Suiseki è il termine giapponese usato correntemente per riferirsi all’arte nobile, diffusa in una significativa parte dell’Estremo Oriente, di andare in cerca di sassi dalla forma particolare ed esporli come fossero antichi manufatti o pietre preziose. All’interno di vasi o piattaforme non dissimili da quelle usate per i bonsai, la loro qualità tenuta in più alta considerazione è normalmente quella che li rende simili a montagne in miniatura, ovvero la riproduzione micro delle proporzioni macroscopiche del nostro vasto, misterioso pianeta. Talmente fuori dagli schemi, a volte, così lontano dalle aspettative che sarebbe lecito trovare soddisfatte, da esercitare spesse volte quell’istinto particolarmente umano d’individuare schemi familiari là, dove non avrebbero alcuna ragione di sussistere alla stessa maniera. Guarda per esempio l’elegante formazione di candidi pellicani dall’apertura alare di fino a tre metri, che avendo sorvolato gli aridi deserti del Nevada, Utah, New Mexico e Arizona, ora si approcciano rapidamente al mare, discendendo il traiettorie oblique simili a splendenti corpi celesti. Ed ora si fermano, per qualche istante, galleggianti sopra l’onde a riprendere fiato: non è forse l’iconico profilo del monte Hua dai molti templi e ponti simboli del taoismo cinese, quello? Possibile che si tratti del massiccio del Seroksan, tra le più alte cime della penisola coreana? Oppure il Fuji-San, soggetto d’innumerevoli stampe del mondo fluttuante, cono vulcanico del tutto imprescindibile della storia dell’arte in Giappone? Ciascuna alta una decina di centimetri circa e di un colore arancione acceso. Così come il l’uncinato becco di 300-400 mm che la ospita, di fronte allo sguardo attento dell’uccello simbolo dei pescatori umani.
E loro prototipico avversario, tradizionalmente, se è vero che questa particolare specie originaria dell’intera parte meridionale e occidentale degli Stati Uniti, Pelecanus erythrorhynchos, fu lungamente perseguitata al pari dei propri simili in altri luoghi del mondo, nell’impressione o credenza popolare del tutto inesatta che potesse costituire un concorrente scomodo, nella sua continuativa cattura e consumazione di pesci provenienti dalle stesse imprescindibili profondità marine. Non che sarebbe stato irragionevole pensarlo, prima che l’osservazione scientifica penetrasse a pieno titolo nel senso comune, dinnanzi all’efficacia evidente con cui questi ponderosi uccelli simili a dei veri e propri pterodattili, tra i maggiori esseri volanti al mondo, cooperano nell’implementazione delle loro collaudate strategie di foraggiamento, che ne vedono svariate moltitudini collaborare in squadre di una dozzina d’individui o più, nell’immergersi e tirare fuori a turno schiere di splendenti figli di Nettuno. Pesci troppo piccoli se presi singolarmente, d’altra parte, affinché potessero avere un qualsivoglia tipo di valore intrinseco una volta esposti tra le altre merci del mercato umano…
Maestosi, eleganti divoratori di perciformi, cipriniformi, esocidi dal becco d’anatra e l’occasionale carpa o trota iridea, i pellicani bianchi americani si distinguono nel farlo dagli altri appartenenti al proprio genere, per il modo in cui non si tuffano in profondità ma piuttosto rimangono tranquillamente in superficie, nuotando ed immergendo ritmicamente il becco dalla capiente sacca golare, aperta e chiusa in alternanza così da favorire la creazione di un vuoto in grado di risucchiare le prede a turno. Senza combattere o scacciarsi vicendevolmente per il territorio, bensì mettendo a frutto le precise strategie frutto di una consapevolezza istintivamente collaudata nelle incalcolabili generazioni pregresse. Efficacia, quest’ultima, particolarmente giustificabile nei contesti costieri dei loro siti d’accoppiamento tra marzo ed aprile, quando avendo abbandonato i fiumi e laghi dell’entroterra frequentati unicamente dagli adulti, vedono emergere la sopra descritta escrescenza sopra il becco e un aumento nelle dimensioni dei cerchi arancioni attorno agli occhi scuri, per l’inizio delle operazioni necessarie alla creazione delle coppie nuziali. Dando luogo, in questo modo, a spettacolari voli circolari sopra la colonia dei maschi che si mettono in mostra, prima di tornare a terra per le necessarie danze consistenti in marce parallele, movimenti ritmici e sinuosi con il becco, inchini e oscillazione della testa. Gesti immediatamente riconosciuti ed altrettanto irresistibili per le potenziali compagne, tanto da raggiungere ben presto la formazione di coppie stabili destinate a durare almeno l’interezza della singola generazione, cui segue la costruzione del rudimentale nido semi-nascosto tra la vegetazione, sempre in posizione tale da permettere il facile atterraggio dei genitori. I quali si alterneranno per 30-47 giorni nella cova della coppia di uova, in genere nascoste sotto i piedi palmati di lui o di lei fino alla nascita di altrettanti pulcini. Che verranno nutrito con la tecnica del rigurgito per ulteriori 10-11 settimane, benché raramente riescano a sopravvivere entrambi, vista la propensione all’individuazione di un favorito o la tendenza degli stessi nuovi nati a combattersi vicendevolmente, finché uno non finisca ucciso o scacciato in modo altrettanto letale dal nido. Una propensione in realtà non rara tra gli uccelli e che denuncia almeno in quel frangente l’evidente spietatezza della natura. Problema ulteriore anche l’occasionale attacco dei predatori degli esemplari giovani, che possono includere gabbiani, gufi, corvi ed aquile di mare. Benché raramente alcunché di più piccolo di un coyote o volpe rossa osi attaccare un nido dove si trovi correntemente anche soltanto uno degli imponenti, minacciosi genitori.
Uccelli immediatamente riconoscibili e non soggetti ad immediati rischi di conservazione, principalmente a causa dell’ampiezza del loro areale, i pellicani bianchi hanno cionondimeno visto la popolazione complessiva soggetta a riduzioni nel corso delle ultime decadi. Per l’inesorabile riduzione dell’habitat naturale, ma anche il consumo di pesce contaminati da sostanze chimiche o pesticidi, che possono indurre nelle femmine una condizione che le rende incapaci di deporre con successo le loro uova.
Un danno significativo ed innegabile per l’intero ecosistema naturale, ma anche e soprattutto per gli amanti degli uccelli, che difficilmente possono dimenticare l’emozione di vedere con i propri occhi la più fedele continuazione della stirpe delle ali membranose, le terribili lucertole volanti del Cretaceo. Che forse non pescavano lo stesso tipo di… Pesci. O altre creature in silenziosa sussistenza dei mari? Ma innegabilmente possedevano, nell’imponderabile contesto coévo, lo scettro incontrastato del potere sui cieli. Ed il dominio, almeno in linea di principio, su ogni paio d’ali passato, presente e futuro.