In un turbinìo di raffiche, l’aviazione svizzera torna a danzare sulle Alpi Bernesi

“Piovoso, con possibilità di tungsteno” E appena un grammo percentuale di zirconio. Quello contenuto all’interno dei proiettili perforanti semi-incendiari scaturiti con trasporto dalle sei canne cannone rotativo M61 Vulcan, montato sul muso di un’intera squadriglia di F/A-18 Hornet intenta a fare una delle cose che gli riesce meglio: crivellare gli appositi bersagli arancioni distribuiti con cadenza regolare lungo i verdi pascoli sulle pendici dell’Axalphorn, dell’Oltschiburg e le altre montagne che circondano la notevole attrazione paesaggistica del lago alpino di Brienz. Uno scenario da sogno con il bello e il brutto tempo, sia d’estate che d’inverno, e soprattutto degno di essere severamente custodito, contro le incursioni di eventuali e certamente indecorose forze d’invasioni nemiche. E così sembra quasi di vederle, schiere di agili mezzi nemici, corazzati e pezzi d’artiglieria che spingono i motori al massimo, lungo gli irti declivi esattamente come teorizzato per la prima volta verso la metà degli anni ’30, puntando le proprie armi verso il cuore vulnerabile e neutrale del più elevato tra i piccoli paesi europei. Una Svizzera neutrale, ma che tale non avrebbe mai potuto rimanere, senza rendere le sue preziose terre relativamente inespugnabili, oggettivamente complicate da conquistare. Ma va da se che molta strada è stata fatta, dall’originale manciata di Messerschmitt Bf 109 e Morane-Saulnier D‐3800 ordinati originariamente dai paesi limitrofi, e che avrebbero costituito gli angeli custodi del paese nel corso del secondo conflitto mondiale. Un tragitto tortuoso (e dispendioso) tale da rendere l’odierna Aviazione Svizzera del tutto al passo coi tempi, sebbene numericamente meno ingente delle istituzioni simili di paesi più grandi. Nonché più di ogni altra cosa, perfettamente addestrata ad operare entro i confini di un territorio tra i più geograficamente inaccessibili al mondo, grazie anche ad esercitazioni e contingenze simili a quelle della Fliegerschiessen (tiro dell’aviatore) Axalp.
Insediamento turistico, resort di prim’ordine, luogo ameno in un’ambiente bucolico ed estremamente ricco di luoghi ameni. Ed una volta l’anno, secondo le precise imposizioni del calendario militare, il poligono di tiro della più incredibile esercitazione e dimostrazioni pratica di competenza per gli eredi dei suddetti eroi dell’aria. Occasione nella quale, con notevole ritorno d’immagine ed una certa quantità di fama imperitura, l’accesso al pubblico di simili montagne non viene affatto interdetto, bensì piuttosto incoraggiato, creando l’approssimazione ragionevole di un vero e proprio show aereo. Con la differenza che i proiettili sparati sono veri. Così come i flare anti-missile rilasciati a fluttuare nell’intercapedine tra le montagne, mentre gli occupanti effettuano i loro incredibili passaggi a volo radente, non dissimili da quelli che potremmo architettare in una sessione d’intrattenimento all’interno di un innocuo simulatore di volo. Non senza finire per pensare, onestamente: “Bella forza, è tutto finto. Di sicuro NESSUNO avrebbe mai il coraggio di tentare una manovra simile mettendo a rischio la sua stessa vita.” A meno di esser… Svizzero, s’intende. Un’occasione, questa del recentemente conclusosi ottobre 2021, particolarmente significativa anche per la serie di sfortunate contingenze degli ultimi due anni, in cui l’evento era stato disdetto all’ultimo momento, la prima volta per una serie di crepe dovute alla corrosione scoperte nelle alette di atterraggio degli F/A-18 e la seconda a causa dell’impossibilità di assicurare le misure di distanziamento anti-Covid tra il pubblico all’apice della pandemia, questione questa