L’erculeo marchingegno che agevola il moto retrogrado degli aerei

Il pilota del pesante Avro 683 Lancaster danneggiato dal fuoco di contraerea nemico guardò in basso verso le propaggini del Dorset, dove un piccolo aerodromo, ospitante schiere di formidabili caccia Spitfire pareva sospeso nel tempo, inconsapevole del dramma che si stava verificando quasi perpendicolarmente all’ombra dell’eroico velivolo nell’ora del suo ritorno. Due motori in avaria, la coda parzialmente tagliata da una raffica di mitragliatrici MG 131, eppure un dilemma profondo ed innegabile: poiché il capitano sapeva perfettamente che una volta atterrato nel centro di quella pista, non gli sarebbe stato più possibile spostare il suo aereo. E chi gli avrebbe garantito, allora di non essere crivellato dal fuoco dei suoi nemici? Con uno sguardo al suo primo ufficiale, e un altro dietro all’equipaggio che scrutava attentamente il cielo, prese quindi la sua decisione. Per prima cosa, avrebbe salvato chi aveva affidato la propria vita alla sua esperienza. Tutto il resto veniva dopo. Planando attentamente, mantenendo livellato il bombardiere, giunse quindi a ridosso della “pista”, nient’altro che lo spiazzo di una fattoria il cui scopo era cambiato così radicalmente nel corso di queste ultime settimane di guerra, con appena un paio di cannoni antiaereo. Le cose sembravano andare per il meglio adesso ma lui ben sapeva che se avesse tardato eccessivamente nel puntare il muso verso il basso, poteva ancora andare in stallo causando un irrecuperabile disastro, con gesto assorto, controllò ancora una volta di aver abbassato il carrello. In quel momento, drammaticamente, udì il temuto grido del mitragliere di coda: “109 all’orizzonte, il nemico ci ha seguito! Si preparano ad un passaggio a volo radente!” Adesso o mai più, pensò allora l’uomo ai comandi! Mantenendo ferma la sua mano, portò l’aereo a terra. In pochi attimi, azionando i freni, riuscì a fermarsi nel centro esatto della pista. “Tutti fuori, scappate prima che sia troppo tardi!” Pensò allora l’uomo in uniforme, ma prima che potesse dare l’ordine, vide qualcosa che usciva fuori dall’hangar improvvisato. Con sua somma sorpresa, si trattava di un doppio tiro di buoi posizionati ai lati di un attrezzo oblungo, simile a un ariete medievale. Alla testa della strana carovana, il capo delle operazioni fece un cenno agli uomini dell’Avro Lancaster, come un invito ad aspettare ancora qualche attimo, avere fiducia nelle circostanze. Gli animali si fecero più grandi, più grandi ancora ed un muggito possente riempì le orecchie degli osservatori. Mentre l’equipaggio scrutava basito dai finestrini, un improvviso tremore percorse quell’oggetto totalmente rimasto privo di forza motrice. Incredibilmente, l’aereo si stava muovendo all’indietro, verso la protezione di un piccolo bosco d’ontani. Ad un ritmo lento, ma che accelerava in modo esponenziale. Ora la formazione di quattro caccia tedeschi era perfettamente udibile, oltre che visibile nel centro del cielo di primavera. Cabrando minacciosamente, si allineò verso la pista quasi totalmente indifesa. Due strali di traccianti verdi oliva si alzarono ad incontrarli, ma mancarono clamorosamente il bersaglio. E con una manovra perfettamente eseguita, il capo della fila puntò dritto esattamente dove, fino a pochi secondi prima, si trovava il bombardiere inglese. Aprì il fuoco, colpendo… Il terreno privo d’erba o altri metallici, danneggiati orpelli ed aviatori. Gli occhi spalancanti, il capitano fece i quattro passi che lo separavano dal portellone. Con un solo gesto fluido, aprì la maniglia e guardò cosa c’era all’altro lato. Il padrone della fattoria, sorridente, alzò la mano destra per salutarlo mentre si fumava una sigaretta. Con la sinistra, pensierosamente, accarezzava le corna di colui che allegramente brucava l’erba della cara vecchia Inghilterra.
La soluzione pratica, di un problema evidente, a cui stranamente nessuno aveva mai pensato. Fino al momento in cui, nella prima epoca di operazioni aeronautiche realmente complesse, i campi di volo della seconda guerra mondiale iniziarono a farsi veramente affollati. Ed allora fu evidente come la questione non potesse essere in alcun modo ignorata: perché gli aerei non avevano una marcia indietro veramente funzionale, e non l’avrebbero mai potuta avere. In quale modo, dunque, sarebbe stato possibile organizzarne il parcheggio in schiere affollate, entro spazi stretti non sempre utili ad effettuare le manovre di parcheggio giudicate di volta in volta necessarie? L’unica soluzione possibile, fin dall’inizio, fu dettata dalle circostanze esistenti. Poiché molti dei luoghi di decollo ed atterraggio, fino a quel momento, erano stati tratti dagli antichi contesti agricoli ed ambiti rurali. Quindi chi o cosa, meglio degli agricoltori stessi, avrebbero potuto fornire i mezzi necessari ad operare in tal senso… Qualunque trattore possa spingere un aratro, può riuscire ad operare in modo analogo per quanto concerne il tipico oggetto volante. E nella peggiore delle ipotesi, c’erano sempre gli animali…

