Le ali telescopiche: un capitolo dimenticato nella storia dell’aviazione

Apice ingegneristico della progettazione efficiente, punto d’incontro di una pletora di soluzioni interconnesse, l’aeronautica costituisce spesso il campo prototipico delle vie di mezzo. Triangoli o piatti della bilancia, in cui ogni singolo fattore dovrà essere pesato attentamente, spesso a discapito di altre, non meno importanti, predisposizioni prestazionali. Poiché il volo non ammette favoritismi nei confronti di un singolo fattore, velocità, raggio d’azione, quota raggiungibile o altro, a discapito di altri ed è per questo che una volta raggiunta una competenza tecnologica sufficientemente avanzata, l’approccio trasformabile delle superfici di volo ha immediatamente suscitato l’interesse dei progettisti. A partire dal primo passo sperimentale in tal senso, il Westland-Hill Pterodactyl IV del 1931, in cui una variazione limitata del camber alare permetteva di modificare l’assetto, e conseguentemente il trim dell’aeroplano durante il tragitto. A questo punto la storia maggiormente raccontata in materia, normalmente, passa al Messerschmitt P.1101 del 1944, un prototipo di caccia tedesco a reazione mai completato, in cui l’angolo di freccia delle ali sarebbe stato regolabile prima del decollo, onde ottimizzarne il profilo in base al tipo di missione prevista di volta in volta. Il che lascia un buco di oltre un decennio, durante cui saremmo invitati a pensare che nessuno abbia effettivamente compiuto esperimenti sulla falsariga di questo discorso fondamentale. Un fraintendimento che deriva in buona parte dall’impostazione storica mirata a ritrovare l’evoluzione delle metodologie tipiche dell’Era contemporanea, destinate a condurre verso velivoli come il Dassault Mirage G, l’F-14 Tomcat ed il Panavia Tornado. Ma non tutte le ali variabili hanno ruotato sempre parallelamente al suolo e questo non dovrebbe particolarmente sorprenderci: come tralasciare, in tal senso, l’efficienza notevole del sistema principale impiegato per facilitare l’apertura degli ombrelli? Così come non fecero, dal canto loro, una coppia d’ingegneri entrambi di origini russe. Il primo dei quali, tuttavia, offrì il proprio contributo in ambito militare paradossalmente alla nazione francese, dopo che tra le due guerre era caduto in disgrazia con il governo sovietico vigente. Sto parlando di Ivan Makhonine e del suo formidabile Mak-10 del 1931, un monoplano a due posti le cui ali potevano cambiare in lunghezza di un notevole 60%, grazie ad una quantità di sezioni progressivamente più piccole montate su cuscinetti a sfera, capaci di rientrare l’una dentro l’altra attraverso l’azionamento di un sistema pneumatico o in alternativa, mediante una leva manuale d’emergenza. Alimentato da un singolo motore raffreddato a liquido Lorraine-Dietrich 12Eb da 450 cavalli, l’aereo non era particolarmente potente e durante le prove effettuate nel corso dei quattro anni seguenti dimostrò probabilmente limiti prestazionali piuttosto evidenti. Anticipando quella che sarebbe stata, anche in seguito, la sfortuna ricorrente di questa intera categoria di mezzi volanti…

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L’impresa del francese che tentò di avvicinare il volo dei paleotteri ai disegni di Leonardo da Vinci