volta posta in subordine al bisogno di mantenere vivida la fiamma, ed altrettanto funzionale la memoria muscolare dei piloti, necessarie ad effettuare un simile sfoggio d’ineccepibile neutralità nazionale. Non è certo un caso, d’altra parte, se come annualmente capita l’esercitazione è stata aperta con un’affollata conferenza stampa, in cui si è lungamente proceduto alla disanima dell’attuale condizione instabile internazionale, mentre alcune delle principali potenze globali continuano a migliorare gli armamenti e il Comandante delle Forze Aeree Peter Merz illustrava i programmi di queste ultime per gli anni a venire, inclusivi del ritiro dei velivoli più vecchi (gli ormai vetusti 20 F5-E Tiger II) e la loro sostituzione col più volte paventato NKF (Nuovo Aereo da Combattimento). La cui provenienza ed effettive potenzialità, al momento, nessuno sembrerebbe ancora pronto a descrivere, sebbene sia acclarato che gli addetti all’utilizzo nei cieli del paese saranno in grado di sfruttarlo davvero molto bene. A giudicare da quello che compare in questo video…

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L’erculeo marchingegno che agevola il moto retrogrado degli aerei

Il pilota del pesante Avro 683 Lancaster danneggiato dal fuoco di contraerea nemico guardò in basso verso le propaggini del Dorset, dove un piccolo aerodromo, ospitante schiere di formidabili caccia Spitfire pareva sospeso nel tempo, inconsapevole del dramma che si stava verificando quasi perpendicolarmente all’ombra dell’eroico velivolo nell’ora del suo ritorno. Due motori in avaria, la coda parzialmente tagliata da una raffica di mitragliatrici MG 131, eppure un dilemma profondo ed innegabile: poiché il capitano sapeva perfettamente che una volta atterrato nel centro di quella pista, non gli sarebbe stato più possibile spostare il suo aereo. E chi gli avrebbe garantito, allora di non essere crivellato dal fuoco dei suoi nemici? Con uno sguardo al suo primo ufficiale, e un altro dietro all’equipaggio che scrutava attentamente il cielo, prese quindi la sua decisione. Per prima cosa, avrebbe salvato chi aveva affidato la propria vita alla sua esperienza. Tutto il resto veniva dopo. Planando attentamente, mantenendo livellato il bombardiere, giunse quindi a ridosso della “pista”, nient’altro che lo spiazzo di una fattoria il cui scopo era cambiato così radicalmente nel corso di queste ultime settimane di guerra, con appena un paio di cannoni antiaereo. Le cose sembravano andare per il meglio adesso ma lui ben sapeva che se avesse tardato eccessivamente nel puntare il muso verso il basso, poteva ancora andare in stallo causando un irrecuperabile disastro, con gesto assorto, controllò ancora una volta di aver abbassato il carrello. In quel momento, drammaticamente, udì il temuto grido del mitragliere di coda: “109 all’orizzonte, il nemico ci ha seguito! Si preparano ad un passaggio a volo radente!” Adesso o mai più, pensò allora l’uomo ai comandi! Mantenendo ferma la sua mano, portò l’aereo a terra. In pochi attimi, azionando i freni, riuscì a fermarsi nel centro esatto della pista. “Tutti fuori, scappate prima che sia troppo tardi!” Pensò allora l’uomo in uniforme, ma prima che potesse dare l’ordine, vide qualcosa che usciva fuori dall’hangar improvvisato. Con sua somma sorpresa, si trattava di un doppio tiro di buoi posizionati ai lati di un attrezzo oblungo, simile a un ariete medievale. Alla testa della strana carovana, il capo delle operazioni fece un cenno agli uomini dell’Avro Lancaster, come un invito ad aspettare ancora qualche attimo, avere fiducia nelle circostanze. Gli animali si fecero più grandi, più grandi ancora ed un muggito possente riempì le orecchie degli osservatori. Mentre l’equipaggio scrutava basito dai