Tra i labirintici recessi del sottobosco, nei grovigli di radici e foglie morte, un placido rigonfiamento sembra muoversi grazie all’effetto di una forza transiente. Un timido balzo, un piccolo passo tra le ombre? Il che apparirebbe molto meno insolito, di sicuro, se l’oggetto non assomigliasse tanto da vicino a un frutto. Il piccolo cocomero caduto o un oblungo melone, le cui striature paiono partire da un singolo punto da cui era attaccato al pendente ramo dell’arbusto di provenienza. Peponide o quadrupede, questione poco chiara. Almeno fino alla vibrante rotazione di una testa vigile ed attenta! Con due orecchie dritte sulla sommità ed un paio d’occhi lucidi e profondi quasi quanto il Mar Cinese Meridionale. Il cui sguardo suscita immediato senso d’affezione ed il bisogno percepito di proteggere a ogni costo ciò che attira l’attenzione di colui o colei che si è trovato al suo immediato cospetto. Di sicuro, questo è l’intimo potere psichico di lepri (Lepus) e conigli (Pentalagus, Sylvilagus…) prede per definizione, create soffici nel corso dell’evoluzione per esistere nonostante i pericoli del mondo che le circonda. Sebbene non siamo parlando, nel fatto specifico, né dell’una né dell’altra categoria di creature. Almeno a partire dal 1880, quando il naturalista tedesco Hermann Schlegel, direttore del Museo di Storia Naturale a Vienna, coniò il genere del tutto nuovo Nesolagus, usato in linea di principio al fine di classificare il primo lagomorfo “primitivo”. Ovvero il fossile vivente, in più di un senso, di quello che potrebbe anche costituire l’antenato comune di entrambe le categorie esistenti. Il che si riflette, al tempo stesso, nell’aspetto e nel comportamento, a sua volta connotato da caratteristiche inerenti, di questo genere sud-orientale, che oggi sappiamo essere diviso in due specie, l’una originaria della parte meridionale di Sumatra e l’altra dei cosiddetti monti Annamiti, così chiamati dal termine cinese Ān Nán (安南) situati al confine tra Laos, Vietnam ed un piccolo tratto di Cambogia. Creature tanto simili ad un primo sguardo, e difficili da incontrare, studiare e fotografare, che la loro distinzione in giustapposte categorie avrebbe richiesto fino all’anno 2000 (Abramov et Tikhonov) soprattutto tramite l’annotazione di alcune differenze minime nella forma del cranio, la dentizione e la disposizione delle strisce sul dorso. Presa di coscienza, d’altro canto, niente meno che fondamentale al fine d’instaurare un qualche tipo d’urgente strategia conservativa sul territorio…
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L’antica disciplina che rielabora le leggi gravitazionali a vantaggio della leggerezza dei corpi
Raccontano le rassegne della stampa risalenti al 1994, che un ladro straordinariamente abile imperversava nella notte a Pechino. Nel corso di un singolo mese, il misterioso personaggio svaligiò dozzine di appartamenti nei distretti di Dongcheng e Xicheng, arrampicandosi sui muri, correndo sui tetti e penetrando facilmente all’interno delle finestre lasciate aperte agli ultimi piani. In un risvolto particolarmente imprevisto, l’uomo venne dopo alcuni mesi avvistato ed inseguito dalla polizia in un vicolo cieco. Allorché balzando senza nessun tipo di difficoltà, egli sembrò sollevarsi e prendere il volo, smaterializzandosi al di sopra degli altrui sguardi ipnotizzati dalla scena. Tanto che a seguito di quel momento, iniziò a circolare una bizzarra voce tra i locali: che il malfattore potesse essere la diretta reincarnazione di Li San la Rondine, eroe popolare dei romanzi Wu Xia di epoca Ming e Qing. Un’assoluta fantasia, ovviamente: giacché il tipico protagonista delle storie di arti marziali (武) e cavalleria (俠) avrebbe dovuto costituire un paladino dei giusti e protettore della responsabilità