Sotto alberi monumentali di cemento, inaugurata la nuovissima città dei treni a Chongqing

Entusiastici cronisti occidentali, per lo più europei, percorrono l’abnorme cattedrale il cui cielo artificiale è situato a 41 metri d’altezza. Bianche le pareti e lucido il marmoreo pavimento, in grado di riflettere la luce che s’insinua dagli 8 colossali lucernari con la forma di una mandorla, disposti in parallelo sul grande tetto tubolare in acciaio. Appassionato il loro sguardo, entusiastico l’eloquio, sincero l’interesse nel rivolgere le domande di rito all’ingegnere, il tecnico, il capostazione. Rappresentanti di quella nuova Cina, dove il potente firewall che tiene attentamente suddivise le informazioni esterne da nozioni relative allo stile di vita di locale, sceglie di essere orgogliosa sulla scena internazionale in merito a determinati traguardi, particolari vette tecnologiche raggiunte nei più popolosi (e non solo) centri urbani di quel vasto paese. Luoghi come Chongqing, città di secondo livello ormai prossima al primo in base alla classificazione amministrativa del governo centrale, per la sua capacità di competere in termini di PIL con luoghi come Pechino, Shanghai, Guangzhou. Risultato conseguito, in larga parte, anche grazie al turismo fiorente nell’intera regione, attratto dalla particolare configurazione “a strati” del centro urbano in questione, così da sfruttare al massimo i recessi montagnosi del suo distintivo territorio di appartenenza. Una topografia caratteristica che tende a incoraggiare per l’intera prefettura l’utilizzo di un sistema di trasporto pubblico eccellente, inclusivo di avveniristici treni ad alta velocità, metropolitana e schiere di veicoli stradali più o meno autonomi nel proprio modo di spostarsi tra le strade gremite. Una configurazione integrata che fin dagli albori dell’epoca moderna, ha trovato i suoi tre punti di snodo principali in altrettante stazioni da decine di migliaia di passeggeri al giorno, denominate con i nomi dei punti cardinali: Nord, Ovest ed Est. Finché nel 2021 non giunse il bollettino atteso: il piano di rinnovamento di quest’ultima era stato finalmente approvato, mentre nei mesi successivi il traffico sarebbe stato gradualmente dirottato altrove. La Chongqing East Station andava incontro ad un capitolo di totale ricostruzione e dispendioso rinnovamento.
Con un investimento di poco superiore a sette miliardi di yuan, equivalenti ad un miliardo di dollari, la ben collaudata macchina delle infrastrutture della Repubblica Popolare si era ormai già messa in moto. E nessuno avrebbe potuto facilmente anticipare l’effettiva portata, fuori dal contesto, di questa sua ultima realizzazione. Con 15 piattaforme, 29 linee, 1.220.000 metri quadri d’estensione (pari a 170 campi da calcio) ed una portata massima di 16.000 passeggeri l’ora, la struttura simile a un palazzo viene definita nei materiali di presentazione ufficiali come la più vasta del suo genere nell’intera Cina occidentale. Ma è palese che niente di esistente nell’attuale mondo possa effettivamente competere, in termini d’imponenza, con simili proporzioni spropositate…

