La notevole trapunta che divenne il simbolo dei diritti umani australiani

In una sala del museo di Canberra, la capitale dell’Australia, sussiste uno spazio che rimane spesso vuoto. Questo perché il manufatto che deve ospitare, delle dimensioni approssimative di un quadrato superiore ai tre metri, è quanto di più delicato e prezioso possa essere immaginato: la coperta creata da 2.815 pezzi di stoffa indipendenti, cuciti assieme oltre due secoli a questa parte, con attrezzature, materiali e tecniche che potremmo anche non definire “a regola d’arte”. Ma è forse proprio questa la ragione, tra tutte, a rendere speciale e preziosa la trapunta del Rajah, costituendo in effetti un documento significativo per la nascita di una nazione, possibilmente al pari ed ancor più della sacrale Dichiarazione d’Indipendenza del Commonwealth del 1901.
Ed alla fine tutto quello che possiamo fare è soltanto il meglio possibile, con il tempo che ci è stato concesso. Dovremmo forse accantonare i momenti difficili, come capitoli indesiderati della nostra vita? E guardare innanzi con un senso di speranza e aspettativa, restando vittime passive degli eventi? Al centro della disciplina filosofica dei Quaccheri, la congregazione religiosa del XVII secolo nota anche come Società degli Amici, c’era la convinzione di trovare Dio nelle persone, attraverso l’insegnamento a realizzare il potenziale intrinseco di cui potevano non possedere nozioni. Ed in tal senso la filantropa londinese Elizabeth Fry (1780-1845) ispiratrice tra le altre della celebre infermiera della grande guerra, Florence Nightingale, pur non essendo strettamente osservante per i termini del suo specifico gruppo d’appartenenza, spese lunghi anni a perseguire un obiettivo che molti tra i suoi contemporanei avrebbero trovato impossibile, oltre che indesiderabile o persino deleterio: dare una seconda possibilità alle persone. E nello specifico (ma non solo) le donne incarcerate per una singolare quantità di ragioni, non tutte condivisibili, all’interno di prigioni come la temuta rocca di Newgate, luogo in cui da secoli veniva perpetrata la stragrande maggioranza delle esecuzioni capitali di Londra. Fu in effetti proprio lei, tra gli altri, a diventare dopo una visita del 1813 una delle principali sostenitrici della commutazione di tale pena in quella del cosiddetto “trasporto”, consistente nell’esilio di fatto, assieme a figli in giovane età, verso la colonia ultra-remota del Continente Nuovissimo, più largamente e comunemente noto al giorno d’oggi come l’Australia. Mentre alla sua stessa campagna di convincimento e cambiamento del paradigma sociale, per la quale reclutò altre agenti di diverse fedi religiose in quella che aveva scelto di chiamare semplicemente la Società delle Donne, può essere attribuito il principio allora avveniristico di segregazione dei sessi nelle carceri, cercando guardie femminili affinché cessassero i terribilmente comuni episodi di sfruttamento sessuale al loro interno. Così la sua benevolenza ed attenzione ai dettagli ebbe modo di estendersi fino ed oltre il porto dell’imbarco suddetto, verso il quale le colpevoli (a volte d’infrazioni oggi trascurabili) venivano veicolate prima del suo intervento sopra carri aperti, che diventavano il bersaglio di ortaggi marci lanciati dalla popolazione ed altri oggetti ingiuriosi. Ma non può essere sottovalutato il tipo di risultati raggiungibili, convincendo gli uomini al vertice che si poteva limitare il disordine civile ed i rischi di ribellione delle prigioniere con un trattamento migliore. Fino al punto di insegnare abilità utili, fornendo i materiali necessari ad intraprendere una Grande Opera durante i lunghi mesi necessari a raggiungere per nave gli antipodi della Terra…

Mantenuta in altissima considerazione in tutta l’Australia, la coperta del Rajah è stata anche l’ispiratrice di numerose opere d’arte contemporanea. Come l’affascinante riquadro in patchwork raffigurante le sue creatrici Ruffles on the Rajah del 2018, di Bern Emmerichs.

