Non tutti hanno assaggiato l’orribile fungo nero della salvezza

Si narra nelle cronache della storia della medicina popolare, che in un momento imprecisato dell’ininterrotta narrazione degli antenati uno sciamano della zona degli Appalachi vide un orso consumare qualcosa di estremamente insolito e particolare. Come un nodo sopra la corteccia di un alto albero, più nero della notte, dall’aspetto vagamente simile ad un pezzo di carbone. Colpito dall’idea che una simile sostanza potesse venire digerita, o quanto meno fagocitata da un essere vivente, egli decise allora di studiarne le caratteristiche inerenti. Scoprendo che per quanto fosse poco attraente, tale ammasso poteva, in determinate circostanze, favorire anche il benessere e la guarigione degli umani. Svariati secoli dopo, con l’ampliarsi a macchia d’olio di una tale cognizione, questa particolare presenza fungina viene tenuta in alta considerazione da chi ne conosce le presunte capacità miracolose. Sebbene la sua corretta procura e conseguente preparazione tendano a richiedere passaggi particolari, pena l’assoluta negazione di ogni possibile principio migliorativo. Il che rimane, nonostante tutto, la principale associazione del senso comune alla chaga (Inonotus obliquus) una presenza misteriosa, possibilmente rara, associata all’immagine di pentoloni fumanti e formule perfezionate dall’antica stregoneria degli umani. Giacché può davvero interessare, alla natura, il novero degli effetti “particolari” derivanti da una sua creazione persistente?
Volendo ad un tal punto avvicinarsi alla questione da un punto di vista scientifico, possiamo tranquillamente inserire la sostanza in questione tra i funghi cosiddetti polipori o capaci di crescere abbarbicati al tronco degli arbusti, in modo particolare in questo caso le betulle, al cui discapito agiscono come dei parassiti, sebbene anche tra questi suoi simili il bitorzolo in questione presenti notevoli tratti di differenziazione. Primo tra tutti, la natura stessa di quella parte che stiamo vedendo con i nostri occhi, trattandosi effettivamente del micelio o effettivo corpo micotico, piuttosto che la parte di esso dedicata all’effettiva produzione di spore. Ponendoci dinnanzi, in questo globo saturato di melanina, ad una situazione sostanzialmente invertita, in cui sono le ife stesse (o radici tentacolari) a custodire alle proprie estremità quelle sezioni dell’essere capace di produrre le spore, in grado di vegetare per periodi estremamente lunghi prima di procedere all’impresa per cui sono state create, successivamente alla morte della pianta ospite, per cause tangenti o largamente indirette. Fino ad 80 anni dopo l’infezione originaria, per essere maggiormente precisi: un tempo sufficiente affinché intere comunità pensanti sorgano e inizino la propria marcia verso il declino. A meno che qualcuno, tra simili individui selvaggi, abbia scoperto il vero senso ed significato della frase “sopravvivere sfruttando i doni della foresta”…

Esiste dunque l’opportunità di elaborare un parallelismo, vagamente inaspettato, tra il preziosissimo tartufo sotterraneo ed il chaga, che cresce di contro in bella vista per chiunque nell’intera zona circumpolare (sia Vecchio che Nuovo Mondo) benché non risulti in varie circostanze molto più facile da individuare. Un altro tipo di “oro nero” se vogliamo, il cui nome internazionale deriva dalla parola russa Чага, usata originariamente al fine di identificarlo. Con un ampio uso in quel contesto fin dall’era zarista, da parte dei contadini che ne traevano rimedi popolari per diverse afflizioni, anni prima che il fungo venisse effettivamente inserito nella farmacopea dell’URSS. Con ampie notazioni sul modo corretto di raccoglierlo in maniera sostenibile, nonché procedere alla produzione del particolare decotto, ricavato dal corpo duro dell’ammasso tagliato a fettine e successivamente immerso nell’acqua calda, progressivamente ridotta fino all’ottenimento di una sorta di tè o caffè dalla colorazione simile alle ore più cupe del tramonto e dell’alba. Ma quali sarebbero a questo punto, gli effetti benefici offerti da una simile sostanza? Fermo restando il fatto di trovarci in una di quelle zone grigie, non ancora pienamente approfondite dalla scienza, sussiste il caso che ne possano esistere almeno in linea di principio in una quantità assolutamente degna di nota. Alcuni studi condotti negli anni in Europa, negli Stati Uniti e nell’Estremo Oriente menzionano dunque in ordine sparso capacità antiossidanti, immunomodulatorie, antiproliferative e citotossiche. Senza neppure menzionare l’immancabile attribuzione ad ombrello di una non meglio specificata capacità di allontanare il cancro e il diabete. Il che tende a prefigurare nella nostra immaginazione, in altri termini, la possibilità di trovarci innanzi ad un’improbabile panacea di tutti i mali ma potrebbe anche trovare una base remota nell’alta quantità di steroli presenti all’interno del fungo, molecole simili agli steroidi ma prive di effetti collaterali comparabili, anche se assunti in quantità superiori. Benché sia largamente opportuno ricorrere sempre alla chaga con moderazione, vista la presenza al suo interno di ossalati potenzialmente in grado d’interagire in modo non del tutto chiaro con l’organismo ed eventuali medicinali assunti. Laddove alcune ricerche condotte sui roditori, hanno dimostrato nell’ultima decade la tendenza di questo ingrediente ad inibire la coagulazione del sangue.

Che un qualcosa di brutto possa essere benefico se assunto nelle giuste quantità e modalità è un rapporto di fattori ampiamente accertato dalle nostre conoscenze pregresse. Ancorché manchino del tutto particolari nozioni gastronomiche in merito all’infuso di chaga online, salvo il riferimento storico a come esso sia stato utilizzato per un certo numero di anni in Finlandia come sostituto del caffè, quando i chicchi di quest’ultimo erano diventati impossibili da procurare a causa del secondo conflitto mondiale. Il fatto che tale usanza sia andata successivamente persa, lascia intendere dunque la possibilità che tale bevanda non avesse proprio un gusto eccezionalmente gradevole al palato. Ma chi assume funghi misteriosi di un tale calibro, al giorno d’oggi, lo fa probabilmente con l’intento di accelerare la guarigione da possibili afflizioni correnti. Il che parrebbe aver generato, in base a uno studio del portale Global Newswire coinvolgente diverse aziende dell’Asia Orientale, un mercato del valore al 2022 di 912,3 milioni di dollari. Con il potenziale di crescere esponenzialmente nel giro delle prossime generazioni. A patto di trovare un modo per coltivare il chaga artificialmente, che non modifichi profondamente l’equilibrio chimico generato nelle condizioni comuni. Un’impresa non ancora iscritta nelle pagine durature della scienza. E chissà per quanti anni ancora, il metodo preferibile continuerà ad essere l’avventurosa ricerca oltre i margini della civilizzazione esterna, dolorosamente inconsapevole di quanto sta ostinatamente relegando al di fuori delle proprie cognizioni evidenti.

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