millenni nel suo fodero senza invecchiare

L’attribuzione di cose mai effettivamente dette a Confucio, attraverso la limitata percezione internazionale della Cina, ha una lunga e problematica tradizione. Quasi come se la percezione dell’antico filosofo come prototipo dell’uomo saggio avesse concentrato gradualmente su di se le limitate cognizioni sull’antico Oriente possedute dall’odierna civiltà globalizzata. Vedi il caso del famoso detto “Attendi lungo il fiume il passaggio del corpo del tuo nemico” (in realtà un proverbio moderno) o in misura minore l’espressione “Dormire sulla legna ed assaggiare il gusto della bile”, una presunta metodologia quotidiana, considerata l’ideale per mantenere vivo il rancore nel confronto di un torto subito. Così meditando, nel corso della propria rabbiosa esistenza, l’ora di un’attesa rivalsa. Un’associazione che pur essendo anche in questo secondo caso scorretta, centra se non altro l’aspetto cronologico, essendo stata effettivamente pronunciata da un personaggio del periodo storico delle Primavere ed Autunni (771-476 a.C.) Sebbene, alquanto prevedibilmente, NON il fondatore di una disciplina basata sul rispetto reciproco e la serenità che viene dalla meritocrazia civile. Bensì un rabbioso dinasta portatore della propria faida generazionale, il cui simbolo per eccellenza del potere ereditato fu trovato dagli archeologi in una tomba nella regione di Jiangling, nell’ormai remoto 1965, ancora perfettamente integro e del tutto efficace nello scopo di uccisione per cui era stato creato.
Una scena mantenuta vivida nell’immaginazione della gente, giacché straordinaria e al tempo stesso ricca di un involontario simbolismo. Del completamento di uno scavo presso l’acquedotto del fiume Zhang, quando un gruppo di studiosi rintraccio l’ennesima camera funeraria di quel sito storicamente fondamentale. Per scovare al suo interno, preziosi gioielli, ornamenti ed accessori, nonché una coppia di spade in bronzo ingioiellate, della lunghezza rispettiva di 60 e 55 cm. Considerate entrambe parimenti rilevanti, finché all’interno di un laboratorio non si andò necessariamente a sfoderarle e l’incaricato, con sua estrema sorpresa, notò di stare sanguinando; giacché uno dei due manufatti era non soltanto perfettamente integro, nella manifattura variegata della propria lama ricoperta da un pattern romboidale geometricamente insolita. Ma addirittura tagliente. Oggi come allora, quando il Re Goujian di Yue (V sec. a.C.) l’aveva riposta dopo l’uso presumibilmente alla testa dei suoi eserciti, sconfiggendo ed annientando il proprio atavico nemico, l’odiato re di Wu. Non stiamo qui parlando di un oggetto ricoperto dalla ruggine vagamente riconducibile alla forma di una spada, come avviene per taluni oggetti di epoca medievale ritrovati nelle tombe europee. Trattasi, piuttosto, dell’odio di un potente trasformato in cosa tangibile e forse anche per questo, immortale…

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Tre tombe solitarie per comprendere l’antico stile architettonico della Numidia

