Una corrente d’aria che si muove tra il bambù, in mezzo agli edifici e tra le antiche rocce ornamentali del tempio. Ma non è soltanto il vento, semplice prodotto della mescolanza delle masse d’aria provenienti dagli strati superiori dell’atmosfera. Bensì la forza naturale che spostandosi in maniera prevedibile, s’incontra e viene connotata dai diversi flussi provenienti dalle cinque direzioni ed altrettante manifestazioni degli elementi. Il legno che divide la terra. La terra che assorbe l’acqua. L’acqua che estingue il fuoco. Il fuoco che squaglia il metallo. Il metallo che taglia il legno. Almeno, ogni qual volta se ne possa presentare la necessità. Poiché una definizione classica degli strumenti più o meno affilati entro il vasto territorio dell’Impero Cinese è sempre stata quella di “arma fredda” (lěng bīngqì – 冷兵器) con diretto riferimento alla primaria sensazione tattile di quei materiali. Assieme a, possibilmente, il dominante stato d’animo di chi era solito trovarsi ad utilizzarli. Morte e distruzione, d’altra parte, non furono né rappresentano all’interno del contesto attuale l’unica finalità delle arti marziali: discipline che coltivano la mente assieme al corpo, concedendo vie d’accesso verso una migliore percezione delle cose e il mondo che le circonda. Ragion per cui corsi come quello tenuto dalla maestra (lǎoshī – 老师) Han Liang, presso l’Università del Gansu di Legge e Scienze Politiche presso Lanzhou, coinvolgono la partecipazione di nutrite schiere di studenti interessati a riconoscere, ed ereditare una remota eredità del proprio patrimonio ancestrale. Una tendenza per agevolare la quale, molto evidentemente, video come quelli qui mostrati possono costituire un potente biglietto da visita digitale. Così è recentemente esplosa, e si è trovato riprodotto presso i principali canali social e siti di quel paese, l’offerta antologia di questa praticante con decadi di esperienza alle spalle, proveniente da un distinto background familiare nel campo delle competizioni sportive e molto evidentemente supportata, in maniera addizionale, da una sincera passione per la cinematografia del combattimento e tutto quello che gli ruota intorno. Con particolare attenzione ad un aspetto spesso trascurato da coloro che osservano il kung fu, per così dire, dagli spalti situati all’altra estremità dei continenti. Ovvero l’articolata e lunga storia delle sue armi. Avevate mai visto nulla di simile? Nel video di poco di 4 minuti intitolato “Indossate le cuffie e non sbattete le palpebre” la maestra sfodera e dimostra con fulminea perizia l’ideale modalità d’impiego di ben 26 diversi tipi d’implementi, dalle spade alle lance, le alabarde, il pugnale, la frusta, il nunchaku, bastoni, ventaglio, puntali, arco e frecce… Giungendo a superare la coreografia di una delle scene più famose de “La tigre e il dragone” di Ang Lee. Ciascun rapido momento, nel montaggio sincopato, successivamente esplorabile mediante il repertorio degli altri video proposti sul suo canale praticamente sconosciuto di YouTube, o quelli con letterali centinaia di migliaia di contatti su portali equivalenti situati in Cina, tra cui Douyin (si tratta di TikTok) e il simile, ma ormai più vetusto BiliBili. Dove il catalogo delle proposte sembra esponenzialmente più vasto…
alabarde
L’esercito invisibile della città di Graz
“Per ordine del vescovo di Roma, il Capo della Chiesa e vicario di Cristo in Terra, sono qui a portare in questo esercito la voce della ragione. Cessate, Sire, i questo assalto ingiustificato contro il vostro Imperatore.” Le parole latine usate da Bartolomeo Maraschi, vescovo di città di castello e legato papale, riecheggiarono per il campo dell’assedio di Graz. Il dito alzato in un ammonimento, il pastorale come un parafulmine contro gli sguardi ed il potere transitorio dei viventi. Era l’anno del Signore 1482, quando Matthias Corvinus, re dell’Ungheria, fece la sua mossa per riscuotere il debito contratto da Federico III d’Asburgo, l’austriaco che attualmente rivestiva il manto di protettore in terra dell’intera Cristianità. Il lunghi capelli che scendevano fino alle spalle ricadendo sul mantello rosso, la corazza in un solo pezzo di splendente acciaio lavorato e i guanti d’arme, l’uno dei quali ricadeva, quasi per caso, in prossimità del pomolo della sua spada lunga due spanne. L’altro poggiato sul destriero di Brabant, coperto dalla rigida bardatura a piastre. L’elmo incrostato di gemme e con l’immagine della sacra croce dorata dinnanzi alla visiera, ancora da una parte, tenuto in mano con reverenza dal fedele scudiero. Ci fu un attimo di assoluto silenzio, tra i fidati luogotenenti riuniti in consiglio informale prima di condurre l’ultimo assalto. L’arrivo del rappresentante del Vaticano era atteso, ma nonostante questo, sopraggiunse come un fulmine sopra le tombe dei soldati morti durante la sanguinosa campagna. Tirando un lungo sospiro, il re parlò: “L’Austria brucia, Eminenza. Questo è un fatto. Dieci anni fa, ricacciai i turchi dalla Moravia e dalla Wallachia, quindi marciai con il mio esercito fino in Polonia. Fu l’Imperatore stesso, allora, a stipulare con me la pace in cambio di un’indennità di guerra che non mi è stata mai concessa.” Soltanto allora re Corvinus passò le redini al suo servitore, quindi si inchinò profondamene alla figura religiosa: “In verità vi dico, se un governante non è in grado di mantenere la sua parola, che si faccia da parte. Egli non è degno di difendere la cristianità.”
