Una strana coppia statuaria figura di fronte al tribunale di Fafe, cittadina di 50.000 abitanti nel distretto portoghese settentrionale di Braga: chiamata molto semplicemente il monumento alla Giustizia, l’opera di Eduardo Tavares potrebbe idealmente costituire un’allegoria dell’importante compito svolto dai magistrati di quelle sale. Se non raffigurasse nell’evidente realtà dei fatti un uomo con le maniche di camicia arrotolate ed una grossa clava, immobilizzato nell’atto di colpire in testa l’individuo con la bombetta che tenta vanamente di proteggersi il volto. Caso vuole, in effetti, che la scena drammatica pur volendo alludere al “popolo che si ribella quando le leggi vengono meno” si riferisca ad uno specifico episodio della storia locale, avente per protagonista il visconte Moreira de Rei, rinomato funzionario del tribunale nel corso della prima metà del XIX secolo. Fino al giorno in cui, per uno scherzo del destino, sarebbe giunto in ritardo a una sessione, incontrando fuori dall’edificio la sgarbata figura di un marchese dal nome dimenticato dalla storia, che dopo averlo preso a male parole gli lanciò contro il guanto di sfida. Da che il duello in un luogo segreto, al quale il visconte si sarebbe presentato, avendo il diritto a scegliere le armi, non con un paio di pistole o le tradizionali spade, bensì due bastoni lunghi all’incirca un metro e ottanta, al cui utilizzo il rivale non poteva ormai sottrarsi in alcuna maniera. Ebbene l’eroe della vicenda, poeticamente riportata in versi da Inocêncio Carneiro de Sá, con tale implemento deviò ogni assalto e presto gettò a terra l’avversario, percuotendolo in ogni maniera immaginabile e da un certo crudo punto vista, necessaria. La che il pubblico, battendogli le mani, esclamò con entusiasmo: ““-Oh! Viva! Viva a Justiça de Fafe!”
C’è una logica profonda, in tutto questo. E la gradita vicinanza ad un’antica tradizione dell’intero Portogallo settentrionale, riconducibile almeno all’epoca del tardo Medioevo. Quando le figure popolari dei viandanti, pastori ed altri rappresentanti dell’estrazione sociale più diffusa andarono frequentemente incontro alla necessità di proteggersi dagli animali selvatici o i briganti. Occasioni nelle quali, analogamente a quanto fatto in tanti altri luoghi del mondo, impararono a vibrare colpi o deviarli con il più comune di tutti gli oggetti: il tipico bastone da passeggio da usare sui percorsi rurali. Andando tuttavia ben oltre quanto si potesse definire, a tal fine, strettamente necessario. Fino alla creazione ed insegnamento istituzionalizzato di una serie di tecniche ad opera dei cosiddetti Maestri del Nord, un gruppo d’insegnanti un po’ professionisti, un po’ autodidatti soprattutto provenienti dalla regione di Minho, che avrebbero visto nel trascorrere dei secoli il proprio nome indissolubilmente associato a quello che sarebbe in seguito diventato il Jogo do Pau (letteralmente: gioco del palo). Tanto diffuso nell’ambito dell’autodifesa, quanto importante durante le dimostrazioni fieristiche o nel corso degli eventi regionali, grazie all’opera di schiere di giovani sempre pronti alla rissa più o meno bonaria, mediante l’utilizzo del crudele ma efficace implemento battagliero…
arti marziali
Arti ed armi della donna che ha saputo rievocare due millenni di kung fu online
