Trentadue milioni di dollari per il pezzo d’arte moderna più caro di quest’anno a Sotheby’s, l’opera maggiormente valutata dell’autrice e la principale scultura all’asta ad essere mai stata creata da una donna. Nell’occasione dei nuovi record stabiliti, ancora una volta, da uno degli otto ragni metallici della dimensione “medio-piccola” di 3 metri circa, creati dall’allora già ottantenne Louise Bourgeois (1911-2010) il mondo volge ancora una volta lo sguardo a questo personaggio singolare, che seppe offrire un commento alle paure ed alle aspirazioni della gente del suo secolo, attraverso la carriera creata sulla base dei propri traumi e la difficile esperienza della vita che ne è conseguita. Una di quelle creatrici che non rifiutando le tribolazioni della sua esistenza, seppe piuttosto metabolizzarle facendone il proprio carburante e punto di forza. Fino alla creazione, a partire dagli anni ’90, di alcune delle creature maggiormente iconiche a manifestarsi nell’ambiente museale, degne di competere coi mostri della letteratura, del cinema e l’illustrazione moderna. Sotto ogni aspetto rilevante o degno di essere descritto, fondamentalmente: un ragno. Ma anche molto altro in aggiunta a questo, per le profonde implicazioni manifeste nel posizionare le multiple versioni dell’opera, di volta in volta, nei contesti maggiormente utili a massimizzarne le realistiche qualità inerenti. Come un modo alternativo di relazionarsi, tipico ed inconfondibile, con alcuni dei comportamenti naturali che diventano acquisiti, tra tutte le creature viventi, unicamente nel sistema dei valori architettato dall’uomo. E chi ha detto che sarebbero gli artropodi, i “mostri”…
Così un’esegesi di tale ottuplice presenza, che viene messa su carta per la prima volta nel 1947 in un disegno dell’arista allora trentaseienne, come parte di una serie dedicata ad aracnidi ed insetti, scevri di particolari dichiarazioni d’intenti. Per poi ritornare ai suoi metodi espressivi preferiti, della scultura metaforica e l’impiego di stoffe, arazzi e materiali da plasmare nelle forme utili a descrivere in varie modalità i conflitti tra la mente umana e le sue antitesi, non ultima la relazione arbitrariamente conflittuale tra mondo maschile e femminile. Finché esattamente cinque decadi dopo, nell’aggiungere elementi alla sua lunga serie di gabbie connotate da elementi esterni ed interni, dal titolo soltanto descrittivo di Cells, non pensò d’utilizzare la figura immaginata in gioventù, chiarendo finalmente la principale associazione che ne aveva agevolato l’esistenza: verso la figura delle madri ed in modo particolare sua madre, la cui morte prematura nel 1932 aveva costituito un punto di svolta nella vita di questa importante artista. Genitrici che proteggono, costruiscono e talvolta tessono la propria tela, propri come la corrispondenza ottuplice approntata da colei che scelse in questo modo di celebrarle…
storie
Lo spavento presidenziale di fronte alla temibile creatura lagomorfa della palude
Campione dell’America democratica con un messaggio d’inclusione e rivalsa, dopo i lunghi anni della guerra del Vietnam e lo scandalo del Watergate, che definì entrambi degli errori nel suo discorso al giuramento sulla Costituzione, Jimmy Carter giunse alle porte della Casa Bianca con il fermo intento di proteggere un paese finalmente unito, economicamente solido e forse anche, per quanto possibile, ridurre il numero dei suoi nemici senza posa. Nei precisi quattro anni in cui rimase al potere tuttavia, prima di essere travolto dall’ondata di sostegni al carismatico Ronald Reagan, non mancarono accese critiche alle sue idee e scelte politiche, talvolta basate su di un filo logico, qualche altra, su improbabili e altrettanto insoliti catalizzatori. Nessuno dei quali, nella misura in cui fu registrato dalla storia, più della vicenda metaforica ed alquanto surreale del terribile “coniglio mannaro”, così chiamato per analogia col recente successo cinematografico dei Monthy Python e il Santo Graal, quando il 20 aprile del 1979 avvenne l’imponderabile e l’imbarcazione presidenziale, impiegata per una battuta di pesca presso la località di Plains in Georgia venne momentaneamente presa d’assedio da una creatura al tempo stesso familiare e spaventosa, di aspetto gradevole ma caratterizzata da un latente quanto innegabile senso di minaccia. Era un Sylvilagus aquaticus o coniglio dalla coda a batuffolo di palude, come avrebbe potuto facilmente identificarlo qualcuno di abituato a vivere all’aperto, sebbene la rapidità delle vigenti circostanze, unita all’esigenza di fare immediatamente qualcosa, avrebbe potuto infrangere la sicurezza di chicchessia. Ma non quella, si narra, del presidente Carter che, sollevando sopra la sua testa la pagaia della piccola barca a remi, la calò con forza nell’acqua, producendo un suono ed uno spostamento liquido fortunatamente