Scovato tra rovine peruviane l’intrigante cerchio di un altare per le offerte al dio del fuoco primordiale

Nella metà del giorno indicato nei sacri calendari come il più bollente e al tempo stesso critico del ciclo annuale, il responsabile dei riti e il sommo sacerdote del distretto alto s’incontrarono nel centro esatto della grande piazza sotto la piramide del Sole. In una breve cerimonia al cospetto dei capi clan delle maggiori casate, lungamente definita ma non troppo stessa ripetuta, essi disegnarono con i bastoni la precisa posizione delle stelle direttive, confermando il sopraggiungere dell’allineamento supremo. Allorché una breve danza condotta lungo il perimetro del cerchio, accompagnata dal suono di musici provenienti dalle sette province dell’Incomparabile Impero, dava il segno di dare inizio ai festeggiamenti. Presto strisce di eleganti stoffe colorate, assieme a svolazzanti corde rituali, sarebbero state esposte alle finestre dei gremiti edifici centrali. Mentre schiere d’animali sacri avrebbero marciato entro i confini della capitale, Caral. Mentre il vero punto cardine delle fondamentali cerimonie, il momento esatto in cui sarebbe stata resa manifesta nei confronti degli Spiriti superni l’esigenza di accelerare l’arrivo delle prime piogge autunnali, sarebbe giunta solamente verso l’ora del tramonto, quando una percentuale dei pregiati lama ed alpaca, ma anche un certo numero di cavie catturate nella giungla dai membri del popolo per l’occasione, avrebbero raggiunto finalmente le case circolari di venerazione degli Elementi.
Ritornato dunque alle avite dimore, in base ai codici coerentemente riportati nelle collane di corda che costituivano la scrittura del suo popolo, lo sciamano che parlava con la voce dell’astro del mattino si apprestò ad avvicinarsi a quella scala proibita, in fondo a cui una cupola sorgeva, dal cui foro strategico una fumata dichiarava il sopraggiungere dell’atteso momento. “Per ordine del nostro benevolo sovrano, sia dato inizio ai sacrifici.” Egli declamò solennemente. Animato di una propria volontà apparente, l’uscio del santuario venne aperto dai suoi giovani aiutanti nascosti. Quindi con gestualità magnifica, estese il proprio invito verso il fuoco eterno alle creature derelitte destinate, in quel giorno propizio, ad ascendere in mezzo agli strati di quel cielo sommamente posseduto da un potente senso d’aspettativa. Per fortuna, quest’anno la cerimonia è caduta un giorno straordinariamente propizio, pensava quietamente tra se e se. Neppure un singolo bambino umano avrebbe ricevuto l’onore fatale di raggiungere, nel contempo, le grandi sale degli antenati. Per una volta l’arcano Protettore dei caraliani si sarebbe ritenuto sazio di quel sangue e quelle vettovaglie, generosamente ed imprescindibilmente offerte dalle genti del grande Impero.
Quali tradizioni, che ritualità codificata, pronunciando quali nomi le pacifiche persone dell’antica America Meridionale avrebbero istantaneamente collegato all’ingresso periodico nel probabile centro sacro di Era de Pando, situato pochi chilometri a settentrione della città più vasta che l’intero continente avesse mai conosciuto? Ecco, se mai ce n’è stata una, la domanda che diventa difficile quando il periodo preso in esame trova collocazione esattamente all’apice di 5 millenni prima della corrente data…

