Il battito cardiaco della cipolla che trasforma le onde in energia di mare

C’è un solo modo per risolvere i problemi della Terra ed è l’avanzamento tecnologico: creare, migliorare, inventare cose in grado di aumentare l’efficienza dei processi. O eliminare un certo tipo di paradigma, come quello che comporta l’estrazione e conseguente combustione intenzionale di enormi quantità di carburante fossile. Che oltre a generare indesiderabile anidride carbonica, presenta la questione niente affatto trascurabile di essere una risorsa in quantità finita. Ovvero prossima all’esaurimento, se prendiamo in considerazione soltanto quei giacimenti già largamente noti e commercialmente utilizzabili con profitto; aspetto, quest’ultimo, niente meno che indispensabile all’interno di una società capitalista e basata sui crismi del mercato globale. Ma il mondo di per se non ragiona né funziona in tale modo, anche ammettendo che una mente immutabile governi processi come il flusso dei venti, la danza dei corpi cosmici ed il ritorno delle maree. Tutti processi, nella fattispecie, utilizzabili come fonti d’energia sostitutiva, a patto di trovare un modo che possa definirsi, a pieno titolo, perfettamente realizzato. E nel suo specifico contesto d’utilizzo, ben pochi potrebbero negare che il CorPower C4, primo esemplare di livello commerciale del generatore prodotto dall’omonima compagnia svedese, abbia messo le proprie aspirazioni in un contesto produttivo. Quello immaginato per la prima volta, in modo per lo più collaterale nel 2011 dal cardiologo Stig Lundbäck, già autore nel 1986 di uno studio scientifico mirato a definire il cuore umano come una pompa dinamica adattiva (DAPP). Dal che, l’idea: se le linee di approvvigionamento elettrico di un moderno centro urbano corrispondono al suo sistema di vene ad arterie, perché non immaginare per agevolarne il funzionamento una forma di approvvigionamento elettrico simile al muscolo più importante situato all’interno del torace umano? Un organo situato, con la consueta decentralizzazione dei moderni processi ingegneristici, non all’interno del corpo in questione bensì oltre il bordo della costa, là dove l’impeto selvaggio del pianeta è solito creare un ciclo ininterrotto di spostamenti. La massa ricorsiva del moto ondoso, che impatta ad ogni singolo minuto contro le sabbiose sponde. Ivi piazzare idealmente un qualche tipo di trasformatore, incaricato di ricevere ed incanalare il potenziale frutto di un potente movimento, sopra e sotto, sopra e sotto all’infinito. Di quel bulbo quasi vegetale, vagamente paraboloide, concepito per massimizzarne l’implacabile compimento di quel solerte gesto…

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Dalla Svezia un’efficace alternativa ai sacchetti sabbia per le alluvioni

Rosso, solido, di plastica, con una riconoscibile struttura angolare. Dotato dell’aspetto pratico di uno strumento conveniente nel quotidiano, come una graffetta, una puntina, una vite per l’intonaco dei muri. Che un individuo in tuta da lavoro pone sul sentiero dell’incombente, imprescindibile devastazione. Andando incontro ad un palese margine di miglioramento.
“L’acqua non può essere fermata” L’avevate mai sentito dire? È uno degli assiomi più frequentemente ripetuti negli ambienti della protezione civile, come presa di coscienza di una delle caratteristiche basilari del secondo elemento più abbondante del pianeta Terra, sempre e in ogni circostanza incline ad essere animato dal potente desiderio di procedere verso il basso. Per cui la sua unica sconfitta a lungo termine può essere individuata nel processo naturale di evaporazione, che richiede spazi idonei per l’accumulo, ed un tempo abbastanza lungo perché il l’astro diurno compia il suo miracolo quotidiano. Ma che dire in tutte quelle situazioni d’incombente disordine o naufragio metaforico, dovute all’occorrenza di una pioggia significativa, possibilmente accompagnata dalla tracimazione dei corsi o bacini idrici pre-esistenti? Quando la propagazione dei torrenti si trasforma, in un risvolto totalmente prevedibile ma non meno tragico per questo, nell’azione invadente degli spazi normalmente occupati dall’uomo e i suoi tesori, i suoi santuari, le sue abitazioni di pregio… Con l’unica possibilità rimasta di “sviare” il grande impulso verso luoghi alternativi, ovvero mettere al servizio collettivo l’essenziale assenza di un intento nel verificarsi dei disastri. Offrendo, per quanto possibile, un sentiero di minore resistenza attraverso la collocazione di barriere temporanee d’incanalamento. Granuli all’interno di contenitori globulari, normalmente, ovvero quegli ammassi di sabbia e stoffa che un tempo erano associati alla necessità di arrestare l’energia cinetica dei proiettili sparati dallo schieramento nemico. Ma i sacchetti non sono leggeri, né maneggevoli, né semplici da stoccare o trasportare presso il luogo del bisogno. Ecco l’idea alla base del sistema Boxwall della NOAQ Flood Protection AB di Näsviken, con sede presso i laghi di Dellen a nord di Stoccolma. Una compagnia che ha fatto della plastica la propria arma, e dello stampaggio di angolari forme geometriche un percorso privilegiato verso la risoluzione di uno dei maggiori problemi dell’umanità in pianura…