Nel Mondo Antico i conflitti tra nazioni opposte potevano talvolta rappresentare, per agenti terzi, un significativo punto di svolta nei processi basilari della civilizzazione umana. Come nel caso celebre delle tribù nomadi dei popoli nordafricani che i latini chiamavano Massylii e Masaesyli, situati grossomodo nell’odierna Algeria, allo scoppio del conflitto più importante che il Mediterraneo aveva conosciuto: la seconda guerra punica (218-201 a.C.) Quando un re particolarmente potente, nonché saggio e illuminato, prese un gruppo di guerrieri scoordinati e ne fece una forza di cavalleria priva di paragoni; riformò l’agricoltura per produrre cibo dove prima esisteva soltanto il deserto; ma soprattutto, stabilì l’esistenza di un’identità comune ed al di sotto di tale bandiera, trasformò le genti nomadiche in un vasto regno stanziale. Così nacque il regno della Numidia, secondo alcuni nel preciso momento in cui il sovrano recentemente riconosciuto Masinissa (o Massena) scelse di cambiare la propria alleanza politica dall’ancestrale avversario Cartagine, alla forza che evidentemente stava per sconfiggerla, l’ondata inarrestabile dell’Urbe settentrionale. Fu dunque la costituzione in essere di un contesto culturale significativamente diverso, situato ai margini dei grandi imperi, che per lungo tempo aveva commerciato e tratto ispirazione dalla cultura sincretistica dell’Ellenismo. Il che lascia sorgere spontanea la domanda del perché, esattamente, molto poco sia rimasto come lascito degli oltre due secoli, in cui i discendenti di una tale tradizione avrebbero continuato a regnare come stato cliente, eppure mai del tutto annesso dall’Impero Romano. Che avrebbe conquistato, a seguito di ulteriori conflitti fino alla caduta di Cartagine, anche parti della Libia e della Tunisia. Edificando importanti centri d’interscambio culturale e luoghi fortificati per difendere i propri confini. La risposta è rintracciabile nel modo in cui l’architettura dei primi tempi moderni avrebbe trattato i tre principali monumenti ancora integri di tale situazione remota, tradizionalmente accorpati sotto la definizione di “architettura reale numida”. Un punto di partenza, isolato nel vasto vuoto delle nostre conoscenze, dell’ideale fascino locale verso gruppi umani antecedenti quali Egizi e Greci, come se nulla d’originale potesse sorgere da tali territori aridi ed ormai sostanzialmente dimenticati. Osservate, come primo riferimento, la tomba risalente al terzo secolo chiamata mausoleo di Medracen o Medghassen situata nei pressi della città di Batna, all’ombra dell’Aurasius Mons. Sostanzialmente una piramide di pesanti mattoni tufacei, sostenuta da una base circolare con colonne sormontate da capitelli dorici, ove s’ipotizza che il membro omonimo dell’elite regnante, antecedente a Masinissa, fu deposto nell’ora del suo eterno riposo. Un luogo presso il quale, riscoperto agli albori dell’archeologia moderna, fu fatto oggetto di una gara nel classificarlo come mera gestalt o deriva d’influenze di seconda o terza mano…

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L’ambìta chiave dell’inviolabile bastione sulle candide scogliere d’Inghilterra

Un luogo può essere fortificato per generazioni, senza mai acquisire una significativa fama tra le pagine della storia della sua gente. Finché qualcuno, dalle terre d’oltre Manica, non giunge con l’intento dichiarato di conquistarlo. Dimostrando al mondo quanto fosse stato sopravvalutato. Questa è la vicenda, almeno per come viene approcciata nell’importante cronistoria del prete William di Poitiers, al seguito di Guglielmo, il condottiero e duca di Normandia. Quando il suo provato esercito, dopo aver sconfitto il Re Aroldo d’Inghilterra ad Hastings nel 1066, marciò fino alle sopravvalutate mura della città di Dover, i cui abitanti a quanto egli riporta già sapevano di non poter resistere alla sua furia. E in breve tempo capitolarono, non venendo a seguito di questo risparmiati dal sacco e conseguente incendio del loro insediamento collinare. L’unica reale parte in grado di resistere all’avidità dei Normanni, in quel frangente, fu dunque il punto più elevato ove sorgeva una singolare chiesa dedicata alla Madonna, il cui campanile era rappresentato da un’antico edificio dalla forma di un cono; niente meno, in effetti, che il pharos costruito dai Romani al tempo di Caligola, come controparte di un altro identico a Boulogne-sur-Mer. Questo preciso luogo in effetti, e le scogliere antistanti, erano già state ritenute da lungo tempo il sentiero migliore disponibile per approdare dal mare “stretto” fino alle fertili terre del Kent. E da lì marciare, auspicabilmente senza contrattempi, verso le città chiave di Canterbury e Londra. Assoluto potere clericale e temporale, dunque, cui Guglielmo stesso optò di affiancare un predominio strategico, decidendo di far costruire sopra il colle di Dover un forte di legno, così come assai probabilmente avevano già fatto un tempo le genti di Roma. Saltando innanzi un paio di generazioni, fino all’epoca di Enrico II Plantageneto, salito al potere nel 1133, troviamo un’Inghilterra finalmente unita ed influente, tanto da tenere in pugno i territori del cosiddetto Impero Angioino, capace di estendersi dall’estuario del Solway fino al Mar Mediterraneo e dai monti della Somme ai Pirenei. Ciò anche grazie, assieme alla forza delle proprie pretese dinastiche, alla potente flotta dei Cinque Ports, le città costiere sulla sponda inglese della Manica, di cui la stessa Dover era diventata da tempo la più popolosa ed influente. Il che aveva dato ragione, nei lunghi anni di dominio da parte del sovrano figlio di Goffredo il Bello, di rinforzare e costruire alte mura attorno alla chiesa, fino all’opera senza alcun tipo di precedenti portata innanzi con l’aiuto di un rinomato ingegnere di nome Maurice. Che tra il 1179 e il 1188, negli ultimi tre anni del suo regno, fu strumentale nell’investimento oltre 6.500 sterline dalle casse dell’Erario, ovvero semplicemente la maggior somma mai spesa per un singolo castello nell’intera, lunga storia della Gran Bretagna. Il che avrebbe portato, senza alcun dubbio, all’erezione di una delle sue fortificazioni maggiormente estese, ed impressionanti…