Non c’è in linea di principio alcun limite all’imponenza dell’aereo spostabile mediante l’uso di un pushback, purché si abbia una pazienza commisurata al suo peso. Elementi ambientali, come pioggia, ghiaccio o neve, possono tuttavia bloccare del tutto le operazioni.

Parlare oggi di un trattore aeroportuale, tuttavia, significa riferirsi ad un qualcosa di estremamente specifico. Ovvero il mezzo di trasporto basso e piatto, con grosse ruote sproporzionate e qualche volta una cabina di guida con quella forma squadrata che parrebbe essere stata disegnata da un bambino. Alimentato con benzina diesel o in tempi moderni un potente motore elettrico, ma sempre capace di generare una forza motrice notevole, essendo il suo ruolo principale quello di riuscire a far muovere oggetti molto più pesanti ed ingombranti di lui. In tal senso il tipico pushback, o tug come lo chiamano negli ambienti anglofoni, altro non costituisce che l’equivalente nel campo dell’aviazione della tipica pilotina navale, un vero mostro di potenza all’interno di una confezione straordinariamente compatta, guidato da utilizzatori capaci di vantare una notevole abilità e senso di responsabilità proporzionato alle mansioni che si trovano, di volta in volta, ad assecondare. Questioni di tutti i giorni come allontanare un pesante aereo di linea dal terminal, senza che quest’ultimo debba invertire di 180 gradi la spinta dei suoi motori a jet, con conseguenze fin troppo facili da immaginare sull’alto e lucido edificio antistante. Oppur correggere l’esatto punto in cui si era fermato un pilota disattento, lasciando che le punte delle proprie ali sconfinassero nell’area riservata al suo eventuale vicino. Per non parlare delle situazioni meno imprescindibili, ma altrettanto importanti nell’economia di un moderno e gremito ambito aeroportuale. Ve l’immaginate infatti il rumore, e l’inquinamento che potrebbero gravare sugli immediati dintorni, se ogni singolo aereo, per qualsiasi spostamento tra le diverse aree di carico o di sosta, si mettesse ad accendere l’interezza dei suoi plurimi motori a reazione? E tutto questo senza entrare neppure nel merito del consumo di carburante, fondamentale croce e fondamento del modus operandi di qualsiasi compagnia aerea. Così che l’impiego dei trattori di spinta è diventato, nel moderno galateo aeronautico, un importante servizio di cui non è semplicemente possibile fare a meno. Richiesto direttamente alla torre di controllo, dietro il pagamento di somme variabili a seconda del luogo in cui ci si trova, e secondo modalità e tempistiche attentamente definite dal pilota stesso, i cui ordini verranno eseguiti pedissequamente dal personale di terra, facente parte del sacro ordine del personale di rampa.
Il tipico pushback può essere quindi sostanzialmente di due tipologie distinte, la prima tradizionale e la seconda molto più moderna, versatile e semplice nella modalità d’impiego. La prima eventualità, ancora di gran lunga la più diffusa, prevede l’impiego di un apposito gancio posizionato sulla ruota frontale di tutti gli aerei contemporanei, concepito per sostenere la spinta di una sbarra o towbar, elemento longilineo e direzionabile utilizzato dalla pilotina veicolare per far muovere o girare l’aereo. La quale a sua volta assicurata di volta in volta all’altra estremità nell’apposito alloggiamento, poiché ne esistono di vari tipi a seconda del velivolo da assistere, viene usata come il bastone di un bambino che spinge uno pneumatico, con non meno abilità ed attenzione al sempre fragile rapporto tra causa ed effetto. In questa particolare accezione, il pushback ha necessità di essere straordinariamente pesante al fine di mantenere al massimo la trazione nonostante il peso dell’aereo, obiettivo normalmente raggiunto tramite l’impiego di un’apposita zavorra, spesso composta da blocchi di cemento, che può tranquillamente raggiungere e superare le 50 tonnellate nel caso dei trattori più grandi. Il che richiede un motore all’interno, indipendentemente dal sistema di alimentazione scelto, capace di erogare una quantità variabile tra i 500 ed i 700 cavalli. Il che potrebbe anche sembrare un’esagerazione (non è forse vero che determinati strongmen, per brevi tratti, hanno spostato aerei di linea utilizzando soltanto la forza dei propri denti?) ma quando si opera coi margini temporali e di guadagno stretti come quelli del mondo dell’aviazione, ogni secondo risparmiato può riuscire a fare la differenza. Inclusi quelli necessari a scegliere, agganciare e posizionare di volta in volta la towbar. Ed ecco dunque l’origine del più attuale tipo di trattori aeroportuali, del tutto privi di tale elemento perché basati su un principio radicalmente diverso, secondo linee guida dettate inizialmente in via sperimentale già nel 1967 dalla compagnia oregonense LEKTRO. Il sistema usato dal trattore TBL (towbar-less) per sostituirsi alla forza motrice dell’aereo prevede, infatti, che quest’ultimo salga semplicemente sulla piccola rampa integrata nella parte frontale del veicolo. Per essere quindi sollevato da un possente sistema idraulico a pochi centimetri da terra, abbastanza perché la sua ruota frontale, senza particolari difficoltà, sia del tutto subordinata all’intento motrice del veicolo sottostante (generalmente, per l’appunto, elettrico) che potrà perciò spostarlo nella nuova posizione desiderata. I vantaggi in tale approccio sono significativi, non ultimo quello di poter fare a meno della zavorra, semplicemente perché a questo punto sarà il peso stesso dell’aereo a gravare sul pushback, dotandolo di tutta la trazione necessaria a compiere la sua missione.

