Il retrofuturismo visionario del centro conferenze creato sul confine acquatico della vecchia Kyoto

All’inizio del dicembre 1997 i rappresentanti di un larga parte dei paesi industrializzati al mondo (e non solo) fecero l’ingresso nella grande sala trapezoidale sotto un gigantesco disco illuminato, alludente all’astro del mattino, in cui le letterali dozzine di aste con bandiere nazionali creavano un contrasto interessante con le opere d’arte post-moderniste ed un ambiente che sembrava sollevato a pieno titolo da un film distopico sull’Era Spaziale. Al termine della presentazione concordata, in cui scienziati, climatologi e politicanti recitarono i propri pronunciamenti sullo stato preoccupante del clima terrestre, vennero introdotte le specifiche di un nuovo accordo sul contenimento delle emissioni inquinanti di diossido di carbonio ed altri cinque gas capaci di causare l’effetto serra. Ben presto, in mezzo a boschi, cervi e sopra le acque di un lago splendente quasi a ricordare cosa si stesse cercando di proteggere, la collettività avrebbe votato ed approvato il cosiddetto accordo di Kyoto. Fu l’inizio di qualcosa di grande ma anche, sotto molteplici punti di vista, il principio della fine. Poiché i numeri attribuivano una quantità maggiore di doveri a coloro che contribuivano in più larga parte al problema. Ed in molti di questi luoghi, tra cui soprattutto gli Stati Uniti, ci si dichiarò più volte incapaci di ratificare quella firma, iniziando ben presto a negare l’esistenza prettamente matematica del problema.
Ciò che tutti i partecipanti avrebbero ad ogni modo riportato in patria, da quel saliente incontro, sarebbe stato il punto di vista di tale struttura memorabile, costruita oltre tre decadi prima con il ruolo collaterale ricordare all’uomo il proprio ruolo e posizione nel vasto e continuativo sistema dei processi naturali dell’Universo. Questo l’obiettivo dichiarato dal creatore Sachio Otani e dello stesso movimento architettonico di cui egli era membro, la scuola di pensiero del Metabolismo giapponese collegata soprattutto all’opera di Kenzo Tange. Non cercate, tuttavia, nel Kyoto International Conference Center, il distintivo impiego modulare della capsula o la forma progettuale dell’arcologia ipertrofica per ottimizzare i processi e le dinamiche della vita contemporanea. Laddove un simile complesso, detentore di diversi record nazionali, si sarebbe dimostrato avveniristico piuttosto da un diverso angolo di osservazione dei suoi dominanti elementi. La capacità di coniugare l’antico e il moderno. L’assoluta impostazione visionaria di talune soluzioni strutturali, coadiuvate da un gusto estremamente personale e profetico da molti punti di vista degni di nota. Per come ci appaiono coerentemente al giorno d’oggi, attraverso la lente di un certo tipo di design fantastico e le scenografie dei film di fantascienza, in larga parte ispirate alla corrente molto più internazionale del Brutalismo. Di béton brut (cemento grezzo e privo di ornamenti) il Kyoto ICC effettivamente ne usa parecchio. Ma è nella grazia e simmetria delle sue forme fondamentali, che trova una sua strada parallela ed intrigante verso l’estetica sublime del wabi-sabi, pilastro filosofico della nazione…

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Dalla mente fervida dell’inventore, la rotante biblioteca del sapere