La Styria: terra di confine. Un luogo in cui, attraverso i secoli, nazioni ed armate mercenarie, austriaci ed ottomani, cristiani e musulmani si combatterono strenuamente, finché di ogni città di questo Land non restò altro che un cumulo fumante di macerie. Tutte, tranne una: nella valle del fiume Mur, all’ombra dello Schlossberg, il “monte castello” fortificato originariamente dagli sloveni, Graz si era dimostrata imprendibile persino ai colpi dei più moderni e terribili cannoni. Nessuno, non importa quanto preparato, si era dimostrato in grado di oltrepassare quelle spesse mura. Fino a quel momento! Rialzatosi voltando le spalle al vescovo, il sovrano passò in rassegna i più fidati tra le sue truppe: la temuta Armata Nera d’Ungheria, composta dagli eredi stessi dei guerrieri delle antiche steppe, in una schiera di armature brunite cupe come la notte stessa, punteggiate con l’occasionale vessillo rosso e bianco dalla doppia croce, un simbolo mutuato dai commerci pregressi con il decaduto regno di Bisanzio. Ciascuno armato di una spada, una mazza e una picca, ed uno ogni quattro di ciò che li aveva resi imbattuti in una buona metà dell’Europa d’Oriente: il temutissimo archibugio. In un’epoca in cui ancora tutti si chiedevano cosa ci fosse di tanto utile, in un’arma che imitava malamente l’arco o la balestra senza averne la stessa affidabilità, Corvinus aveva compreso soprattutto il suo potere psicologico, del rombo che diventava come un grido di guerra, gettando lo sconforto dentro il cuore dei suoi nemici. Ormai a cavallo da cinque minuti, la mano destra alzata in un gesto imperioso, il re gridò il segnale prestabilito, che venne fatto riecheggiare per le schiere come l’eco di una riscossa sulle ragioni del Fato. Avanti, miei prodi, andate avanti. Il capo di un popolo cavalca innanzi ai suoi guerrieri, ma non certo durante gli assedi. E a molti altri, tra i nobili, era concesso di pensarla nello stesso modo. Fu una lunga cavalcata… Quando finalmente lo stemma degli Asburgo comparve chiaro sopra la porta della città, saldamente serrata con la doppia anta in legno di quercia, esso lo fece accompagnato da una seconda visione, ben più preoccupante. Centinaia, anzi migliaia di persone tra le merlature, ciascuna delle quali intenta nello scrutare l’orizzonte. Nessuno di loro poteva vantare l’aspetto di un soldato. Erano artigiani, mercanti, contadini. Soltanto alcun indossavano l’armatura. Ma nel momento in cui la schiera degli ungheresi fu finalmente a tiro, accanto al volto di ognuno prese a sollevarsi l’arma con cui si addestravano da lunghe settimane: un fucile della più pregiata forgiatura, oppure una pistola con la lunga miccia scintillante. Sembrava invero che l’intera popolazione della capitale regionale fosse pronta a fare fuoco contro gli assalitori in arme provenienti da Est. Fu proprio allora, se vogliamo continuare in questa fantasia, che Matthias Corvinus ebbe una visione. L’arcangelo Michele in persona, probabilmente richiamato dalle parole del legato papale, comparve in una sfera fiammeggiante sopra la polvere dell’antica strada di fattura romana: “Saggio governante, ricevi la mia profezia: oggi Graz non cadrà. Oggi, non cadrà.” Gli occhi strabuzzati, richiamato lo scudiero al suo fianco, il re chiese di suonare la ritirata. Torante indietro, indietro fino in Ungheria…