Maestoso, rigido, elegante, l’aereo progettato dagli umani procede sulla rotta attentamente tratteggiata in linea retta, ragionevolmente indisturbato dalle condizioni climatiche, il vento avverso (che in effetti, lo aiuta a sollevarsi!) E abbassa le sue ruote soltanto una volta che ha raggiunto la destinazione opportuna. L’aereo progettato dalla natura, di contro, è imprevedibile ed erratico. Esso compie il suo decollo senza un obiettivo chiaramente definito, ma piuttosto si aggira in linee intersecantisi tra un fiore e l’altro, posandosi ora qui, ora lì. Prima della metà del giorno, il suo addome è già coperto di polline. Mentre dà sfoggio di un eccezionale maneggevolezza in base alle opportune condizioni vigenti. Esso è anche, nella maggior parte dei casi, non più lungo di qualche centimetro. Conveniente, nevvero? È tutta una questione di obiettivi, chiaramente. Eppure non si può affermare che dal punto di vista cosmico, una soluzione sia superiore all’altra. Ed è chiaro che costituirebbe un valore aggiunto di notevole entità, riuscire a coniugare in qualche modo gli aspetti migliori di entrambi i mondi. D’altra parte fin dai primi timidi approcci al distacco controllato da terra, gli antenati degli odierni scienziati ed ingegneri tentarono più volte d’imitare il volo con ali battenti. Vedi l’opera dei medievali Elmer di Malmesbury ed Abbas Ibn Fabbas attorno all’anno Mille, ma senz’altro più famosamente e con importanti strascichi nella cultura popolare Leonardo da Vinci nel 1485, che disegnò e presumibilmente realizzò un efficiente dispositivo rispondente alla definizione di ornitottero, realisticamente in grado di andare molto vicino all’evidente obiettivo di partenza. Tanto che affinché qualcuno riuscisse, effettivamente, a ri-creare un qualcosa paragonabile ci sarebbero voluti altri quattro secoli e venti anni, grazie all’opera di qualcuno che aveva studiato a lungo i presupposti. Prima di approntare, attrezzi e materiali adatti alla mano, il dispositivo più vicino a una libellula mai creato da mani pensanti. Sto parlando in questo caso del modello Dubois-Riout, monoplano svolazzante a creato dalla mente di René Louis Riout, ingegnere francese con l’aiuto del connazionale celebrato con la prima parte del nome. Forse uno sponsor? Chi può dirlo. Fatto sta che tale modello preliminare, dotato di un singolo paio di ali e in grado di spingersi in avanti già nel 1909 in forma di modellino grazie alla deformazione autonoma delle sue ali, fu giudicato degno di ricevere il prestigioso premio attribuito dalla commissione Lépine, creato soltanto 8 anni prima per ricompensare i maggiori inventori e creativi di tutta la Francia. Benché la versione a dimensioni reali dell’apparecchio sarebbe andata distrutta durante una prova di volo nel 1916, d’altronde, ciò non fu giudicato sufficiente a perdersi d’animo da parte del suo creatore, che con il concludersi della grande guerra decise di tentare nuovamente, facendo questa volta le cose più in grande. Il che avrebbe incluso, caso vuole, l’aggiunta di un secondo paio d’ali in parallelo lungo l’estendersi della fusoliera. Ed una coda lunga e sottile, del tutto paragonabile a quella tipicamente mostrata dagli antichi insetti appartenenti all’ordine degli Odonati…

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Oh, pittore per antonomasia: qual mirabile pennello ha tinto l’ali di cotanta falena?

“Non andartene docile in quella buona notte, metamorfosi dovrebbe ardere e infierire quando cade il giorno; infuria, infuria contro il morire della luce” E sia! Molti tendono a tralasciare la saliente maniera in cui qualsiasi personalità creativa, sia l’individuo un pittore, musicista o poeta come Dylan Thomas, avesse in se il potenziale di diventare un entomologo. Poiché non è forse proprio tale categoria di esseri viventi, gli insetti, la più fenomenale testimonianza dell’ineccepibile capacità creativa della Natura, l’efficace dimostrazione che la bellezza può derivare dall’utilità, intesa come capacità di sopravvivere perpetrando una particolare soluzione dei problemi che ci rendono quasi fratelli? Contrattempi generalmente privi di fascino, quali il bisogno di mangiare, difendere il territorio, riprodursi… Essere il perfetto bruco e quindi l’infallibile farfalla. Scintille d’energia dinamica nella foresta museale di un certo mondo. E tutto ciò che inevitabilmente tende a derivarne. Se stessi compilando una fiaba, dunque, affermerei a questo punto: “C’era una volta un lepidottero. Il cui volo era tormentato da un migliaio di pericoli alla volta. Così come suo padre, sua madre e l’incalcolabile progressione dei suoi antenati, egli zigzagava schivando il becco d’uccelli. E ogni volta si posava aspettando le fauci di fiere in agguato, come gatti, mustelidi o i figli della stirpe scimmiesca.” Meno rara di quanto poteste pensare, nel saliente caso! Ci troviamo, dopo tutto, nel Sud Est asiatico e in India. Dove sin dall’epoca della fondazione di antiche discipline o religioni, la regola non scritta della meraviglia sembrerebbe aver determinato il corso di un trasversale destino. “Perciò il lepidottero scelse di essere come l’acqua che riflette il cielo. Scelse di sembrare molte cose allo stesso tempo.” Immagino abbiate capito ciò a cui sto alludendo. O quanto meno, a questo punto, la foto abbia sortito il doveroso effetto; poiché questo non è un insetto, nella propria forma adulta, che allinei la propria livrea all’aspetto di un pezzo di corteccia o la superficie di una foglia. Nossignore, Linneo. E lo stesso Darwin si sarebbe interrogato su quale processo di selezione potrebbe aver condotto per vie impreviste a qualcosa di tanto lontano dal consueto. Dopo tutto, questa specie scoperta, descritta e classificata per la prima volta nel 1882 in un catalogo illustrato del grande entomologo Frederic Moore, sembrerebbe essersi meritata a pieno titolo l’appellativo scientifico di Baorisa hieroglyphica. Con un diretto riferimento, per l’appunto, alla variopinta e complessa scrittura pittografica dell’antica civiltà egizia. Benché la più immediata ed istintiva sapienza popolare avrebbe preferito, in seguito, un riferimento ad uno dei più grandi creativi ed uomini più famosi del Novecento: Pablo Picasso in persona, utilizzatore in determinati “periodi” della sua carriera di armonie contrastanti di salienti colori. Così come quelli disposti, tanto artisticamente, sull’ali della nostra fluttuante amica…

