Dalla mente fervida dell’inventore, la rotante biblioteca del sapere

Mentre lettere in sequenza si palesano di propria iniziativa sulla pagina, intingo la piuma dentro il calamaio e penso a quale potrà essere la giusta conclusione del componimento. Ripercorrendo con il dito quanto scritto fino ad ora, immagino concetti, confronto le nozioni cui potrò fare riferimento in rapida e risolutiva successione. Dove ho letto quella data? Quando ho udito per l’ultima volta, nel gremito padiglione della mente, il nome dell’autore a cui ho deciso di fare riferimento? Con un gesto lungamente collaudato, alzo la seconda mano verso l’elevata piattaforma di riferimento. Spingo lievemente con le dita, dando vita al meccanismo: CLICK-CLICK-CLICK, si ode risuonare nella grande biblioteca del monastero. Mentre l’incunabolo impiegato come fonte, lentamente scende sotto l’orizzonte degli eventi. Sostituito dalle pagine di un tomo differente! Ancora un tale movimento dovrà essere portato a compimento. Il completo giro della ruota, dalla mezzanotte all’ora del tramonto successivo e poi di nuovo, immantinente. Poiché la lancetta che traduce il flusso delle gocce nel sovrano simbolo del tempo, non può essere fermata. E parimenti è valido affermare questa cosa, per l’intento umano di acquisire la Sapienza.
Le diverse et artificiose macchine. Nelle quali si contengono uarij et industriosi Mouimenti. Degni di grandissima speculazione, per cauarne beneficio infinito in ogni sorte d’operazione. Queste le espressioni usate per il lungo titolo dell’unica opera sopravvissuta del Capitano Agostino Ramelli, italiano della seconda metà del XVI secolo famoso per essersi trasferito nel 1571 alla corte del duca di Angiò, futuro Re Enrico III di Francia. Dove tra una partecipazione e l’altra alle campagne militari contro gli Ugonotti, trovò il tempo per coltivare un’immagine conforme al celebre operato dei suoi connazionali inventori del Rinascimento: applicare lo studio della matematica, alla costruzione di macchine capaci di facilitare o migliorare la vita delle persone. Principalmente pompe ed altri attrezzi per il sollevamento delle acque, come spiegato e finemente illustrato nel testo di cui sopra, ma anche dei congegni dal campo d’utilizzo maggiormente specifico e personale. Vedi la sua celebrata, e più volte imitata ruota con il fine di facilitare la lettura per coloro che soffrivano di problematiche d’infermità dovute, ad esempio, alla gotta. Per cui sarebbe stato molto pratico poter disporre di una fetta significativa dello scibile in loro possesso posizionato così da potervi accedere in qualsiasi momento. Grazie a una versione ante-litteram, in altri termini, di quello che può fare un’odierno Kindle e capiente disco rigido per collezioni videografiche o fotografie pregresse, chiamata all’epoca Roue à livres, Bookwheel o “leggio rotante”. Un po’ come un archivio, benché vivente. Nella misura in cui l’effettiva capacità di continuare a muoversi, può essere considerata equivalente all’esistenza di animali ed esseri senzienti della nostra Terra…

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Parole scritte appese agli scaffali nell’arioso bastimento della conoscenza messicana