L’uso di un sistema telecomandato può semplificare notevolmente le cose, aggiungendo tuttavia una serie di potenziali problemi. Chi garantisce infatti che il pilota stesso, soprattutto se amatoriale, sia del tutto responsabile nell’implementare le sue manovre?

Ulteriori margini di perfezionamento, allo stato attuale delle cose, sono sottoposti ad un continuo processo d’invenzione, ricerca e sviluppo. Tra cui quello progettato dalla Divisione di Lahav delle Industrie Aerospaziali Israeliane, nome commerciale Taxibot, che vanta un’integrazione diretta e straordinariamente sofisticata coi comandi dell’aereo stesso, eliminando in tal modo l’eventualità di un possibile errore umano da parte del personale di terra. Un altro approccio è quello del sistema del radiocomando, particolarmente conveniente nel caso dei piccoli aerei, che permette all’operatore di osservare l’aereo da ogni punto ed angolazione possibile prima di dare inizio alla sua manovra, soprattutto all’interno dello spazio relativamente angusto di un hangar, potenzialmente gremito di operatori ed altri velivoli che si preparano al rispettivo decollo. Approccio attualmente al semplice stadio sperimentale, ma che promette di diventare molto interessante nei prossimi anni, è quello della WheelTug della compagnia canadese Borealis Exploration, un letterale compatto motore elettrico da agganciare alla ruota frontale stessa, idealmente capace di fornire energia motrice sufficiente a far spostare l’aereo senza accenderne necessariamente i motori. Ciò grazie all’alimentazione fornita dall’APU stesso facente parte dell’aeromobile, normalmente utilizzato come elemento fondamentale del suo processo di avviamento. Un sistema particolarmente futuribile che il CEO e dentetore dei diritti Isiah Cox ha garantito potrà entrare in produzione entro la fine del 2021, con una possibile inclusione a scopo dimostrativo all’interno del popolare videogioco Microsoft Flight Simulator. Forse immaginando di poter offrire in questo modo una soluzione più semplice per gli sviluppatori, che in realtà hanno già aggiunto un sistema di rendering del pushback convenzionale perfettamente realizzato in ogni suo possibile dettaglio.
Ma il processo immaginifico e simulativo non potrà mai dirsi veramente completo finché qualche creativo videoludico, potendo fare affidamento su tecnologie avanzate, potrà dire di aver ricostruito a tutti gli effetti la muggente soluzione muscolare di un tiro di buoi. A ulteriore riconferma che i cari vecchi metodi, pur essendo i più diretti, risultano inerentemente difficili da simulare in un modo che possa dirsi al 100% efficace. Forse perché nessuno ha mai pensato di chiedere, né farsi aiutare, dalle vecchie generazioni.

L’effettivo metodo di funzionamento di una sbarra di spinta aeronautica è sorprendentemente complesso, includendo anche sistemi per il suo sollevamento e trasporto fino al luogo d’impiego, prima che siano le semplici leggi della fisica a determinare la sua interazione con il carico e il trattore.

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