Mentre lettere in sequenza si palesano di propria iniziativa sulla pagina, intingo la piuma dentro il calamaio e penso a quale potrà essere la giusta conclusione del componimento. Ripercorrendo con il dito quanto scritto fino ad ora, immagino concetti, confronto le nozioni cui potrò fare riferimento in rapida e risolutiva successione. Dove ho letto quella data? Quando ho udito per l’ultima volta, nel gremito padiglione della mente, il nome dell’autore a cui ho deciso di fare riferimento? Con un gesto lungamente collaudato, alzo la seconda mano verso l’elevata piattaforma di riferimento. Spingo lievemente con le dita, dando vita al meccanismo: CLICK-CLICK-CLICK, si ode risuonare nella grande biblioteca del monastero. Mentre l’incunabolo impiegato come fonte, lentamente scende sotto l’orizzonte degli eventi. Sostituito dalle pagine di un tomo differente! Ancora un tale movimento dovrà essere portato a compimento. Il completo giro della ruota, dalla mezzanotte all’ora del tramonto successivo e poi di nuovo, immantinente. Poiché la lancetta che traduce il flusso delle gocce nel sovrano simbolo del tempo, non può essere fermata. E parimenti è valido affermare questa cosa, per l’intento umano di acquisire la Sapienza.
Le diverse et artificiose macchine. Nelle quali si contengono uarij et industriosi Mouimenti. Degni di grandissima speculazione, per cauarne beneficio infinito in ogni sorte d’operazione. Queste le espressioni usate per il lungo titolo dell’unica opera sopravvissuta del Capitano Agostino Ramelli, italiano della seconda metà del XVI secolo famoso per essersi trasferito nel 1571 alla corte del duca di Angiò, futuro Re Enrico III di Francia. Dove tra una partecipazione e l’altra alle campagne militari contro gli Ugonotti, trovò il tempo per coltivare un’immagine conforme al celebre operato dei suoi connazionali inventori del Rinascimento: applicare lo studio della matematica, alla costruzione di macchine capaci di facilitare o migliorare la vita delle persone. Principalmente pompe ed altri attrezzi per il sollevamento delle acque, come spiegato e finemente illustrato nel testo di cui sopra, ma anche dei congegni dal campo d’utilizzo maggiormente specifico e personale. Vedi la sua celebrata, e più volte imitata ruota con il fine di facilitare la lettura per coloro che soffrivano di problematiche d’infermità dovute, ad esempio, alla gotta. Per cui sarebbe stato molto pratico poter disporre di una fetta significativa dello scibile in loro possesso posizionato così da potervi accedere in qualsiasi momento. Grazie a una versione ante-litteram, in altri termini, di quello che può fare un’odierno Kindle e capiente disco rigido per collezioni videografiche o fotografie pregresse, chiamata all’epoca Roue à livres, Bookwheel o “leggio rotante”. Un po’ come un archivio, benché vivente. Nella misura in cui l’effettiva capacità di continuare a muoversi, può essere considerata equivalente all’esistenza di animali ed esseri senzienti della nostra Terra…

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A un soffio da Parigi, l’iconico complesso del carro solare in ferro e cemento

Uguali per nascita, diversi per provenienza, educazione, contesto culturale di appartenenza. L’afflusso di strati umani sovrapposti, che a partire dalla presidenza di de Gaulle negli anni ’60 iniziarono a trasferirsi dalle campagne al principale centro urbano e capitale di Francia, portò gli amministratori parigini a dover compiere dei significativi compromessi. L’investimento nella periferia ed un tentativo di risolvere la questione degli alloggi, che nel giro di alcuni anni avevano raggiunto prezzi stratosferici e condizioni igienico sanitarie per lo più latenti. Così la costruzione di un nuovo tipo di case popolari, dalle caratteristiche architettoniche qualitativamente superiori e finanziate in parte dalla vendita di una porzione di appartamenti “di lusso” avrebbe condotto, nel corso della successiva epoca Mitterand e fino al culmine del penultimo decennio del secolo, a un’emersione interpretativa del concetto utilitaristico di Brutalismo, con maestose costruzioni di cemento in cui l’estetica non era solo una diretta risultanza della pura e semplice necessità. Bensì un riferimento, talvolta colto e convoluto, ad alcuni dei valori che avrebbero potuto e dovuto elevare lo stile di vita del sostrato di disagio umano, che permeava il popolo nel regno circostante alle cadenti, caotiche periferie delle banlieue. Esperimento riuscito soltanto in parte, come potrebbero facilmente confermare gli abitanti di un luogo come il comune di Noisy-le-Grand, composto da 63.000 anime posizionate appena fuori l’anello stradale e ferroviario che costituisce l’ultimo confine dell’antistante Parigi. Da cui potrà anche non essere visibile la Tour e le altre meraviglie dell’epoca Liberty nel centro pulsante della Città delle Luci, ma permane un certo fascino frutto della visione post-moderna delle cose, in cui la scelta di una forma riesce a sottintendere pregevoli metafore connesse alle visioni universali di questioni ermetiche latenti. Vedi l’opera del catalano Ricardo Bofill ed il suo studio RBTA, che di queste villes nouvelles fece un esperimento contestuale senza precedenti, fino al bizzarro e celebre capolavoro del condominio Les Espaces d’Abraxas (vedi precedente trattazione). Ma vedi anche, a meno di un chilometro e mezzo di distanza pur senza essere dirimpettaio, l’equipollente opera del russo per nascita, ma altrettanto spagnolo di adozione, Manuel Noez Yanowsky. Che allo pseudo-teatro del collega, completo di minuscolo arco di trionfo, volle contrapporre una sua particolare cognizione di creazione utile ad attrarre sguardi, persone, il pensiero dei filosofi indotti a sostare nel giardino antistante: un’arena, da ogni punto di vista rilevante. Poggiata attorno ad una piazza ottagonale dedicata al grande Picasso, che come nelle geometrie pittoriche delle sue tele, avrebbe trovato in una forma strategicamente ripetuta il simbolo monumentale della sua esistenza: due ruote tondeggianti dal diametro di 50 metri ciascuna, dichiaratamente ispirate all’immagine concettuale di una biga rovesciata. Ma anche il sorgere dell’astro diurno e della luna contrapposta, sebbene i più prosaici abitanti avrebbero finito per chiamarlo con un soprannome maggiormente prosaico ed al tempo stesso descrittivo: [le confezioni tondeggianti de] il formaggio camembert