Eppure esistono preziosi indizi, per quanto concerne le perdute genti delle civiltà nata e cresciuta sulle sponde del fiume Supe, nel Perù settentrionale, frequentemente riconducibili agli scopritori Frédéric Engel e Paul Kasok. Ma soprattutto la pluri-decennale ricerca condotta dall’archeologa locale Ruth Shady, fondatrice e direttrice di un progetto archeologico mirato a contestualizzare una delle civiltà costruttrici di monumenti cronologicamente antecedenti a quello che noi siamo soliti definire il Mondo Antico. Personaggio la cui ultima scoperta, facente notizia proprio in questi ultimi giorni grazie a una dichiarazione preliminare dell’Ente della Cultura peruviano, consiste di un’altra delle tipiche arene circolari già note agli studiosi, ma questa volta situata nel sito appena fuori dall’area classificata come patrimonio dell’UNESCO della sopracitata Era da Pando, caratterizzata dalla presenza di diversi edifici costruiti attorno ad una piattaforma vasta e complessa, probabile basamento di un altro antico tempio piramidale. Anch’esso fornito, in base alla consuetudine acclarata, di una delle arene circolari che riteniamo un tempo essere state sormontante da un qualche tipo di tetto, in qualità di siti dedicati a riti segreti di esclusivo appannaggio delle classi dell’elite spirituale e politica di quei tempi straordinariamente remoti. Come desunto dalla presenza di rampe e vie d’accesso separate per i diversi strati della società ma anche i segni di varie tipologie d’offerte bruciate lungamente, sia d’origine vegetale che animale, nonché la presenza di pigmenti colorati sulle residue pareti, possibile segno di perdute pitture parietali dall’elevato grado di raffinatezza e complessità.
Il problema principale nello studio della civiltà di Caral Supe, ivi inclusa questa manifestazione rimasta inaccessibile per lungo tempo agli studiosi causa l’abusiva acquisizione del terreno come proprietà privata da parte dei latifondisti locali, non è dunque solamente l’assenza di un vero e proprio sistema di scrittura in grado di attraversare intonso le generazioni. Laddove il tipo di quipu basato sull’uso dei nodi, così chiamato per analogia con il sistema destinato ad essere impiegato molti anni dopo dagli Incas, utilizzava materiale chiaramente deperibile per nulla conduttivo alla costituzione di un corpus rimasto accessibile ai linguisti moderni. Ma anche e soprattutto la mancanza di un contesto circostante, data la sussistenza dei caraliani, spesso definita inspiegabile, all’interno di uno dei più inospitali ed aridi centri culturali degli albori dell’aggregazione umana. Un tratto di costa dove le precipitazioni a beneficio dell’agricoltura risultano essere eccezionalmente rare, mentre studi moderni avrebbero individuato come principale fonte di sostentamento l’uso della pesca nelle generose acque del Pacifico Orientale.

Niente predominio in termini di religione e sistemi di valori veicolati a beneficio dei vicini dell’antico Egitto dunque, ma neppure i redditizi commerci condotti dalle civiltà Sumera e Mesopotamica nella distante e precedente culla della creazione di opere architettoniche complesse in Medio Oriente, in effetti coèva al purtroppo non così studiato polo d’interesse nella parte meridionale del Nuovo Mondo. Una definizione chiaramente eurocentrica che tende a porre in secondo piano i traguardi raggiunti dai predecessori dei nativi di questi luoghi come previsto da un copione particolarmente ben collaudato. Che pone in secondo piano, fin dall’epoca scolastica, la consapevolezza di come pur avendo ricevuto la fortuna/sfortuna di un insediamento di ominidi senzienti successivamente al resto delle terre emerse di questo azzurro pianeta, essi avessero già costruito opere imponenti molti anni prima del sorgere della cosiddetta e doverosamente sopravvalutata Società Occidentale. E chi può dire quali sistemi di amministrazione, che precise discipline civiche o persino accenni primordiali del concetto di democrazia, costoro potessero aver anticipato, prima del collasso sopraggiunto col destino manifesto dei colonizzatori giunti da oltreoceano, sulle loro cupe e inarrestabili navi. Giacché la religione è soltanto una parte, per quanto significativa, di enigmi da una simile portata che attraversa i periodi antropologici della nostra storia fondamentale. Per cui le antiche pietre possono qualificarsi come tramite, ovvero la cosa più vicina alla leggenda della macchina del tempo, eterno auspicio degli autori letterari speculativi.

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