È l’esperienza spesso ripetuta del suono improvviso, proveniente dai soffitti delle nostre abitazioni. Come il ronzio di un dittero, parecchie volte amplificato, la cui forma d’onda tende a trasformarsi nella progressione rapida di qualche istante. Ben presto seguìto, nelle ore della prima serata, dall’impatto di qualcosa d’imponente, impressionante, contro il vetro variopinto del televisore. Non che al rapido protagonista volatore interessasse, in alcun modo, il contenuto delle immagini prodotte nella scatola in questione! Piuttosto che la luce in quanto tale, fonte prototipica di vita e il segno di una valida opportunità di migliorare l’andamento dei minuti a venire. L’esistenza d’altra parte non è complicata, per un membro adulto del triplice genere Melolontha, coleottero comunemente noto con il termine di cockchafer o “maggiolino”: tutto ciò che occorre fare, successivamente all’emersione, è andare incontro a un esemplare del sesso opposto. Facendosi trovare grazie all’emissione feromonica, nel caso delle femmine, o brandendo come un’arma il paio di attraenti antenne a forma di ventaglio possedute dal suo partner elettivo, un forte maschio per il resto indistinguibile dalla signora. Non che l’assenza di quest’ultimo elemento, così utile ad effettuare un riconoscimento, possa risultare sufficiente a far passare inosservati questi artropodi coperti di chitina delle dimensioni massime 25 mm. Abbastanza, in altri termini, da coprire quasi totalmente l’unghia al termine di un dito umano. Dove si ritrovano, talvolta, nel corso di questa frenetica esistenza, in ogni luogo dove sembrano tornare ad intervalli regolari, circondando ed inseguendo tutto ciò che non riescono istantaneamente a capire. Particolarmente celebre è d’altronde, e tanto spesso raccontata, l’esperienza di trovarsi sulla rotta di uno di loro. Finendo per subire l’impatto di un simile proiettile in pieno volto o le sensibili pareti del cranio umano. Fastidioso? Senz’altro. Così come narrano, nel corso degli ultimi giorni, gli annuali e ricorrenti articoli di vari testate inglesi, per l’annuale ricorrenza non particolarmente nota agli abitanti delle grandi città. Questo perché il cockfacher, rispetto all’epoca del Medioevo, ha visto i propri numeri diminuire in modo esponenziale, principalmente a causa dell’impiego sistematico di pesticidi. Fino a una tangibile inversione di tendenza, nel corso dell’ultimo ventennio, per l’introduzione di regolamenti più stringenti nella conservazione del sempre più prezioso ed insostituibile ambiente naturale. Un grande cambiamento dei presupposti, rispetto all’anno del 1312, quando presso la città papale di Avignone venne istituito un formale processo a carico dell’invadente hanneton, intimando ai membri della specie di tornare quanto prima dall’infernale regno da cui erano provenuti. Se non che alla prevedibile palese indifferenza degli scarabei, non restò altro da fare che eseguirne una spietata condanna a morte. Molto meno efficace di quanto si potrebbe tendere a pensare, in un’epoca in cui l’unico approccio disponibile era quello di dare la caccia, e schiacciare, la forma adulta di queste creature. Letterale punta di un’iceberg, sotterraneo ed invisibile, prevedibilmente pronto a ritornare ogni qual volta il clima fosse favorevole alla propria principale prerogativa: mangiare, riprodursi, morire. In una folle cavalcata in grado di durare al massimo un mese e mezzo…
vermi
Il primo ed ultimo terrore che risucchia il rospo giovane della brughiera
Striscia liscia, l’infame ed affamata biscia. Finché silenziosamente si avvicina, per ghermire la sua vittima supina. L’orribile creatura di colore nero, il mastino che ti addenta le caviglie e poi non molla, per diverse ore fino all’ultimo raggiungimento della sazietà… Riuscite a immaginare, forse, qualcosa di più disgustoso del verme semi-subacqueo, che il comune nozionismo è ancora solito identificare con il termine etimologicamente poco chiaro di mignatta? Poiché quello alternativo di “sanguisuga”, nel procedere dei giorni, si era trasformato nel sinonimo di parassita della società o un singolo individuo, vedendosi attribuita per associazione tutta l’impietosa e dolorosa avidità di questo piccolo, sgradevole ospite