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Benvenuti al tribunale con un condominio cubista nel suo cortile

Ecco il prototipo di un edificio controverso: nel 2016, interrogati su quali fossero le mura più antiestetiche della loro provincia, gli abitanti di Ångermanland stilarono una lista con al primo posto la colorata, bizzarra, distintiva opera del rinomato architetto Gert Wingårdh. Il mese successivo, su quella rivista, il Ting1 dal nome assonante avrebbe figurato invece come il secondo palazzo più amato di Örnsköldsvik. Facile comprenderne la ragione, giusto? Quanto spesso capita d’intravedere all’orizzonte la perfetta commistione di un pomeriggio trascorso a giocare con i lego, l’estetica della scuola Bauhaus mescolata con la Pop Art post-moderna, il tutto avvolto in un vago sentore di cubismo. Sia nel senso di Picasso che dei voxel digitalizzati del videogame Minecraft, una risposta basilare all’esigenza di dare una forma alle proprie idee. Ma non c’è davvero nulla di spontaneo, semplice, naïf nell’espressione qui presente dell’ingegno svedese, applicato alla necessità di dare forma ad uno spazio abitativo là dove non ti saresti mai aspettato, in condizioni normali, d’individuarne l’esempio. Almeno finché l’amministrazione cittadina, prendendo atto degli spazi poco utilizzati del suo vecchio tingshus il tribunale distrettuale distaccato dal municipio, non pensò nel 2010 di cedere alla proposta dietro lauto compenso dell’imprenditore edile Nicklas Nyberg, che oltre ad essere un visionario può essere anche messo tra i maggiori appassionati nonché collezionisti di un prezioso autore della storia dell’arte. Probabilmente conoscerete l’autore Bengt Lindström, di numerose sculture, quadri monumentali ed altre creazioni dedicate alla sua particolare interpretazione dell’arte astratta, tanto variopinta quanto imprevedibile e non sempre facile da decifrare.
Magari riuscirete addirittura a scorgerne l’influenza, nell’aspetto straordinariamente distintivo di questo notevole Ting1. Ovvero “la Cosa” ma anche un gioco di parole che può essere tradotto come “Trib-1-ale” con riferimento alle precise mura brutaliste che parrebbero costituire a tutti gli effetto il suo straniante basamento, fino al terzo dei 13 piani dell’edificio. Un’illusione del tutto fittizia nella realtà dei fatti, quando si apprende l’effettiva collocazione del suo variopinto cappello: una struttura a sbalzo che sporge da un pilastro centrale, incastrato direttamente nella dura roccia situata nel cortile interno del tribunale, con ingresso separato e nessun tipo di collegamento tra le due strutture. Su richiesta specifica del governo, ancora interessato a utilizzare la tingshus come archivio. Ma è proprio questo uno degli aspetti di maggiore interesse, alla fine…