Una corrente d’aria che si muove tra il bambù, in mezzo agli edifici e tra le antiche rocce ornamentali del tempio. Ma non è soltanto il vento, semplice prodotto della mescolanza delle masse d’aria provenienti dagli strati superiori dell’atmosfera. Bensì la forza naturale che spostandosi in maniera prevedibile, s’incontra e viene connotata dai diversi flussi provenienti dalle cinque direzioni ed altrettante manifestazioni degli elementi. Il legno che divide la terra. La terra che assorbe l’acqua. L’acqua che estingue il fuoco. Il fuoco che squaglia il metallo. Il metallo che taglia il legno. Almeno, ogni qual volta se ne possa presentare la necessità. Poiché una definizione classica degli strumenti più o meno affilati entro il vasto territorio dell’Impero Cinese è sempre stata quella di “arma fredda” (lěng bīngqì – 冷兵器) con diretto riferimento alla primaria sensazione tattile di quei materiali. Assieme a, possibilmente, il dominante stato d’animo di chi era solito trovarsi ad utilizzarli. Morte e distruzione, d’altra parte, non furono né rappresentano all’interno del contesto attuale l’unica finalità delle arti marziali: discipline che coltivano la mente assieme al corpo, concedendo vie d’accesso verso una migliore percezione delle cose e il mondo che le circonda. Ragion per cui corsi come quello tenuto dalla maestra (lǎoshī – 老师) Han Liang, presso l’Università del Gansu di Legge e Scienze Politiche presso Lanzhou, coinvolgono la partecipazione di nutrite schiere di studenti interessati a riconoscere, ed ereditare una remota eredità del proprio patrimonio ancestrale. Una tendenza per agevolare la quale, molto evidentemente, video come quelli qui mostrati possono costituire un potente biglietto da visita digitale. Così è recentemente esplosa, e si è trovato riprodotto presso i principali canali social e siti di quel paese, l’offerta antologia di questa praticante con decadi di esperienza alle spalle, proveniente da un distinto background familiare nel campo delle competizioni sportive e molto evidentemente supportata, in maniera addizionale, da una sincera passione per la cinematografia del combattimento e tutto quello che gli ruota intorno. Con particolare attenzione ad un aspetto spesso trascurato da coloro che osservano il kung fu, per così dire, dagli spalti situati all’altra estremità dei continenti. Ovvero l’articolata e lunga storia delle sue armi. Avevate mai visto nulla di simile? Nel video di poco di 4 minuti intitolato “Indossate le cuffie e non sbattete le palpebre” la maestra sfodera e dimostra con fulminea perizia l’ideale modalità d’impiego di ben 26 diversi tipi d’implementi, dalle spade alle lance, le alabarde, il pugnale, la frusta, il nunchaku, bastoni, ventaglio, puntali, arco e frecce… Giungendo a superare la coreografia di una delle scene più famose de “La tigre e il dragone” di Ang Lee. Ciascun rapido momento, nel montaggio sincopato, successivamente esplorabile mediante il repertorio degli altri video proposti sul suo canale praticamente sconosciuto di YouTube, o quelli con letterali centinaia di migliaia di contatti su portali equivalenti situati in Cina, tra cui Douyin (si tratta di TikTok) e il simile, ma ormai più vetusto BiliBili. Dove il catalogo delle proposte sembra esponenzialmente più vasto…
Hidari: spettacolare introduzione animata del burattino che voleva essere un samurai
Così ineffabile, imprevista, impermanente ed invisibile scintilla della vita, che discendendo dalla dimensione superna percuote la materia inanimata, s’insinua tra le crepe e sobillando gli atomi nascosti, li connota con la forza necessaria a trasformarli in altrettante piccole campane vibranti. Cellule, potremmo definirle ma di un tipo assai particolari: poiché nell’elaborazione del fantastico creato dagli umani, così pervasivo è il vasto repertorio delle nostre aspirazioni e desideri, che progressivamente generano conflitti la cui soluzione può essere una sola. E soltanto quella: un combattimento. L’incrocio del più valido ed inoppugnabile degli argomenti? Il tagliente sibilo del dialogo piegato su stesso cento volte? Oppure lo sgorgante ruscello di quel fluido arterioso (in questo caso… Segatura) così notoriamente al centro di un particolare tipo di cinematografia giapponese, il cui massimo livello fu raggiunto da un uomo chiamato Kurosawa… La storia degli spadaccini e tutti coloro che influenzarono quel mondo, in bilico tra antico e moderno, costruito in base ai crismi e metodi dei samurai.