Quando si considera la grandiosità di un ambiente urbano, i suoi meriti esteriori e l’accoglienza delle istituzioni nei confronti della gente che vi abita all’interno, pochi maestosi palazzi possono acquisire un’importanza maggiormente significativa della biblioteca pubblica. Un luogo per l’accumulo di conoscenza che è inerentemente aperto e visitabile da chiunque, previo il rispetto di una ragionevole serie di regole e la capacità di attribuire meriti alle pagine che in essa vengono custodite. Questa l’idea, il legittimo principio. Eppure quanti, nelle generazioni successive all’anno 2000, possono dire di aver messo piede all’interno di tali edifici? In un’epoca in cui tutto è digitalizzato, inclusa la parola scritta, ed ogni forma di comunicazione, inclusa la parola scritta, può venire veicolata nel possente fiume delle informazioni, non può che essere portato in secondo piano il valore di simili mura tende ad essere spostato in un secondo, terzo e quarto piano nel piano regolatore di molti centri abitati contemporanei. Ma non la colossale CDMX, città capitale del Messico indiviso, dove a partire dall’inizio degli anni 2000 iniziò a circolare una parola composita dal ricco bagaglio di sottintesi, la… Megabiblioteca. Un progetto per il quale ingenti risorse sarebbero state stanziate, molti esperti chiamati dall’estero, ed il presidente in carica Vicente Fox avrebbe acquisito sempiterna memoria nel cuore e la memoria del suo popolo capace di apprezzare grandi opere costruite nella scala di un antico monumento. Questa, almeno, era l’idea. E non ci sono dubbi che a distanza di quasi vent’anni dalla sua inaugurazione, avvenuta finalmente nel 2006, l’edificio dedicato al filosofo e letterato della Rivoluzione, José Vasconcelos, costituisca una delle attrazioni maggiormente distintive dei dintorni ed un letterale polo turistico per molti, in aggiunta alla propria funzione dichiarata che assolve con stolida efficienza, nonostante l’implicito disinteresse coévo. Un traguardo per cui merita riconoscenza l’architetto messicano e celebre urbanista Alberto Kalach, campione dello stile contemporaneo che in questo suo capolavoro ha concentrato molti dei temi caratteristici della sua produzione: sostenibilità, integrazione con la natura, adattamento dei canoni al contesto specifico e quella che potremmo definire come l’ineffabile capacità di catturare un’estetica eccezionalmente futuribile. Nel presentarsi, una volta che si scelga di esplorare lo stretto edificio di 38.000 metri quadri il cui esterno è stato paragonato ad un parcheggio, piuttosto che un poco ispirato centro commerciale, come un incredibile reame sospeso tra terra e cielo, in cui la luce inonda una struttura metallica fatta di lucide travi e camminamenti semi-trasparenti color verde acqua a sbalzo. Ove chi cercasse un libro in particolare è incoraggiato a camminare, dominando le vertigini, fino all’altezza corrispondente ad un edificio di cinque piani. Un’esperienza precaria della quale, senz’altro, taluni apprezzerebbero poter fare a meno. Eppure…

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Istanbul inaugura una spettacolare biblioteca nei locali dell’antica “città” militare

Collegiale tende ad essere, nella sua accezione di maggiore influenza, il mondo tradizionalista della cultura. Questo perché i libri, molto prima di poter essere completamente digitalizzati, hanno sempre costituito un tipo d’oggetto dall’ingombro e peso niente affatto indifferenti, richiedendo grande spazio nelle case, nei luoghi di studio e le istituzioni culturali di ogni parte del mondo. Forse anche per questo, nel novero possibile degli edifici cittadini, non è mai mancata una struttura concepita con lo scopo di ospitarli, custodirli e renderli accessibili, a tutti coloro che non potevano disporre dello spazio, o le risorse pecuniarie, per poter riuscire ad ospitarne numeri degni di nota all’interno della propria dimora. Queste vere e proprie case della cultura, conseguentemente, hanno assunto nel trascorrere dei secoli grandezze o guise di variabile natura, benché sia costante l’essenziale cognizione che in tale particolare ambiente “grande” sia generalmente “migliore”, così come un’effettiva teca contenente le memorie insostanziali del mondo informatico guadagni rilevanza in base alla sua inerente capienza. Così non è facile stimare il numero di giga, peta o yottabyte, idealmente contenuti nell’ultimo esempio di un grandissimo edificio, dedicato a tal fine nel quartiere settentrionale della capitale della Turchia, concentrato in un’area coperta di 36.000 metri quadri + ulteriori 51.000 all’aperto. Essi stessi custoditi tra le stesse mura di una così imponente struttura. Questo perché la nuovissima Rami Kütüphanesi, inaugurata soltanto l’altro giorno alla presenza del presidente del paese dopo un anno e mezzo di lavoro di restauri, costituisce l’effettiva evoluzione di un tipo diffuso di struttura militare, che potremmo individuare come un rettangolare campo di Marte dotato di una vasta piazza d’armi nel suo cortile interno, oggi trasformato in un attraente parco con tanto di laghetto e piacevoli viali alberati, oltre a spazi per la lettura e dialogo tra i visitatori. Benché vista e considerata la sua storia pregressa di oltre due secoli e mezzo, sarebbe stato più corretto paragonarla ai tempi della sua costruzione ad una sorta di Pentagono o centro amministrativo delle forze armate ottomane, particolarmente a partire da quando, durante il regno del sultano Mustafa III (1757-1774) costui ne prese in amministrazione i terreni su suggerimento gran visir Mehmed Pasha, scegliendo di trasformare la fattoria pre-esistente in effettivo quartier generale e scuola d’addestramento per lo stimato corpo dei giannizzeri, spina dorsale dell’esercito imperiale. Aprendo il capitolo, pochi anni dopo, del sanguinoso conflitto della prima guerra russo-turca di sei anni, destinata a terminare nel 1774 con la perdita di Crimea, Romania e Bulgaria. Una brusca occasione di risveglio, per la classe dirigente della sublime Porta del Bosforo, ai limiti inerenti delle proprie forze armate, prive delle più moderne risorse e metodologie degli altri grandi imperi europei. Aprendo in questo modo l’opportunità, proprio tra simili mura, di cercare nuovi e significativi margini di miglioramento…