dell’epidermide umana. Eppure non c’è valida ragione, qualora si pensi nel caso specifico alla Hirudo medicinalis, ausilio vivente della medicina per migliaia di anni, per portar rancore a colei/colui (dopotutto, si sta qui parlando di una stirpe ermafrodita) che fluidificava il sangue, rimuovendo quello in eccesso, combattendo le infezioni per salvare i nobili o cittadini abbienti fin dai tempi di Ramsete II. Mentre se volete alimentare l’odio per qualcosa di strisciante ed esteticamente (oggettivamente) disgustoso, non troverete di meglio che l’ultimo documentario inglese mandato in onda con la voce del grande Attenborough, capace di gettar luce su una contingenza che pur ripetendosi da innumerevoli generazioni, tende a svolgersi lontano dagli occhi e la cognizione dei pur vicini esseri umani. Qui negli umidi recessi, della zona nota come Dartmoor, altopiano paludoso che sovrasta il batolito della Cornovaglia. Un luogo di racconti folkloristici inquietanti, misteri dei romanzi gialli o vittoriani e una selvaggia, implacabile legge di natura. Persino oggi, persino nelle condizioni attuali delle Isole, dove lo sfruttamento implacabile dell’uomo ha condannato ormai da tempo la stragrande maggioranza delle più notevoli o imponenti specie animali. Ma non loro: le Haemopis s. o sanguisughe cavalline, così chiamate per la somiglianza fisica verso una specie tipica dell’Africa settentrionale, nota per l’inquietante inclinazione a risalire su, nelle narici delle nostre povere cavalcature equine. Abitudine che d’altra parte sembrerebbe non appartenere alle “graziose” controparti britanniche, della lunghezza media di una quindicina di centimetri ma la capacità di estendersi fino a una volta e mezza tale cifra, mentre si contorcono spostandosi da un lato all’altro del bagnasciuga. Rientrando a pieno titolo nella sotto-categoria delle sanguisughe predatrici, ovvero poco inclini a suggere il prezioso sangue che si muove sotto la permeabile membrana protettiva dei viventi. Preferendo, piuttosto, trangugiare l’intero possessore del sistema linfatico, il cuore dai costanti battiti e il suo corredo di organi utili a mantenerlo in attività. Con quel tipo di suono inquietante e così stranamente descrittivo simile a un risucchio, che tende ad impegnare molto a lungo prima di essere creato dal tecnico foley della BBC…
Oh, bagnato bruco della mosca! Dalla lunga e lesta coda rattiforme!
Nella poliglotta e universale gerarchia degli insulti, spesso un repertorio valido deriva da particolari tipologie d’animali. Creature in qualche modo percepite come piccole o meschine, infelici o poco utili alle buone condizioni dell’ambiente e della civiltà umana. Esseri come i vermi, oppure i ratti, chiaramente condannati da eventuali malefatte in vite precedenti, al punto da finire reincarnati in siffatte condizioni, in una nicchia biologica del tutto priva di sbocchi o realizzazioni. Come se l’individualità, nell’Universo, forse null’altro che un’artificiale condizione elaborata da esseri pensanti ed unici, nell’infinita vastità delle possibili condizioni dei viventi. E dopo tutto, noi chi siamo al fine d’improntare una possibile architettura di giudizio? L’evidente scala dei valori che si adatti ad ogni cosa e circostanza, qualsivoglia genere di strisciante o zampettante creatura? La precisa e pratica realizzazione di un piano sofisticato, frutto di una lunga quantità di anni e plurime generazioni molto superiori alle nostre. Fino a poter mettere i nostri occhi sopra tutto questo: i molti piccoli vermetti nel barile d’acqua putrida e stagnante. Ciascuno egualmente lieto di essere nel mondo, mentre in silenzio mastica e trangugia larghe quantità di mucillagine aumentando di peso, la lunga propaggine sul retro in posizione obliqua che fuoriesce parzialmente dalla superficie. Fino al giorno in cui il suo possessore non sarà abbastanza forte, e grande, da poter nuotare oltre i margini di questo stagno maleodorante. Per andare a seppellirsi, con grandissimo senso d’aspettativa, tra il terriccio del nostro giardino: bestia o belva, mistica presenza semi-trasparente ed indefessa. Valida versione della vita, di per se perfettamente produttiva e completa in ciò che tenta in genere di fare. Ma come se ciò