Silenziosamente osservo il panorama, mentre il delicato movimento della mia cabina prosegue quel tortuoso itinerario che dovrà portarmi a destinazione. Tra la nebbia che aleggia ad alta quota, occasionali fronde sbucano a poca distanza dai finestrini, lasciando immaginare la folta vegetazione di questo invisibile recesso montano. Alla terza, quarta curva, d’un tratto i colori iniziano ad acquisire contorni più definiti. Mentre il confine della soffice nube entro cui ci siamo imbarcati si avvicina sempre più, alla prua trapezoidale del primo vagone. Un’ultima remota vibrazione, un lieve dislivello che conduce il cuore in gola, il raggio di sole che colpisce il mistico diamante da cui scaturisce la limitata percezione dei sensi umani. Ecco allora profilarsi, in lontananza e centinaia di metri più in basso, una complessa e popolosa valle, parte del sopraelevato paesaggio della contea di Zixi. Innanzi a noi, la svettante pagoda sovrapposta dell’antico tempio sincretistico. Ed accanto al rotolante incedere del treno, uccelli di plurime fogge o dimensioni coincidenti ai plurimi registri della dura ed inflessibile catena alimentare. Il grido alla mia destra di un rapace che abilmente sceglie di distendere le proprie ali. Rispondendo al suo saluto, alzo la mano. Ci sarà molto, al termine di questo giorno, da ricordare…
Il treno EMU (Electric Multiple Unit) della CRRC Zhuzhou Locomotive, inaugurato all’apice dell’estate scorsa in una delle più rinomate e visitate montagne sacre della nazione cinese, trae l’origine dal desiderio comprensibile, nonché condivisibile, di veder crescere ulteriormente le centinaia di migliaia di visitatori che giungono ogni anno presso questa meta turistica di spicco, qualificata non a caso dagli enti preposti come sito di livello AAAAA. Immaginate dunque a tal proposito l’interessante possibilità, altrove inusitata, di raggiungere i migliori punti panoramici non più attraverso una faticosa e lunga escursione montana. Bensì comodamente seduti all’interno di uno scompartimento, potendo al tempo stesso godersi la natura stessa come se fosse una semplice, accessibile attrazione da luna park!
Un po’ un sovvertimento, se vogliamo, dell’originale percezione del pellegrino d’Asia, che doveva sacrificare il suo prezioso tempo e mettere in subordine lo sforzo fisico al degno fine di percorrere l’ardua strada dell’illuminazione. Così come fatto, a suo tempo, dal leggendario fondatore del tempio in vetta Jin Daju, il quale aveva meditato lungamente all’interno della grotta che sarebbe in seguito alla dinastia Tang (618-907 d.C.) diventata celebre come Dajueyan. Sebbene neanche lui, con tutta la prescienza e consapevolezza derivante dal categorico rifiuto dell’Ego, avrebbe potuto immaginare il ruolo avuto in futuro dalla tecnologia nel far conoscere a tutta la Cina (ed oltre) il supremo senso della sua ultima reincarnazione terrena…
templi
Scovato tra rovine peruviane l’intrigante cerchio di un altare per le offerte al dio del fuoco primordiale
Nella metà del giorno indicato nei sacri calendari come il più bollente e al tempo stesso critico del ciclo annuale, il responsabile dei riti e il sommo sacerdote del distretto alto s’incontrarono nel centro esatto della grande piazza sotto la piramide del Sole. In una breve cerimonia al cospetto dei capi clan delle maggiori casate, lungamente definita ma non troppo stessa ripetuta, essi disegnarono con i bastoni la precisa posizione delle stelle direttive, confermando il sopraggiungere dell’allineamento supremo. Allorché una breve danza condotta lungo il perimetro del cerchio, accompagnata dal suono di musici provenienti dalle sette province dell’Incomparabile Impero, dava il segno di dare inizio ai festeggiamenti. Presto strisce di eleganti stoffe colorate, assieme a svolazzanti corde rituali, sarebbero state esposte alle finestre dei gremiti edifici centrali. Mentre schiere d’animali sacri avrebbero marciato entro i confini della capitale, Caral. Mentre il vero punto cardine delle fondamentali cerimonie, il momento esatto in cui sarebbe stata resa manifesta nei confronti degli Spiriti superni l’esigenza di accelerare l’arrivo delle prime piogge autunnali, sarebbe giunta solamente verso l’ora del tramonto, quando una percentuale dei pregiati lama ed alpaca, ma anche un certo numero di cavie catturate nella giungla dai membri del popolo per l’occasione, avrebbero raggiunto finalmente le case circolari di venerazione degli Elementi.