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Perché in Portogallo danno non arreca, quando incontri un pipistrello in biblioteca

L’ultimo discendente della famiglia Tepes volse attorno il proprio sguardo, mentre ascoltava il battito insistente della Morte, che tentava di distrarre i propri vasti padiglioni auricolari dal captare l’eco notturno delle pareti. “Impossibile restare indifferenti, di fronte a quello che ci ha i lasciato.” Squittì sommessamente allora, scrutando gli occhi del dipinto ad olio colossale, incorniciato nella nicchia dorata, che raffigurava il sovrano Giovanni V soprannominato “il Magnanimo” o in tempi più recenti, più correttamente in senso storiografico, “il Re Sole Portoghese”. File sovrapposte, sopra file ed altre balconate, di pesanti testi rilegati in pelle, incunaboli preziosi, altri cartacei tesori ancor più antichi del diffondersi della macchina a vapore. Ma ovviamente, davvero inutile sottolinearlo, non più vecchi di lui. “Quattrocento anni, amico mio. Capisci quello che significa? Quattro secoli passati nella forma piccola e pelosa di un membro del popolo notturno. Colui che può, e che deve, limitarsi ai più elementari tra i piaceri dell’esistenza: mangiare, dormire a testa in giù tra gli scaffali polverosi, qualche volta fingere di aver trovato l’anima gemella. Questo il prezzo da pagare, per chi ha stretto un patto con le forze dell’Altissimo, per rinunciare eternamente al fluido ringiovanente del vermiglio sangue umano.” Le appuntite zanne che grondavano saliva, mentre il suo naso troppo sensibile si arricciava per l’odore acre del guano. “Siano dannati tutti i coleotteri-orologio!” Esclamò il pipistrello all’indirizzo del ritratto, suscitando il sobbalzare dei suoi simili e vicini, tristemente privi della sacra scintilla della sapienza. Pensando: oh, inquietante mangiatore della cellulosa! E produttore a sei zampe di quel suono ritmico e insistente, tic-tac, tic-tac, in realtà prodotto dal tuo battere del cranio chitinoso contro le opere murarie della biblioteca. Tu non sai CHI ancora, nonostante tutto, domina la notte. Tu non PUOI capire, quanto offendi la mia oscura eminenza, continuando a masticare il corpus vulnerabile della più ricca eredità dei vampiri ormai da tempo giunti a vivere nella penisola d’Iberia. Ed ora che l’odiato astro è tramontato, giunge l’ora dell’empio e più terribile banchetto dei non-morti (ed alleati). “Sollevatevi, miei prodi dei 250.000 libri sotto assedio!” È giunto il momento del terrore, della fine, e della verità.
È un mondo creato e connotato sulla base di un preciso disegno, il nostro, in cui gli umani costruiscono e producono quello che serve per riuscire a garantire un qualche tipo di continuità, per quanto possibile, mirante a collegare il quotidiano con l’Infinito. Eppure non sussiste dubbio alcuno, per i maggiormente fortunati, che in un giorno non troppo lontano solamente esseri più piccoli dei 5-10 cm, potranno dire con certezza di essere i dominatori incontrastati del pianeta Terra. Insetti come quelli che soggiornano da secoli pasciuti, tra i recessi del più singolare e celebrato tempio librario del paese più a occidente dell’intero continente eurasiatico, la splendente biblioteca dell’Università di Coimbra, nella regione Centrale del Portogallo. Un maestoso capolavoro di modanature in stile barocco, colonne in legno di teak finemente ornate, affreschi sul soffitto che alludo alla Cappella Sistina e mobilio volutamente simile a quello di manifattura cinese. Tre vaste sale, come pianeti di un vetusto sistema, ciascuna popolata dalla stessa insistente, minuta moltitudine tutt’altro che apparente. Invasori giunti dal pianeta degli insetti bibliofili, che non conoscono o non vogliono capire in alcun modo il salvifico concetto della sazietà. Di fronte ad una soluzione che potremmo definire stranamente funzionale, nella propria chiara distinzione dell’appropriatezza dei presupposti comuni…

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