Costrutto creato dall’opera di fino a 12.000 operai nelle fasi di picco sulla base di uno specifico contesto, centrale eppure periferico al tempo stesso all’interno del quartiere di Nan’an, in cui lo spazio a disposizione risultava sufficiente proprio grazie alle stringenti politiche del piano regolatore fatto rispettare per generazioni, la CES costituisce una sincera dimostrazione della visione auspicabile secondo cui un’infrastruttura pubblica è il massimo lusso concesso al popolo. Ed in tal senso, dovrebbe essere magnifico da ogni punto di vista estetico e composizione situazionale dei suoi singoli elementi, incluso lo spazio pseudo-museale con dipinti nello stile tradizionale, incorporati su pareti e pilastri, treni e locomotive offerti allo sguardo del pubblico e persino una svettante fenice di colore rosso, sospesa nello spazio ascendibile mediante multiple scale mobili ed ascensori. In un tutto la cui elaborazione e messa in opera risulta supervisionata, piuttosto che da un singolo architetto di fama internazionale come sarebbe potuto avvenire in Medio Oriente, da un consorzio collegiale di menti insigni, dal lungo curriculum pregresso in termini di opere costruite entro i confini dell’Antico Regno di Mezzo. E sebbene sia citato come supervisore la figura di Mao Xiaobing, coadiuvato dal collega più giovane Wang Kai, entrambi sembrano più che altro presentarsi nelle interviste come dei portavoce di un consorzio di figure abituate alla collaborazione ad ampio spettro, così come vorrebbe lo stereotipo, per una volta corretto, della divisione dei compiti all’interno della più antica civiltà dell’Asia Orientale. E il risultato con le proprie forme organiche, capaci di evocare al tempo stesso i distanti profili delle catene montuose e il sinuoso flusso dei fiumi limitrofi, parrebbe dimostrare a pieno titolo i meriti inerenti di tale approccio. Completa l’offerta logistica, in modo inevitabile nel mondo contemporaneo, un completo centro commerciale situato in piani verticalmente disposti, che s’interseca e prepara i nuovi arrivati alla particolare configurazione sovrapposta della città di Chongqing, fino all’antistante promenade con parchi e giardini che accoglie coloro che dovessero scegliere di camminare fuori dai colossali portoni della città ricorsiva in vetro, cemento e metallo. L’effetto complessivo di trovarsi all’interno del terminal di un aeroporto, per sua natura isolato dal cuore pulsante cittadino, viene in questo modo mitigato dal punto di vista concettuale se non quello pratico delle distanze da percorrere fino al punto d’imbarco desiderato. Un’ostacolo almeno parzialmente mitigato, per quanto ci è dato comprendere, dall’uso di passerelle semoventi ed un sistema di navigazione informatizzato, concepito per funzionare mediante l’utilizzo degli ormai onnipresenti smartphone per distanze massime di 200 metri fino alla banchina dei taxi, previo investimento di appena 5 minuti dal punto di arrivo ferroviario.

A partire dalla sua parte orientale, di una disposizione cruciforme che il marketing descrive come “simbolo della vita” la CES vede sbucare l’inizio della linea ferroviaria ultrarapida verso destinazioni raggiungibili a una velocità media superiore ai 300 Km/h. Con tempi di percorrenza pari ad un’ora per Chengdu o Guiyang, 3 ore per Kunming, Changsha, Wuhan e 6 ore per mettere piede sul suolo distante di Hong Kong. Abbastanza da accorciare ulteriormente le distanze di uno dei paesi più estesi e territorialmente complicati al mondo. Il vero punto nodale dell’intera questione forse, pari alle migliori ma molto più brevi linee ultraveloci dell’Europa dei nostri giorni, superando di gran lunga la perizia infrastrutturale degli Stati Uniti, dove per una lunga serie di fattori socio-culturali il trasporto su gomme regna ancora incontrastato sugli spostamenti di merci e l’ideale pratico della popolazione. Ed è forse proprio in questa particolare angolazione o spunto d’analisi, che trova il carburante l’evidente orgoglio nazionale nel mostrare l’incomparabile eminenza di questo monolitico edificio situazionale.
La cui necessità d’esistere, parzialmente motivata da una densità demografica transiente, costituisce già un merito percepito nel momento situazionale che stiamo vivendo. Finché l’arcobaleno discendente del picco delle nascite sopra ogni prospero paese odierno non porti all’inevitabile situazione di spopolamento che incombe sulla Cina, come innumerevoli altri paesi al mondo. Tendenza i cui effetti potremo, forse, cominciare ad intuire già entro la fine del prossimo decennio.

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