Ritornato dunque alle avite dimore, in base ai codici coerentemente riportati nelle collane di corda che costituivano la scrittura del suo popolo, lo sciamano che parlava con la voce dell’astro del mattino si apprestò ad avvicinarsi a quella scala proibita, in fondo a cui una cupola sorgeva, dal cui foro strategico una fumata dichiarava il sopraggiungere dell’atteso momento. “Per ordine del nostro benevolo sovrano, sia dato inizio ai sacrifici.” Egli declamò solennemente. Animato di una propria volontà apparente, l’uscio del santuario venne aperto dai suoi giovani aiutanti nascosti. Quindi con gestualità magnifica, estese il proprio invito verso il fuoco eterno alle creature derelitte destinate, in quel giorno propizio, ad ascendere in mezzo agli strati di quel cielo sommamente posseduto da un potente senso d’aspettativa. Per fortuna, quest’anno la cerimonia è caduta un giorno straordinariamente propizio, pensava quietamente tra se e se. Neppure un singolo bambino umano avrebbe ricevuto l’onore fatale di raggiungere, nel contempo, le grandi sale degli antenati. Per una volta l’arcano Protettore dei caraliani si sarebbe ritenuto sazio di quel sangue e quelle vettovaglie, generosamente ed imprescindibilmente offerte dalle genti del grande Impero.
Quali tradizioni, che ritualità codificata, pronunciando quali nomi le pacifiche persone dell’antica America Meridionale avrebbero istantaneamente collegato all’ingresso periodico nel probabile centro sacro di Era de Pando, situato pochi chilometri a settentrione della città più vasta che l’intero continente avesse mai conosciuto? Ecco, se mai ce n’è stata una, la domanda che diventa difficile quando il periodo preso in esame trova collocazione esattamente all’apice di 5 millenni prima della corrente data…
Bianco è il tempio dove Predator alberga tra gli spiriti materialisti del Buddhismo Theravada
Non ci furono particolari dubbi, nel momento in cui Arnold Schwarzenegger pronunciò nel 1987 l’iconica battuta “Get to the chopper!/Presto, all’elicottero!” nel film destinato a diventare un cult di John McTiernan, sull’orgoglioso cacciatore alieno di esseri umani, egli interpretasse un commando che era “Dutch” (olandese) di nome e non di fatto, visto la caratteristica e marcata inflessione tedesca del suo eloquio. La stessa che sarebbe stata, per le decadi ulteriori, resa in uno scherzo ricorrente o meme con la trascrizione semi-seria del termine finale in choppa, ancorché nessuno avrebbe mai potuto interpretarla come ubosot. Peccato! Un’occasione persa di profetizzare, in qualche modo, l’apertura ai visitatori esattamente 10 anni dopo di quella che sarebbe diventata una delle strutture più famose di Chiang Rai, città di 77.000 abitanti nell’estrema parte settentrionale della Thailandia. Molti dei quali devoti ai valori tradizionali di quel paese, con particolare attenzione nei confronti del sovrano e del Buddha che salvaguardia il ciclo karmiko dell’umanità. Assediata da ogni lato, un po’ come nel salmo 23:4 reso celebre dall’altro film Pulp Fiction, dalle insidie e i mali del mondo che innumerevoli culti, religioni e discipline hanno saputo identificare con tipologie di volti e aspetti divergenti. Visione cosmologica, quest’ultima, efficacemente al centro del comparto visuale ricercato con il Wat Rong Khun o “tempio bianco” secondo alcuni una vistosa trappola per turisti, nell’opinione di altri un simbolo della sapienza e devozione di Chalermchai Kositpipat, il rinomato pittore, scultore e progettista nato nel 1955 per diventare probabilmente una delle voci più influenti dell’arte moderna di quel paese. Fino all’accumulo di un prestigio e risorse sufficienti al fine d’intraprendere, a seguito di un sogno, la costruzione di quello che dovrà costituire il suo più duraturo lascito a vantaggio delle generazioni future.