finestrini, un improvviso tremore percorse quell’oggetto totalmente rimasto privo di forza motrice. Incredibilmente, l’aereo si stava muovendo all’indietro, verso la protezione di un piccolo bosco d’ontani. Ad un ritmo lento, ma che accelerava in modo esponenziale. Ora la formazione di quattro caccia tedeschi era perfettamente udibile, oltre che visibile nel centro del cielo di primavera. Cabrando minacciosamente, si allineò verso la pista quasi totalmente indifesa. Due strali di traccianti verdi oliva si alzarono ad incontrarli, ma mancarono clamorosamente il bersaglio. E con una manovra perfettamente eseguita, il capo della fila puntò dritto esattamente dove, fino a pochi secondi prima, si trovava il bombardiere inglese. Aprì il fuoco, colpendo… Il terreno privo d’erba o altri metallici, danneggiati orpelli ed aviatori. Gli occhi spalancanti, il capitano fece i quattro passi che lo separavano dal portellone. Con un solo gesto fluido, aprì la maniglia e guardò cosa c’era all’altro lato. Il padrone della fattoria, sorridente, alzò la mano destra per salutarlo mentre si fumava una sigaretta. Con la sinistra, pensierosamente, accarezzava le corna di colui che allegramente brucava l’erba della cara vecchia Inghilterra.
La soluzione pratica, di un problema evidente, a cui stranamente nessuno aveva mai pensato. Fino al momento in cui, nella prima epoca di operazioni aeronautiche realmente complesse, i campi di volo della seconda guerra mondiale iniziarono a farsi veramente affollati. Ed allora fu evidente come la questione non potesse essere in alcun modo ignorata: perché gli aerei non avevano una marcia indietro veramente funzionale, e non l’avrebbero mai potuta avere. In quale modo, dunque, sarebbe stato possibile organizzarne il parcheggio in schiere affollate, entro spazi stretti non sempre utili ad effettuare le manovre di parcheggio giudicate di volta in volta necessarie? L’unica soluzione possibile, fin dall’inizio, fu dettata dalle circostanze esistenti. Poiché molti dei luoghi di decollo ed atterraggio, fino a quel momento, erano stati tratti dagli antichi contesti agricoli ed ambiti rurali. Quindi chi o cosa, meglio degli agricoltori stessi, avrebbero potuto fornire i mezzi necessari ad operare in tal senso… Qualunque trattore possa spingere un aratro, può riuscire ad operare in modo analogo per quanto concerne il tipico oggetto volante. E nella peggiore delle ipotesi, c’erano sempre gli animali…

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Col nuovo modello di Canadair, il volo antincendio riparte dal Montana

Deus ex machina: quando ogni cosa appare ormai perduta, quando l’episodio della narrazione sembra ormai avviato verso il peggiore degli epiloghi, e le fiamme lambiscono i lati del teatro, il palcoscenico e la gente. È allora, soltanto allora, che un rombo ruggente vede spalancarsi l’alto soffitto dell’edificio. E tra nubi di vapore a effetto scenografico, qualcosa d’imponente irrompe in mezzo al pubblico rapito; giallo e largo, alato, affusolato. L’aereo che consegna carichi copiosi di… Opportunità. Ed assieme ad esse, 61 ettolitri di chiare e dolci acque, prelevate in via diretta dal più vicino fiume, lago o mare sulla scena dell’incendio che avanza. Non è soltanto una metafora ma un vero evento storico da lungo tempo programmato, quello che si trova protagonista del presente video di Business Insider, il sito web statunitense che parla dal 2007 di ogni aspetto delle imprese, sia dal punto di vista finanziario che per quanto riguarda le idee e le iniziative che ci sono dietro. O come in questo caso, sopra, trattandosi della compagnia Bridger Aerospace con sede centrale presso l’aeroporto di Bozeman, a Belgrade nell’assolato stato americano del Montana, specializzata nell’utilizzo, impiego