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Riconosciuto dall’UNESCO il patrimonio dei moidam, tumuli sopra le teste della dinastia Tai Ahom

Si narra che originariamente l’unico aspetto dell’Universo fosse un vasto oceano, del tutto privo di terre emerse. Finché il Dio supremo e senza forma Pha Tu Ching non creò dal suo petto il figlio Khun Theu Kham, che non avendo nulla su cui posare i piedi si sdraiò sul fondo, lasciando che un fiore di loto germogliasse dal proprio ombelico. Quindi generò una tartaruga, un granchio ed il cobra dalle otto teste, che si allargò istantaneamente in ogni direzione allo stesso tempo. Non ancora contento, l’antenato dell’umanità decise quindi per la liberazione subacquea di due elefanti dalle zanne d’oro e la creazione di altrettanti Pilastri, destinati a sostenere la volta celeste. Destinata ad essere esplorata da una coppia di ragni, che librandosi nel cielo grazie all’uso delle proprie tele, lasciarono inevitabilmente cadere verso il basso degli escrementi. Questi ultimi, consolidatisi nel giro di qualche migliaio d’anni, diventarono il Mondo. Qui, le genti prosperarono e poterono moltiplicarsi, con particolare riguardo al popolo prescelto dei Tai, discendenti di Khun Theu Kham provenienti dall’attuale Sud-Ovest cinese. Da cui presero la scelta mai eccessivamente facile di emigrare, superando le pendici periferiche dell’Himalaya al seguito del condottiero del tredicesimo secolo Sukaphaa, principe supremo della regione di Mong Mao e sacro fondatore della fazione politica degli Ahom. I cui membri giunsero, in quel particolare, presso la terra promessa della valle di Brahmaputra, destinata in seguito a venir chiamata Assam. Ove costruirono vaste città, svettanti palazzi e luoghi di sepoltura dalla complessità notevole, non a caso chiamati a scopo divulgativo “Le piramidi dell’India”. Riconosciuti finalmente dall’UNESCO all’inizio della scorsa settimana, nella stessa sessione che ha portato la Via Appia dell’Antica Roma a diventare il sessantesimo patrimonio italiano, i loro tumuli (maidam) in particolare dell’antica città e luogo sacro di Charaideo, la “Città della Collina Sacra” spiccano per integrità e complessità architettonica nonostante i saccheggiamenti subiti nel corso dei secoli, a partire dall’apertura forzata dalle truppe del colonialismo durante l’epoca del colonialismo inglese. Giunte in questo luogo ameno ma remoto con la forza delle armi, come non erano riusciti a fare neanche gli emiri dei Mughal, dinnanzi alla considerevole forza marziale e conoscenza del territorio posseduta dai Tai Ahom. Il che avrebbe permesso al loro regno di durare oltre sei secoli, dal 1228 al 1826, data del trattato di Yangbao con cui rinunciavano alla propria egemonia in cambio della “protezione” della Compagnia delle Indie Orientali. Il che avrebbe certamente contribuito a scuotere, ma non cancellare del tutto, la loro incomparabile eredità secolare…

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