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Anno 1934 – l’uomo che rispose alla domanda: “E se gli aeroplani volassero con ali discoidali?”

Le stagioni si susseguono e le circostanze cambiano costantemente. Col passare delle decadi, molte cose finiscono per essere dimenticate. Nel contesto della nostra epoca, ad esempio, è normale utilizzare lo strumento digitale per cercare informazioni utili o interessanti. Eppure c’era un merito importante, nell’antico luogo “sacro” dell’edicola e le sue riviste. Pagine su pagine di concezione effimera, ciascun titolo pre-figurato sull’intento di rendere qualcuno momentaneamente un esperto. In materia di… Sport? Computer? Cronaca mondana? O il campo che più di ogni altro può beneficiare di approfondimenti collaterali: la tecnologia che cambia e al tempo stesso condiziona la vita delle persone. Simili prodotti editoriali, qualche volta, permettevano a momenti aneddotici o frangenti collaterali di venire registrati per il beneficio delle generazioni future. Come il giorno in cui Steven P. Nemeth, istruttore della scuola di volo di McCook Field vicino a Dayton, Ohio, seppe guadagnarsi meritatamente i sue cinque salienti minuti di celebrità. Ne parlarono in America “Modern Mechanix” e l’irrinunciabile “Popular Science” tra le pagine pubblicitarie di modellini, radio tascabili e orologi cromati, premurandosi di riportare dettagliatamente la reazione dei presenti a un’occasione più unica che rara. Non capitava certo particolarmente spesso, d’altra parte, di vedere un aeroplano fermarsi all’improvviso in volo. Per fluttuare giù verticalmente, lievemente, fino al delicato impatto con il terreno. Capacità fornita dall’insolita forma della parte più importante del velivolo, un disco dal diametro di 4,6 metri costituente a tutti gli effetti una singola ala, capace di agire nei suddetti attimi come l’approssimazione funzionale di un parasole. La scelta del termine di paragone usato dalla stampa, d’altra parte, risulta sorprendentemente facile da motivare. In quello stesso 1934, Helen L. Goff scriveva sotto lo pseudonimo di Pamela L. Travers il primo romanzo della serie destinata a diventare infinitamente celebre di Mary Poppins, una governante che decollava grazie al magico potere di un ombrello. E d’altra parte gli stessi fratelli Wright avevano dimostrato, 31 anni prima, come qualsiasi cosa potesse, volare a patto di disporre di aerodinamica precisa e una quantità di potenza bastante allo scopo.
Il che figurava, certamente, tra i pensieri dell’insegnante trasformatosi in pilota collaudatore Nemeth, mentre s’impegnava ad affrontare il gravoso problema della quantità d’incidenti sperimentati nel suo ambito dove frequentemente un attimo di distrazione, o manovra poco avveduta, poteva portare a un’immediata e irrisolvibile perdita di controllo del mezzo. Ragion per cui pensò di progettare, a suo modo, la versione migliorata di un biplano che poteva entrare in un garage personale, i cui comandi potessero venire impugnati con facilità dopo soltanto qualche ora di addestramento. E che praticamente nessuno, per quanto incompetente, avrebbe potuto condurre fino al punto aerodinamico di non ritorno…

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