e manovra di uno dei più riconoscibili e salvifici aeromobili della nostra Era. Quello che da queste parti chiamano col termine lievemente prosaico di Super Scooper (“risucchiatore”) ma che in Italia trova piuttosto l’appellativo per antonomasia di Canadair, dal nome della compagnia con sede oltre il 49° parallelo Nord, dove termina la terra delle aquile e comincia quella del castoro. Per lo meno, se vogliamo limitarci agli stereotipi biologici delle nazioni; gli animali non hanno concetto di alcun tipo di frontiera. Ma gli stereotipi qualche volta si rivelano reali ed è certamente questo il caso dell’utilità straordinariamente settorializzata, e finalizzata quasi essenzialmente ad un solo obiettivo, di spettacolari macchine volanti come queste: bombardare il fuoco, farlo presto e bene, e nella speranza che le cose possano prendere una piega positiva prima di finire in cenere. Altrimenti…
Protagonista del nuovo video risulta quindi essere, assieme al CEO della compagnia ed ex agente militare dei Navy Seal Matt Sheehy, il primo dei sei CL-415EAF Superscooper ordinati direttamente dalla Bombardier, attuale proprietaria del marchio Canadair, creato sulle effettive specifiche di questa nuova venture che dovrà ben presto rivelarsi operativa negli interi Stati Uniti. Stiamo del resto parlando di un investimento di ben 30 milioni di dollari per ciascun aereo, giustificato dai notevoli 28 metri di apertura aerea, il peso al decollo di fino a 21 tonnellate e la coppia di potenti motori a turboelica Pratt & Whitney Canada PW123AF, capaci di erogare 2.380 cavalli ciascuno grazie all’unione tra la parte rotante e l’espulsione dei gaso di scarico retroattiva. Ma chi dovesse fermarsi soltanto all’aspetto esteriore dell’aereo non così diverso dai velivoli antincendio in uso anche presso i nostri lidi italiani potrebbe acquisire soltanto una parte della storia, se è vero che la nuova versione EAF di quest’ultimo (Enhanced Aerial Firefighter) presenta i nuovi potenziati sistemi d’avionica digitale della Pro Line Fusion, capaci d’indicare in ogni momento al pilota luogo di carico, situazione del traffico e tempistiche necessarie ad effettuare ciascun passaggio sopra l’incendio; nonché metodologie più rapide nell’immissione all’interno dell’acqua raccolta di sostanze chimiche ritardanti, quando necessario; spazio per una barella ed altre attrezzature di primo soccorso; aria condizionata in cabina; e per finire, un nuovo tipo di vernice anti-corrosione, che non fa mai male. Personalizzazioni estremamente specifiche rese possibili proprio dalla stretta collaborazione tipicamente mostrata dalla Bombardier e l’altra attuale produttrice dei modelli Canadair, la Viking, con i pochi incredibili piloti abbastanza abili, ed abbastanza spericolati, da potersi gettare praticamente in picchiata verso la superficie increspata da lievi onde. Per poi risalire immediatamente, nello spazio orizzontale di appena un chilometro e mezzo, all’altezza minima necessaria a sorvolare impressionanti volute di fuoco e cenere. Che può ridursi, per incrementare la precisione, fino alla cifra irrisoria di 30 metri, il che significa che eliche e fronte aerodinamico del velivolo risultano sensibilmente rinforzati, non soltanto al fine di resistere ai detriti e la cenere. Bensì anche l’urto diretto, non propriamente da escludere, coi rami più alti degli alberi sottostanti…

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L’elegante manovra gravitazionale del missile anti-nave russo P-800 Oniks