sufficienti a scoraggiare la rabbiosa creatura. Il che sarebbe stato sia l’inizio che la fine della vicenda, se non fosse per la maniera in cui l’addetto stampa dello Studio Ovale, Jody Powell, narrò ingenuamente l’episodio ad alcuni giornalisti durante una serata a base di alcol generando un caso che sarebbe stato destinato a coinvolgere la nazione. “Come ha potuto il nostro presidente, rischiare di nuocere a una creatura protetta?” Seguito dall’ipotesi religiosa: “I valori cristiani dello schieramento democratico passano di nuovo in secondo piano, mentre un leader tanto di rilievo non si preoccupa di pagaiare un povero coniglio.” E chiaramente all’estremo opposto dello spettro, non mancò l’inclemente postulato: “Non ordinando alle sue guardie del corpo di sparare al coniglio, Jimmy Carter si è mostrato debole. Ciò ha causato ondate di instabilità mondiale ed indirettamente, l’invasione sovietica dell’Afghanistan e la crisi degli ostaggi in Iran.” Eventualità apparentemente poco probabile, ma che sarebbe stata almeno in apparenza corroborata da alcuni documenti in russo visionati dal celebre giornalista dell’epoca della guerra in Corea, Robert Novak. Spuntò fuori anche una fotografia del temibile aggressore, destinata ad ispirare una pletora di parodie che avrebbero smesso di essere prodotte soltanto a settimane di distanza, mentre riferimenti all’episodio continuano ancora ad essere una parte inscindibile della cultura popolare statunitense. Tanto che oggi si è ancora soliti affermare: “Chi si prende gioco di un coniglio, non è mai stato aggredito da un coniglio.”
E del resto, avevate mai sentito parlare di un leporide tanto a suo agio dentro l’acqua, da poter pensare di aggredire a nuoto un’imbarcazione? Se così non fosse, ve ne svelo subito la ragione: in qualità di silvilago del Nuovo Mondo, genìa in effetti ben più simile alle nostre lepri, l’essere protagonista di questa vicenda è caratterizzato da un’appartenenza esclusiva all’area nordamericana, dove costituisce una vista piuttosto comune in determinati stati ed il secondo lagomorfo più cacciato nello scenario contemporaneo. Con buona pace dei suoi molti, opportunisti cavalieri bianchi all’acquisizione transitoria di rilevanza politica, attraverso le alterne vicende di una Nazione…
Tagliategli la testa! Come suona la più sincopata invettiva dell’opera di Pechino nel mondo moderno
Quando ci si trova nella necessità di esprimere un concetto complicato all’interno di un testo musicale, al giorno d’oggi è particolarmente difficile superare l’efficienza rappresentata dal parlato rapido e la musica ritmata di un pezzo hip hop, enunciato alla massima rapidità consentita dall’apparato fonatorio umano. Forse per questo, la maggiore quantità dei pezzi di denuncia sociale o j’accuse nei confronti dell’autorità costituita rientrano nella categoria delle canzoni cosiddette parlate, prodotte da persone che hanno fatto del volume di parole al minuto un importante punto cardine della propria dialettica, sistematicamente deputata alla comunicazione di un fondamentale messaggio ai propri ascoltatori. Un’associazione di massima tanto forte nell’attuale cultura globalizzata, che il mondo di Internet non ha esitato un anno fa a ribattezzare questo pezzo dal notevole significato tradizionale, postato da qualcuno con intento semiserio su YouTube, come il “rap cinese” per eccellenza, accompagnato da commenti satirici di vario tipo a spese delle attuali contraddizioni ed idiosincrasie del più vasto paese dell’Estremo Oriente. Eppure il Ching Cheng Hanji (a.k.a. Il caso di Chen Shimei) è giunto a costituire negli ultimi due secoli un importante pilastro non soltanto della tecnica e teoria musicale a fondamento della cosiddetta Opera Cinese o di Pechino, forma teatrale celebre per i suoi costumi appariscenti e il trucco elaborato dei personaggi, ma soprattutto dei principi di legalità applicati ai potenti uomini politici di allora come adesso, troppo spesso esenti dal pagare per le conseguenze delle proprie immorali o crudeli scelte di vita. In tale accezione recitata, piuttosto che semplicemente pronunciata con intento di svago ed intrattenimento, al termine di una rappresentazione di circa due ore e mezza, come coronamento insperato e lieto fine (se così possiamo dire) del tragico dramma familiare di una donna ed i suoi due figli. Ad opera di niente meno che il supremo giudice Bao, personaggio leggendario che per molti secoli ha saputo personificare la giustizia che vince su tutto, sia nel mondo materiale che al cospetto di divinità e spiriti notturni capaci di vivere in eterno. Ma non di sfuggire alle sentenze elaborate da colui che soprannominavano il Draconico Disegno, all’interno della lunga serie di romanzi, novelle ed opere teatrali che costituivano il genere del Gong’an, o “racconto poliziesco” attestato fin dall’epoca della dinastia Yuan (1279 a seguire). Questo perché l’originale ed effettivamente vissuto Bao Zheng, due secoli prima di quella data, era stato un importante magistrato e prefetto alle dipendenze dell’Imperatore Rezong di Song, prima che il folklore popolare o le iperboli di storie lungamente ripetute facessero di lui una figura ultraterrena affine a quella dei potentissimi Immortali della tradizione taoista. Il che fa sorgere spontanea la domanda di cosa ci facesse, esattamente, un personaggio come questo in un corte di giustizia di epoca Qing nel XIX secolo d.C, intento a suggellare il fato di un suo collega di fronte alla consorte del sovrano e sua figlia, supremamente indisturbato da simili contrariate ed implacabili eminenze…