Ben lontano dal vantare, sia questo immediatamente chiaro, la configurazione tipica di un qualsivoglia luogo di culto dell’Asia sud-orientale, vantando in primo luogo pareti esterne di un bianco brillante simile alla porcellana, grazie all’inclusione di specchietti e pezzi di vetro nell’impasto dell’intonaco candido come la neve. Sotto tetti ornati fino all’inverosimile, sormontati da statue e figure simboliche che affollano il terreno del complesso di edifici. Come l’impressionante gruppo scultoreo delle mani protese che fuoriescono dal sottosuolo, ai due lati della passerella principale per accedere all’ubosot (sala di preghiera centrale) tra cui figurano tra gli altri dei teschi dalla forma non immediatamente attribuibile ad alcun tipo di creatura terrestre. Almeno finché non si scorge, a poca distanza, la sagoma semisepolta di un realistico yautja (cacciatore) il feroce nemico umanoide di Dutch e gli altri protagonisti del vetusto leggendario cinematico titolare. La metafora, naturalmente, risulta essere piuttosto chiara: gli spettri dell’intrattenimento americano cercano di spaventarci tramite iconografie potentemente subdole nella propria fondamentale mancanza di realismo. Mentre soltanto Buddha al termine di quel doloroso cammino può effettivamente dirsi, a tutti gli effetti, reale…
Le fortezze corrugate della vecchia Merv, prima metropoli sulla Via della Seta
Quanto popoloso poteva essere, davvero, un antico centro cittadino? Senza i vantaggi della sanità moderna, senza i i servizi di manutenzione, mezzi di trasporto, comunicazione a distanza… La verità è che gli uomini hanno sempre avuto delle ottime ragioni per vivere all’interno di collettivi adiacenti. Ed eccezioni confermarono, attraverso le epoche, i limiti che abbiamo preventivamente delineato: Babilonia, Roma, Costantinopoli, il Cairo, Baghdad, Pechino, Kyoto. Ogni volta che le cose assunsero proporzioni spropositate, è possibile individuare un’ottima ragione culturale, religiosa, strategica o commerciale. E qualche volta la perfetta comunione di ciascuna di esse, sebbene esistano dei luoghi che il senso comune sembrerebbe aver deciso di dimenticare. Perlomeno quello globalizzato che tende a far capo, nella stragrande delle circostanze, alla limitata prospettiva d’Occidente. Se volete gentilmente superare questa roccia d’arenaria nell’Asia Centrale, vicino l’oasi e città che nell’odierno Turkmenistan viene chiamata Mary, scorgerete all’orizzonte un’intrigante commistione di edifici. Quella è Merv, centro della satrapia di Margiana durante l’impero degli Achemenidi, quindi al termine dell’epoca ellenistica, capitale incontrastata dei Selgiuchidi a partire dall’anno Mille, per un periodo di due secoli durante cui divenne probabilmente il singolo insediamento più gremito al mondo, abitato da oltre 200.000 anime, disseminate tra elevate regge, palazzi fortificati e zone adiacenti.
Ecco dunque palesarsi, al passo successivo nella direzione indicata, la più vasta struttura ancora in piedi di questo luogo topico, negli anni successivi messo a ferro e fuoco dai Mongoli e poi necessariamente abbandonato, successivamente avrebbe guadagnato il nome di Grande Kyz Kala. Il più importante esempio di köshk (o kushk) ovvero un tipo di fortezza costruita con mura parzialmente in terra al di sopra di una piattaforma rialzata, che in origine avrebbe contenuto le magnifiche sale ed i molti tesori di una figura di alto rango nella classe dirigente coeva. Una creazione dalla merlatura evidente, un tempo sormontata da quattro torri di guardia in legno che dominavano il terreno antistante, ed il cui maggior elemento di distinzione risulta senza dubbio essere la forma zigzagante della cinta muraria esterna costruita con mattoni, in grado di raggiungere i 15 metri di altezza. Un progetto dall’apprezzabile valenza decorativa, il cui scopo principale probabilmente andrebbe individuato nel rafforzamento ulteriore della solidità strutturale, come noto attraverso i secoli ai costruttori di opere murarie non lineari. Un simile castello, risalente al XI secolo in base alle monete ritrovate dagli archeologi all’interno e fronteggiato a un centinaio di metri da una struttura simile chiamata la Piccola Kyz Kala, non costituisce tuttavia altro che il primo biglietto da visita, di un sito e parco archeologico dalle proporzioni misurabili in chilometri, la cui antichità e rilevanza hanno continuato ad affascinare gli archeologi anche successivamente alla chiusura dei confini turkmeni…