Guerrieri ma anche poeti, studiosi e qualche volta validi artigiani, una casistica quest’ultima ben nota agli storici, benché più raramente utilizzata come fondamento per storie d’intrattenimento popolari della nostra epoca post-moderna. Lo sa bene chi conosce la figura semi-leggendaria di Itami Toshikatsu, vissuto all’inizio dell’epoca Edo (XVII secolo) come abile praticante di molti mestieri creativi, tra i quali venne associato in modo particolare al mondo dell’intaglio e la carpenteria ornamentale. Pur essendo, secondo alcune fonti e del tutto incidentalmente, anche un membro dell’antico e stimato clan degli Ashikaga, precedente dinastia al potere shogunale, ed in quanto tale assai probabilmente addestrato nella pratica e il mestiere delle armi, cui avrebbe fatto ricorso in almeno un caso, difendendo a quanto pare il segreto di una via di accesso nascosta al castello di Edo, alla cui costruzione aveva collaborato nel corso della sua lunga carriera. Ed è molto chiaramente ispirandosi ad un tale aspetto di questa eclettica figura, passata alla storia con lo pseudonimo di Hidari (左 – sinistra/o) Jingorō in quanto persona probabilmente mancina o addirittura priva del braccio destro, che il noto direttore creativo e pubblicitario dei nostri giorni Masashi Kawamura, coinvolgendo altre personalità di spicco dell’intrattenimento del suo paese ha deciso di rendergli omaggio, con il progetto per quella che potrebbe facilmente diventare una delle opere d’animazione più interessanti dell’anno 2023. Interamente realizzata con la tecnica fotografica dello stop-motion, pur traendo ispirazione diretta dall’ambito tradizionale del bunraku (文楽) o teatro dei burattini, e che attraverso questo breve film pilota (una specie di trailer dimostrativo) vediamo alle prese con un temibile nemico simile a un boss della malavita con il segno molto caratteristico di un grosso ideogramma 犬 (inu-cane) sul volto, apparentemente responsabile di averlo attirato in trappola attraverso un qualche tipo di tranello. Entrambi costruiti in legno un colpo di cesello alla volta, grazie alla perizia dei pluripremiati studi Tecarat e Dwarf così come le figure di contorno del combattimento a seguire, mediante una tecnica particolarmente grezza e distintiva, così da enfatizzare la loro natura di piccoli esseri artificiali creati appositamente per il palcoscenico, all’interno di un mondo che diventa in questo modo approssimazione immaginifica di quello reale. Così attraverso un breve dialogo secondo i precisi crismi dell’estetica di genere: (“Io avrò perso un braccio, ma tu sembri aver perso la memoria” e “Credevo fossi morto assieme al nostro maestro!”) ciò che segue per i circa 5 minuti a venire è un breve quanto memorabile esempio di poesia in movimento…
I nuovi social sono una risorsa anche per la rivisitazione del cinema wuxia cinese
In bilico sul bordo esterno di un mondo ed una società che vanno verso l’auto-annientamento, i seguaci dell’antico codice continuano a considerare i meriti di un comportamento retto e indifferente alle ingiustizie e semplificazioni: essi sono gli yóuxiá (遊俠, – eroi itineranti) che col filo della loro spada, o la testa del bastone, o ancora la semplice punta acciaiosa delle sue dita, sono soliti intervenire al fine di correggere le deviazioni dalla ragionevolezza dall’innata empatia umana. Torti ed omicidi, corruzione dei funzionari governativi, furti ai danni di chi aveva la necessità o minacce armate nei confronti dei buoni amministratori… Tutte situazioni in cui ogni cosa sembrò perduta, finché il misterioso viaggiatore non si presentò all’estremità finale del suo cammino, rivelando tutta la potenza risolutiva che deriva dall’applicazione quotidiana delle tecniche e gli addestramenti delle arti marziali. Un viaggio di scoperta fondamentalmente differente dal nostro bildungsroman, poiché ruota attorno ad un protagonista che ha già raggiunto l’apice della propria formazione, mentre si utilizza il punto di vista della gente comune per accrescere la portata della sua leggenda. Uomini e donne come appare il giovane filmmaker del Sichuan, Zhu Xian, nella sua ultima creazione ispirata al repertorio della cinematografia e narrativa più esportate dal Paese di Mezzo verso l’Occidente, mentre viaggia all’interno della cupa quanto imprescindibile ambientazione della foresta di bambù. Un luogo tipico del jianghu (江湖 – fiumi e laghi) tipico scenario vagamente fantastico impiegato come sfondo per il rilevante genere, liberamente tratto dall’ambientazione storica di un non meglio definito “Medioevo cinese”. Lontano dai centri abitati ed ogni tentennante tentativo di far rispettare la legge, così da costituire il luogo ideale per imboscate, conflitti all’ultimo sangue ed ogni sorta di altro ostacolo difficilmente aggirabile senza ricorrere all’impiego delle proprie caratteristiche variabilmente sopra l’umano. Specie quando l’aggressore in questione, il qui presente collega creativo Feng Wangyun, si presenta alleggerito dal gravoso peso gravitazionale mentre balza giù roteando come un elicottero, coperto dal cappello conico di paglia che noi ben sappiamo essere predestinato a diventare un proiettile ancor più letale di un missile cruise. Da qui l’impiego dei necessari e imprescindibili artifici, tra cui decollare agevolmente dal suolo ingombro del sottobosco, sdoppiandosi nei cloni magici che vogliono simboleggiare un qualche tipo d’imperscrutabile mossa speciale. Seguita da uno scambio di colpi tanto ineffabile e perfetto da ricordare grandi classici internazionali, come la Tigre e il Dragone (2000) o Hero (2002). Di un’epoca in cui per essere dei portavoce di questo particolare campo espressivo, serviva ancora conoscerle davvero, le arti marziali…