L’inviolabile anello che seppe tenere i tatari fuori dalla Moldavia
Un buon castello dovrebbe costituire un richiamo irresistibile per il nemico, al punto che marciare oltre senza tentare di conquistarlo sarebbe del tutto inconcepibile, nel proseguimento della propria campagna militare. Perciò è importante la collocazione, ma anche il significato concettuale, spesso esemplificato dall’importante componente dell’aspetto esteriore. Impressionante, poderoso, in qualche modo memorabile e proprio per questo impossibile da tralasciare, assieme al territorio che è stato posto a proteggere con la sua architettonica presenza. E sebbene sia difficile capire fino a che punto tali considerazioni possano aver influenzato, a suo tempo, l’iniziativa di fortificazione in legno gestita a suo tempo dal sovrano moldavo Ștefan III cel Mare “Il Grande” verso la fine del XV secolo, quando stazionò una guarnigione permanente presso l’antico porto fluviale genovese di Olchionia, non ci sono dubbi che suo figlio Petru IV, salito al trono nel 1527, avesse deciso di rendere la fortezza di Soroca un importante punto di riferimento nazionale. Affinché qualsiasi barbaro invasore proveniente dai vicini territori dell’odierna Ucraina dovesse necessariamente scontrarsi con la necessità, pratica e ideologica, di scardinare le alte mura che aveva ricostruito con la dura pietra di marna, poste strategicamente in corrispondenza di un importante guado del fiume Nistra. Ignoto resta, d’altra parte, l’origine di questo nome che avrebbe anche potuto provenire dall’espressione Sărac (povero) oppure Soroc, che significa “40” in Russo. O ancora essere l’evoluzione linguistica della parola usata per riferirsi a un gruppo di boiardi o feudatari con il compito di rifornire di cibarie o vettovaglie un singolo signore. La cui effettiva identità non ci è stata trasmessa, visto come i primi conflitti collegati all’uso militare di questo complesso vadano a scomparire nella leggenda. Vedi il racconto sui soldati del voivoda che, ritiratosi tra queste mura mentre fuggivano dai tatari della Crimea, erano rimasti sotto assedio per un periodo sufficientemente lungo da giungere a patire la fame. Finché all’improvviso e miracolosamente, una cicogna bianca posò le sue zampe nel cortile interno, trasformandosi per magia in una bambina vestita dello stesso colore, che iniziò a distribuire grappoli d’uva ai difensori rimasti ormai del tutto privi di speranza. Il che avrebbe permesso, per fortuna, di sollevare il morale e recuperare le forze abbastanza da resistere a un ultimo assalto del nemico, salvando il paese dai saccheggiatori. La prima storia connessa ad un personaggio storico successivamente a tali eventi vede quindi il famoso erede del trono nazionale e feroce guerriero Ioan Potcoava Pidkova, detto “il ferro di cavallo” (perché pare che potesse piegarne uno a mani nude) passare più volte per queste terre durante le sue campagne militari in Polonia, al culmine delle quali sarebbe stato catturato e decapitato a tradimento dagli alleati politici di suo fratello e successore, Pietro VI Chiopul (“lo zoppo”). Il conflitto tra i due grandi paesi dell’Est Europa avrebbe quindi avuto seguito per molte generazioni, fino all’alleanza militare della Moldavia con l’Impero Ottomano all’inizio della guerra del 1683, culminante con l’assalto del 1692 degli eserciti della Santa Lega costituita sotto l’autorità del Commonwealth Polacco-Lutuano, proprio nei confronti del castello di Soroca, dove l’abile comandante militare Ksistof Rape seppe respingere le forze congiunte di alcune delle principali potenze della sua Era. Mentre sarebbe stato proprio il re e famoso guerriero di Polonia John III Sobieski, poco meno di 10 anni dopo, a difendere lo stesso castello contro le truppe del sultano turco, in una battaglia destinata a cementare il suo ruolo di possente difensore della cristianità. Potendo anch’egli fare affidamento su alcuni caratteri strutturali e particolari accorgimenti, tali da rendere la fortezza di Soroca una delle più possenti ed inviolabili in quest’epoca di cambiamenti militari significativi, e nonostante l’introduzione della polvere da sparo…