confuciana, guidato ad atti di benevolenza dalla quieta consapevolezza del valido equilibrio tra il Cielo e la Terra. Non certo un criminale agevolato dal possesso di un’abilità superiore alla media, derivante dal mero allenamento senza un appropriata bussola morale da impiegare come supporto. Qualcosa di eccezionale si era palesato tuttavia nel quotidiano, ed i più colti cominciarono a evocare nuovamente una parola ormai prossima all’oblio: QingGong (轻功) ovvero, l’Abilità della Leggerezza. Un’idea potente e intrinseca nell’approfondimento delle doti fisiche del corpo umano, lungamente praticata dalle discendenze ancestrali del sapere di Shaolin, Wudang, Emei e Qingcheng. Tanto stratificata e complessa, in effetti, da essere raccolta in un unico corpus di discipline e denominata tramite quel termine soltanto retroattivamente, a seguito della nascita di una coscienza nazionale tra il XVII e XVIII secolo d.C. All’interno di classici frequentemente citati come il Gujin tushu jicheng (古今圖書集成) del 1725, “Collezione Completa di figure e libri dei tempi antichi e moderni” in cui un estensivo capitolo viene dedicato alle tecniche di agilità, salto, movimento e leggerezza marziale. Con un’apparente contraddizione in termini, per quanto concerne quest’ultima voce: non è forse vero che il peso di una persona è una diretta conseguenza della sua massa? E per quanto sia possibile addestrarsi nel compiere un salto, ciò è uno sforzo necessariamente limitato dal bisogno di raggiungere un determinato livello di condizioni fisiche, piuttosto che filosofiche o puramente mentali. Eppure la suprema consapevolezza vuole, così come ben sapevano gli antichi Maestri, che i fattori comprimari all’obiettivo potevano essere profondamente interconnessi, alla maniera dei due draghi leggendari eternamente in lotta tra le nubi in tempesta, intrecciati con le loro scaglie nel feroce tentativo di ghermire la perlacea sfera che conduce all’immortalità…
La cupa leggenda di Abashiri, carcere costruito sui gelidi confini del Giappone settentrionale
Con il repentino ingresso del Giappone nell’epoca moderna, successivamente all’apertura forzata dalle navi nere del Commodoro Perry a partire dal 1853 e la conseguente serie di sconvolgimenti sociali, amministrativi e culturali che portarono alla caduta del secolare shogunato dei Tokugawa, una nuova concezione del potere ebbe modo di palesarsi dai feudi occidentali di Chōshū e Satsuma, gestita da un’elite politica destinata a trovare in un preciso codice legale, piuttosto che il diritto ereditario, la legittimazione del proprio potere. Fu dunque priorità degli oligarchi, una volta restaurato l’antico potere non più meramente simbolico dell’Imperatore nel 1868, redigere una costituzione sul modello di quella prussiana, che introduceva il parlamento chiamato Dieta, diritti civili e persino un primo limitato accenno di suffragio popolare. Ma fu presto chiaro come l’instabilità inerente del paese sottoposto a simili sconvolgimenti potesse venire arginata soltanto in un modo: una nuova ondata di patriottismo e la rinascita delle mire espansionistiche verso i cosiddetti territori contesi, l’intera parte settentrionale dell’arcipelago un tempo popolata dal popolo etnicamente distinto degli Ainu, oggi nel mirino dell’insaziabile Zar di Tutte le Russie, Alessandro III. Obiettivo geograficamente complesso proprio perché suddiviso in una miriade di terre emerse, non tutte egualmente di valore se non dal punto di vista strategico e diplomatico, al fine di dimostrare la capacità della terra del Sol Levante di difendere i propri discontinui confini. Nacque in conseguenza di ciò la figura del kaitaku kōrōsha, il “grande pioniere” destinato per mandato governativo a trasferirsi in questi luoghi ghiacciati, dove avrebbe costruito strade, fattorie, nuovi