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Ecce diabolus: l’effige del maligno sul maggiore manoscritto del Medioevo

Era imprigionato da svariate, terribili ore, quando il monaco benedettino Herman vide comparire senza preavviso l’astro luminoso del mattino. In quel momento, posò la penna con il calamaio, mentre le lacrime iniziavano a oscurargli la vista. Poiché lui sapeva molto bene che, senza più alcuna possibilità di appello, era perduto. Poi cominciò, timidamente, a porsi una domanda: com’era possibile che il Sole sorgesse, negli umidi sotterranei del convento di Podlažice in Boemia, tra le quattro mura impenetrabili costruite dai sui confratelli, nell’anno di nostro Signore 1159? Un modo… Terribile per morire di sete e di stenti. Una punizione a suo modo meritata, per il semplice fatto di aver voluto provare, almeno una volta, a vivere la sua vita. E la soluzione Salomonica, a suo modo, scelta dalla massima autorità del suo mondo, per poter fare a meno dell’evoluzione: “Povero fratello, Egli abbia misericordia della tua anima. Se riuscirai a compilare entro domani un codice capace di contenere ogni nozione nota agli uomini dai tempi del giardino dell’Eden, sarai di nuovo ammesso alla tavola del convento. Nel frattempo pentiti, e concentrati su ciò che ti ha permesso di fare del bene. Almeno finché il grande corruttore non è giunto per deviare crudelmente il corso delle tue priorità.” Impossibile. Non necessariamente un traguardo scelto con intento beffardo o crudele, tuttavia, bensì un possibile atto di misericordia concepito per distrarlo fino all’ora del suo trapasso. Che ora, sembrava essere giunta… Con svariate ore d’anticipo? Il topo che lo fissava dall’angolo dell’angusta cella ora drammaticamente illuminata, in quel momento, aprì la bocca e sollevò la coda: “BENVENUTO, PECCATORE, NELL’ORA IN CUI LA LUNA SMETTE DI RIFLETTERE LA LUCE DELL’ASTRO DIURNO.” Herman credette per qualche secondo di stare sentendo la voce dell’Altissimo, poi comprese con un trauma cosa stesse accadendo. “LUCIFERO IN PERSONA, ASTRO DEL MATTINO, HA UN’OPPORTUNITÀ DI OFFRIRTI!” In quel preciso momento e poco prima che la sua condanna fosse suggellata innanzi a Dio ed agli uomini, egli decise che l’avrebbe ascoltato. Cos’altro Diavolo avrebbe potuto fare?
Vige la regola nel nostro mondo e molti altri che possiamo immaginare, secondo cui arricchire la propria cultura costituisca fondamentalmente una questione per lo più quantitativa. “Quest’anno ho letto…. Quattordici libri! Almeno la metà avevano oltre un migliaio di pagine.” Chi non l’ha mai sentito dire, mentre l’occhialuto sapientone di turno sollevava orgogliosamente il mento e gonfiava il petto, con superiorità dinnanzi ai suoi coetanei irsuti e simili a gorilla di montagna, nell’intelletto e la fisicità sacrificata alla ricerca tragica della mera apparenza. Laddove raramente abbiamo preso in considerazione, ahimé, l’equazione che risulta dalle dimensione dei suddetti fogli e l’altezza delle singole lettere di testo (escluse le maiuscole decorative con scoiattoli, lumache, cavalieri…) Fin dall’epoca del Medioevo, s’intende. Quando schiere di amanuensi nelle loro auguste sale delle sacre informazioni messe per iscritto, assolvevano al proprio compito in lungo e in largo, lungo letterali chilometri di pelle d’asino o di mucche sacrificate per la lunga causa della sapienza. Ma nessuno, quanto il misterioso e mai storicamente contestualizzato Hermannus Heremitus, che si dice stesse lavorando con la più profonda e inalienabile delle motivazioni personali: poter assistere ad un’altra messa tra i viventi, dal nostro lato del Regno dei Cieli…

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