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Sotto alberi monumentali di cemento, inaugurata la nuovissima città dei treni a Chongqing

Entusiastici cronisti occidentali, per lo più europei, percorrono l’abnorme cattedrale il cui cielo artificiale è situato a 41 metri d’altezza. Bianche le pareti e lucido il marmoreo pavimento, in grado di riflettere la luce che s’insinua dagli 8 colossali lucernari con la forma di una mandorla, disposti in parallelo sul grande tetto tubolare in acciaio. Appassionato il loro sguardo, entusiastico l’eloquio, sincero l’interesse nel rivolgere le domande di rito all’ingegnere, il tecnico, il capostazione. Rappresentanti di quella nuova Cina, dove il potente firewall che tiene attentamente suddivise le informazioni esterne da nozioni relative allo stile di vita di locale, sceglie di essere orgogliosa sulla scena internazionale in merito a determinati traguardi, particolari vette tecnologiche raggiunte nei più popolosi (e non solo) centri urbani di quel vasto paese. Luoghi come Chongqing, città di secondo livello ormai prossima al primo in base alla classificazione amministrativa del governo centrale, per la sua capacità di competere in termini di PIL con luoghi come Pechino, Shanghai, Guangzhou. Risultato conseguito, in larga parte, anche grazie al turismo fiorente nell’intera regione, attratto dalla particolare configurazione “a strati” del centro urbano in questione, così da sfruttare al massimo i recessi montagnosi del suo distintivo territorio di appartenenza. Una topografia caratteristica che tende a incoraggiare per l’intera prefettura l’utilizzo di un sistema di trasporto pubblico eccellente, inclusivo di avveniristici treni ad alta velocità, metropolitana e schiere di veicoli stradali più o meno autonomi nel proprio modo di spostarsi tra le strade gremite. Una configurazione integrata che fin dagli albori dell’epoca moderna, ha trovato i suoi tre punti di snodo principali in altrettante stazioni da decine di migliaia di passeggeri al giorno, denominate con i nomi dei punti cardinali: Nord, Ovest ed Est. Finché nel 2021 non giunse il bollettino atteso: il piano di rinnovamento di quest’ultima era stato finalmente approvato, mentre nei mesi successivi il traffico sarebbe stato gradualmente dirottato altrove. La Chongqing East Station andava incontro ad un capitolo di totale ricostruzione e dispendioso rinnovamento.
Con un investimento di poco superiore a sette miliardi di yuan, equivalenti ad un miliardo di dollari, la ben collaudata macchina delle infrastrutture della Repubblica Popolare si era ormai già messa in moto. E nessuno avrebbe potuto facilmente anticipare l’effettiva portata, fuori dal contesto, di questa sua ultima realizzazione. Con 15 piattaforme, 29 linee, 1.220.000 metri quadri d’estensione (pari a 170 campi da calcio) ed una portata massima di 16.000 passeggeri l’ora, la struttura simile a un palazzo viene definita nei materiali di presentazione ufficiali come la più vasta del suo genere nell’intera Cina occidentale. Ma è palese che niente di esistente nell’attuale mondo possa effettivamente competere, in termini d’imponenza, con simili proporzioni spropositate…

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