La storiografia guerriera è piena di grandi prove di abilità con l’arco, a evidente prova dell’errore intrinseco in quello stereotipo secondo cui colpire il nemico a distanza sarebbe stato “poco cavalleresco” o in qualche modo indesiderabile dinnanzi all’eventualità encomiabile di combatterlo all’arma bianca. Primaria, nell’iconografica narrativa dell’arazzo di Bayeux (1066) è la figura dell’arciere normanno che colpisce il re inglese Harold Godwinson all’occhio, vincendo istantaneamente la battaglia. Così come il personaggio giapponese di Nasu no Yoichi del clan dei Minamoto risolse uno dei maggiori conflitti navali della guerra Genpei (1180-1185) abbattendo il morale nemico dopo aver perforato in maniera impeccabile un ventaglio posto in cima ad un palo sul ponte della nave ammiraglia dello schieramento avversario. Ed altrettanto numerosi e significative sono le figure mitologiche che avrebbero potuto ispirarlo, come il dio cinese dell’arceria Hou Yi, che all’origine dei tempi perforò nove dei dieci soli che bruciavano la superficie della Terra o il divino guerriero Arjuna, a cui nel Mahabharata veniva attribuita una faretra magica che non esauriva mai frecce. Episodi che riassumono, ed in qualche modo riescono a costituire il prototipo ammirevole, di quella strana qualità che il famoso studioso degli scritti di Omero e veterano del secondo conflitto mondiale, Bernard Knox, definiva la “terribile bellezza della guerra” scevra di residui sentimentalismi o residue percezioni relative alle sue implicazioni meno evidenti.
E c’è senz’altro qualcosa di magnifico, leggendario persino, nella maniera in cui il tecnologico protagonista di questo video esegue il gesto che più di ogni altro gli riesce meglio, essendo stato la base stessa della sua progettazione principale: alzarsi in volo, per proiettare quella distruttiva volontà in avanti e verso il bersaglio definito al centro di quel vortice di fumo, fiamme e incomparabile rombo di tuono. Eppure non c’è nulla, in tale processo, che si richiami al drammatico e riconoscibile arco disegnato dalla traiettoria di un dardo convenzionale, o persino quello di un normale proiettile d’artiglieria: troppo lontano siamo giunti, a questo punto, dall’originale percezione di quanto debba contare la normale progressione fisica degli eventi, eccessivamente perfezionata risulta essere la metodologia ingegneristica che qui trova la sua più perfetta e iconica realizzazione. Mentre il missile Oniks (“Rubino”) si solleva dal suo tubo di lancio in maniera perfettamente verticale per circa una ventina di metri, quindi vira bruscamente verso Terra nella maniera ritenuta proficua dal suo bureau d’origine sin dai primi test verso la fine degli anni ’80, l’NPO Mashinostroyeniya di Reutov, vicino Mosca. E come l’infernale manifestazione di un piccione viaggiatore inviato da Lucifero in persona, cambia il senso del suo viaggio in direzione orizzontale. Fino alla drammatica realizzazione della sua spietata verità.
Stiamo parlando, per essere chiari, del moderno “dardo” o missile balistico creato con un singolo e fondamentale obiettivo: colpire un obiettivo avverso allo schieramento tattico delle forze messe in campo dai Russi, preferibilmente in un contesto marittimo/costiero ma non solo, grazie alla funzionalità di base offerta dal veicolo capace di trasportare e lanciare direttamente l’avanzato sistema d’arma da 3 tonnellate di peso, l’autocarro K-300P Bastion-P. Il quale prima di realizzare la sua principale ragion d’essere, come ha già potuto fare più volte nel corso della storia bellica recente (e non sto parlando SOLO di esercitazioni) punta i suoi tubi di lancio direttamente verso il cielo, in quella che sarebbe un’evidente sfida rivolta alle nubi e il volo insostanziale degli uccelli. Se non fosse per la capacità del missile di eseguire, in maniera pressoché perfetta, una delle manovre più importanti associate ai primi fondamentali minuti dell’esplorazione spaziale…

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