Il Rajah era dunque un bastimento in partenza dal molo di Woolwich a Londra, con un carico di 180 donne e i loro bambini condannati alla pena di deportazione nella terra di Van Diemen, isola destinata ad essere ribattezzata quindici anni dopo con il termine più semplice di Tasmania. Ma non prima che nel 1856, costoro raggiungessero infine la destinazione prospettata, con a bordo un oggetto tanto raffinato ed affascinante, così notevole da mettere letteralmente alla prova l’immaginazione. La nave in questione era stata infatti visitata, poco prima della partenza, da Elizabeth Fry con le sue aiutanti, che nella maniera tanto spesso praticata in precedenza avevano portato alle detenute il materiale necessario ad impegnarsi nel cucito, incoraggiandole a produrre una coperta che sarebbe stata donata, al loro arrivo, alla moglie del governatore John Franklin, la famosa Jane, Lady Franklin promotrice dei diritti dei lavoratori e costruttrice di una recente università. Quello che nessuno sembrava aver compreso in tale fase, con la possibile esclusione della sola Betsy Fry, era che a bordo del vascello c’erano stavolta ben 15 donne la cui occupazione principale era stata fino a quel momento il cucito. Ed un’alta quantità di altre più che disposte ad imparare, nel periodo di un lungo viaggio durante il quale, d’altra parte, avrebbero avuto ben poco altro da fare. Così lavorando per lunghe ore ogni giorno, mediante una dimostrazione di notevole spirito collaborativo e chiarezza d’intenti sotto la supervisione della membra della Società delle Donne Miss Kezia Hayter, imbarcatasi anch’essa sulla nave, si applicarono nella creazione di un tipo di manufatto tessile appartenente alla categoria delle medallion quilts (“trapunte a medaglione”) con un quadrante di greche concentriche e sigilli floreali racchiudenti al centro un’elegante fantasia di uccelli in volo. L’oggetto conteneva inoltre, in un quadrante al centro, una dedica e dichiarazione che ringraziava per l’aiuto ricevuto e garantiva l’intenzione delle detenute a migliorare le proprie condizioni esistenziali, mediante l’apprendimento, l’industriosità e la coltivazione di una moralità priva di compromessi. Aspetto notevole anche la quantità di piccole macchie di sangue contenute del tessuto, presumibilmente risultanti dagli errori commessi nell’impiego di ago e filo da parte delle partecipanti al progetto che avevano una minore esperienza in materia. La coperta fu dunque presentata, all’arrivo, alla moglie del governatore ed infine giudicata tanto magnifica, così eccezionale, da esser degna di venire rispedita verso l’Inghilterra affinché la Mrs. Fry potesse vederla con i propri stessi occhi, e potenzialmente farne uso come supporto materiale alla propria opera di cambiamento ed avanzamento sociale. Fatto sta che la grande filantropa, poco tempo dopo all’età di 65 anni sarebbe morta di una malattia improvvisa, proprio quando aveva ormai ricevuto il supporto nelle sue idee di monarchi europei di considerevole rilevanza quali l’Imperatore Alessandro di Prussia, lo Zar Nichola I e la stessa Regina Vittoria, che in più occasioni aveva inviato dei contributi finanziari alle operazioni della Società delle Donne. I ben 11 figli e figlie (rapporto 5/6) tutti avuti con il banchiere Joseph Fry, avrebbero ereditato almeno in parte la responsabilità di portare avanti le sue preziose idee.

Lungamente custodita in un attico non meglio definito in Scozia per ragioni poco chiare, la trapunta venne infine restituita con notevole risonanza mediatica all’Australia nel 1989, che decise di esporla nella sua Galleria Nazionale. Ciò benché sussista, in modo specifico negli ultimi anni, una nutrita corrente di pensiero che riterrebbe opportuno spostarla presso il Museo di Tasmania, affinché possa risultare visibile proprio in quella terra di Van Diemen e presso la residenza del suo amministratore coloniale per la quale era stata, originariamente, concepita.
E per quanto riguarda la moglie del governatore in questione c’è un’altra storia che rimane degna di essere, per lo meno, menzionata. Suo marito John Franklin era infatti stato, prima di occupare tale carica, un importante esploratore artico ed egli aveva per questo deciso nel 1845, anni prima dell’arrivo della Rajah, di partire per una missione alla ricerca del leggendario Passaggio a Nord Ovest. Un’impresa dalla quale non avrebbe mai fatto ritorno, restando bloccato tra i ghiacci probabilmente al sopraggiungere del successivo autunno, con le due navi Erebus e Terror, i cui equipaggi avrebbero raggiunto un grado tale di disperazione da praticare il cannibalismo. Non che lei potesse in alcun modo saperlo, tanto da trascorrere il resto della propria vita a motivare e assecondare corpi di ricerca inviati dal governo di Londra per tentare di scoprire, quanto meno, cosa fosse successo al suo beneamato consorte. Ma l’ignoranza può essere, talvolta, una benedizione. Ed anche tale considerazione è una conseguenza dei risvolti meno controllabili, o prevedibili, del breve tempo che è stato concesso all’interno di questo incerto Universo.

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