non potesse mai essere abbastanza, ecco ciò che la natura serba sotto i nostri occhi come ultima sorpresa della rinomata vicenda: la nascita due settimane dopo di una… Mosca. Dai colori assai variabili come anche le forme, poiché liberamente appartenente alle tribù degli Eristalini e Sericomyiini, più comunemente definiti delle hoverfly. Pronte a sollevarsi per cercare pollini o nettari abbastanza nutrienti, da riuscire a supportare la propria sopravvivenza fino al catartico momento riproduttivo. Una pratica ben collaudata e supportata dall’evidenza, soprattutto quando coinvolge fiori di colore giallo. Ecco perciò, oh pragmatico uomo moderno, l’effettiva “utilità” di cose come queste. Semplicemente una valida ragione d’esistenza, di agrimonia, alisso, anemone, dente di leone, ginestra e girasole, verbasco, qualche volta pure il tulipano. Orribile strisciante visu, passaggio utile a ogni cosa bella che sussiste nel mondo…
Il principio collaborativo che condanna gli striscianti abitatori del pantano inquinato
Per lunghi mesi, anni e decadi di vita, la collettività indefessa si era concentrata nel profitto delle proprie attività comunitarie. Alte mura, lunghe strade, complicati impianti chimici e altrettanti ponderosi opifici. Ciò che in tale progressione costituiva il fondamento delle gesta umane, nella maniera più o meno riservata all’inavvicinabile settore inconscio del senso comune, era la ragionevole certezza che di contro la natura si stesse ritirando dagli spazi condivisi, nella maniera al tempo stesso malinconica e funzionale alla realizzazione dei nostri progetti operativi di partenza. Così lo sguardo perso verso l’orizzonte, parallelo al pelo permeabile dell’acquitrino sul perimetro della coscienza, non poteva penetrare oltre gli strati di una tale superficie, per vedere la marea vermiglia che tendeva a soggiacere, crescendo ed aumentando, replicandosi indefessa e indifferente alle diverse aspirazioni della vita comunitaria. Che non fossero, semplicemente: mangiare, accumulare risorse energetiche ed infine individuare un possibile sentiero, qualsiasi fosse il metodo effettivamente scelto, per produrre valide generazioni successive della propria schiatta antica e nobile tra gli Oligochaeta. Vermi clitellati ovvero con la significativa caratteristica di un vistoso rigonfiamento lungo il proprio corpo serpentino, ospitante l’apparato sia maschile che femminile utile a produrre il bozzolo delle risultanti uova preventivamente ed opportunamente sottoposte a fecondazione. Il che non basta a rendere le creature cosmopolite sotto l’obiettivo dell’odierna analisi, il cui nome per antonomasia è solamente tubifex indipendentemente dalla specie di appartenenza, in altro modo simili o riconducibili al rassicurante verme di terra o lombrico, di cui ogni cosa nota viene confermata nell’esperienza diretta che tendiamo a farne in occasione di un’infanzia trascorsa nei giardini o il successivo hobby altrettanto diffuso della coltivazione vegetale. Col che non voglio certo dire che i qui presenti abitatori degli strati meno attraenti sul confine tra città e natura, non a caso detti in modo alternativo “vermi degli scarichi” o “delle fognature” siano totalmente privi di un ruolo utile al proprio distintivo spazio ecologico di appartenenza. Cui tende ad associarsi, nondimeno, l’implicita tendenza a suscitare un senso di spiacevolezza o vero e proprio disgusto, variabile dal punto di vista dell’osservatore in base alla propria confidenza coi processi meno conosciuti della natura. Soprattutto nel punto di svolta della loro semplice esistenza quando, sentendosi minacciate o in altro modo a rischio, le gremite colonie di siffatta creatura si ritrovano impossibilitate a nascondersi scavando in un sostrato friabile di sabbia e/o ghiaia. Da cui sorge l’opportunità, iscritta a chiare lettere nell’istinto che guida ogni loro tipica reazione, ad aggrovigliarsi vicendevolmente in una massa indivisa. Ammasso rosso e tanto spesso definito su Internet come “Un’unica creatura in grado di preservare la propria sopravvivenza.” Il che purtroppo, a discapito del pensiero ottimistico della maggioranza e soprattutto per i diretti interessati, non potrebbe essere più lontano dalla verità dei fatti…