L’intricato filo delle alghe che lega le donne all’eredità delle isole balinesi

Con il progredire dell’attuale situazione climatica e i suoi effetti sulle condizioni meteorologiche vigenti, le conseguenze ad ampio spettro subite dal pianeta continueranno a coinvolgere progressivamente una percentuale maggiore d’interessi ed attività umane, in aggiunta al danneggiamento della macchina ambientale che sostiene fauna & flora delle zone maggiormente colpite. Uno delle principali fonti di sostentamento di una buona parte delle isole Sunda in Indonesia, ma soprattutto Nusa Penida e Nusa Lembongan situate ad est di Bali, è la coltivazione tradizionale di diverse specie di alghe con particolare attenzione nei confronti della grandong o katoni. Appellativi locali riservati al “muschio di mare” della specie Kappaphycus alvarezii, un tipo di rodofita fotosintetico famoso per la sua capacità di ancorarsi saldamente alle barriere coralline, creando meta-strutture proteiche interconnesse che gli permettono di propagarsi con fulminea efficienza. Lo stesso principio impiegato con sapienza, ormai da secoli, come fondamento di un’industria praticata soprattutto dalle donne, consistente nell’applicazione del metodo del lungo filo, che non richiede l’utilizzo di semi. In cui una cima del diametro di 10-15 mm viene sospesa tra boe o galleggianti ad intervalli di 4-5 metri, per legarvi vaste quantità di talli (rametti) del muschio di mare con cadenza regolare, affinché il sole, il vento e il movimento delle onde si occupi di fare il resto. Approccio collaudato in grado di garantire, in condizioni ideali, una crescita di ciascuna pianta per percentuali di un 4-6% giornaliero ed il raggiungimento del giorno raccolto in appena un paio di settimane. Prassi priva di latenti vulnerabilità, giusto? Non proprio, visto il prolungarsi della stagione delle piogge nel corso delle ultime decadi. Con conseguente danneggiamento e necessario intervento di rimozione preventivo di una certa quantità delle fluttuanti inquiline di color verde-marrone dalla cima, portando a un danno economico ed allo stesso tempo aumento dell’energia necessaria a portare a compimento le operazioni. Una deriva che sta portando, soprattutto negli ultimi anni, alla riduzione delle aziende di famiglia attive nel settore e la conseguente invocazioni di norme commerciali più stringenti da parte del governo locale, con il potenziale di arrecare un tipo d’impulso al settore che potrebbe anche rivelarsi nocivo. Mentre una parte significativa del carattere di queste isole, così fortemente radicato nel territorio, rischia per la prima volta di scomparire…

Laddove l’importanza sul mercato globale della K. alvarezii non può dunque essere tranquillamente accantonata. Essendo tale forma di vita vegetale, dal suo polo produttivo locale assieme a quello situato nelle Filippine, la principale fonte coltivata dall’uomo di carragenina, nonostante il nome di tale fondamentale sostanza sia preso in prestito dalla località irlandese di Carragheen. Un polisaccaride estratto dalle alghe, per certi versi analogo all’agar-agar, ampiamente utilizzato come additivo alimentare per la sua capacità addensante e gelificante, ad esempio nella produzione di budini o crostate. Ma soprattutto nella produzione di cosmetici, saponi, dentifrici essendo al giorno d’oggi diventata una delle risorse maggiormente imprescindibili per la commercializzazione di quei prodotti. E sebbene la natura prolifica di queste piante marine, da un punto di vista dell’approvvigionamento, renda inerentemente praticabile la sostituzione logistica degli arcipelaghi asiatici con luoghi d’origine alternativi, resta indubbio che per la popolazione locale coltivare il grandong sia molto più che una semplice fonte di guadagno. Bensì parte di uno stile di vita antico, strettamente interconnesso all’indipendenza femminile e la visione quotidiana delle coltivatrici, che dopo aver lavorato alacremente nell’implementazione di migliaia di nodi trascinano la lunga fune a largo del tratto di costa posseduto dalla loro famiglia, rigorosamente delimitato da boe fornite di ancoraggio cui vengono assicurate le canone. Da cui esse prelevano, spesso sotto l’occhio affascinato dei turisti, grandi ceste di vimini intrecciato, dove vengono deposti con cura i mucchietti di alghe che hanno raggiunto la dimensione appropriata. Degno di nota anche il fatto che, in questi luoghi, il cosiddetto muschio intrecciato sia anche un ingrediente utilizzato attivamente in cucina, nella preparazione delle insalate marine denominate Rujak Bulung, assieme alle sferette che costituiscono la parte preferita dell’alga Caulerpa racemosa o “uva di mare”.
Prendendo atto della riduzione del mercato ed il costante modificarsi delle condizioni climatiche, il governo indonesiano ha dunque iniziato a discutere ormai dall’agosto dell’anno 2022 una misura di protezionismo commerciale, che vorrebbe bandire l’esportazione delle alghe produttrici di carragenina non processate fuori dal territorio nazionale. Incentivando in tal modo, da un punto di vista ideale, gli investimenti locali e stranieri per la costruzione d’impianti tecnologici sul territorio delle isole, aggiungendo in questo modo valore all’economia. Misura tuttavia rimandata più volte, a seguito del commento degli economisti più che convinti del crollo del valore delle alghe a cui ciò potrebbe portare, precipitando ulteriormente la crescente insoddisfazione degli agricoltori.

Ed in ultima analisi, che cosa potrà succedere nei prossimi anni? Indipendentemente dall’introduzione di regolamenti governativi, è indubbio che la coltivazione tradizionale delle alghe stia andando incontro a ostacoli di entità crescente che rischiano di condizionare largamente il suo futuro. Non soltanto per fattori climatici instradati verso il mutamento ma anche l’interesse delle grandi multinazionali, tra Oriente ed Occidente, che si trasformano in concorrenti impossibili da contrastare. Dato l’impiego tecnico e per lo più non gastronomico di prodotti come la K. alvarezii, d’altro canto, è difficile immaginare una presa di coscienza e un movimento collettivo mirato a preservare i vecchi metodi, dinnanzi ad altri meno soggetti a contrattempi ed anche in funzione di ciò, maggiormente redditizi.
Tutti sappiamo cosa guida, più di ogni altra cosa, le scelte e procedure messe in atto dall’odierna civilizzazione. Una pulsione più potente di qualsiasi processo chimico, all’interno di foglie racemose interconnesse l’una all’altra. Unite in modo appassionato per un singolo fine ulteriore. Costi quel che costi! Finché la marea dei tempi non ricopra tutto quanto, con buona pace di coloro che credevano nella possibilità di sollevare nuovamente il filo.

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