insediamenti destinati a sancire il sacrosanto diritto ad esistere delle zone amministrative periferiche direttamente connesse al potere centrale. Ripercorrere la storia pregressa della vasta isola di Hokkaido, seconda per estensione di tutto il paese, permette tuttavia di notare la sospetta assenza di nomi strettamente connessi a molte delle opere civili che ne permisero l’ingresso nel nuovo sistema organizzativo e logistico fin qui descritto. Questo poiché tali implementi furono, sostanzialmente, costruiti dai prigionieri. Il nuovo codice legale dell’epoca Meiji prevedeva a tal fine quattro livelli di punizione: detenzione, detenzione con lavori forzati, pena di morte ed il cosiddetto trasporto. Non verso continenti lontani, come avveniva ormai da secoli nell’Europa del periodo coévo, bensì quegli stessi confini oggetto di faticosa e difficile colonizzazione. Il che, data la natura inclemente delle condizioni climatiche, tendeva a richiedere particolari sforzi in termini di organizzazione. E fu così che nel 1890 una letterale armata di 1200 prigionieri raggiunse il piccolo villaggio di Abashiri, con la missione di abbattere gli alberi della foresta e usarli per costruire quella che sarebbe diventata, nei lunghi anni a venire, la loro iconica e remota dimora…
Nove piani per emergere dalla pagoda incorporata nella nuda roccia dello Yangtze
Le opere architettoniche del passato possono venire spesso collocate lungo un asse lineare, dove gli edifici di maggior rilievo ed imponenza devono aderire a dei particolari canoni esteriori e funzionali, dettati dal senso comune che determina il flusso di risorse e forza lavoro. Laddove all’altro capo dello spettro, trovano collocazione le opere vernacolari imprevedibili o realmente spontanee, difficilmente in grado di oltrepassare le dimensioni di una residenza di famiglia o il monumento costruito da una piccola comunità rurale. Nel caso in cui il potere assoluto risieda nella visione e il gusto di un singolo individuo, tuttavia, ogni cosa può riuscire a palesarsi, a patto di disporre di maestranze dalle capacità sufficientemente navigate. E nessuno potrebbe dubitare che nella contea cinese di Chongqing, durante il regno dell’Imperatore Xianfeng dei Qing (1831-1861) simili speciali condizioni avessero trovato il modo di convergere a tutti gli effetti. Come reso evidente dall’antico complesso in pietra di Shibaozhai (石宝寨 – Preziosa Fortezza di Pietra) lungo il fiume Yangtze, destinato a ricevere una mistica “pagoda” di nove piani dalle caratteristiche pareti rosse e finestre circolari. Per cui le virgolette appaiono del tutto motivate, giacché una tale classe d’edifici tendono generalmente a prevedere una pianta ottagonale o quadrata, oltre ad uno spazio tutto attorno per riuscire ad ammirarne l’altezza. Laddove qui siamo di fronte ad un costrutto che si appoggia e al tempo stesso fa un sapiente impiego della ripida collina retrostante, un rilievo dell’altezza di 200 metri con in cima il tempio dedicato al bodhisattva Manjusri. Essendo giunta a costituire, nei termini coévi, l’iconica Piccola Penglai (蓬莱山) o Terra Mistica degli Immortali ma anche una versione antesignana con le sue ripide scale degli odierni ascensori montani, largamente utilizzati in epoca contemporanea per permettere ai turisti di apprezzare alcuni dei panorami più eccezionali della Cina. In sostituzione dell’antico metodo secondo cui, per lunghi secoli, i visitatori di tale luogo avrebbero dovuto arrampicarsi su un ripido sentiero aiutandosi con una lunga catena. Nessuno aveva mai pensato, d’altra parte, che un luogo simile al tempo del su primo utilizzo potesse costituire un giorno l’attrazione turistica principale della sua intera regione, nonché un patrimonio classificato al più alto livello del repertorio nazionale…



