Il titano di Buffalo, municipio degno di simboleggiare il mutamento del canone statunitense

Associare lo stato di New York al concetto di grattacielo evoca immediatamente immagini dell’isola di Manhattan, zoccolo di roccia metamorfica che ad oggi fa da basamento al singolo conglomerato di edifici più notevoli di tutto l’emisfero occidentale. In un’epoca coéva, d’altra parte, l’idea di costruire un palazzo in grado di rivaleggiare con la spropositata imponenza dei paesaggi naturali affascinava molti, altri luoghi negli Stati Uniti avevano iniziato a muoversi nella saliente direzione, per manifestare l’intenzione di potersi trasformare in vaste e tentacolari metropoli, ammesso e non concesso che da ciò potesse scaturire l’espressione ideale della convivenza umana. Da un simile punto di vista la città di Buffalo, con una popolazione che negli anni ’30 del Novecento era circa il doppio delle 270.000 anime allo stato attuale, presentava un incentivo ulteriore; quello di trovarsi posizionata, nel punto mediano tra i laghi Erie ed Ontario, in un punto di collegamento strategico con l’antistante Canada, volendo anche per questo diventare il simbolo di un’industria in corso di trasformazione e l’incremento della prosperità collettiva in crescita costante. Qualcosa che fu visto degno di ricevere un maestoso tempio, destinato a sorgere nel giro di appena tre anni. Punto d’inizio, e d’arrivo al tempo stesso…
Insediamento nato nel 1797 successivamente all’acquisto da parte dei coloni di un villaggio delle tribù irochesi, qui esso aveva visto applicare un coerente adattamento dello stile architettonico sul modello europeo, tanto efficacemente impiegato mezza decade prima nella costruzione della Washington di Pierre l’Enfant. Laddove il collega Joseph Ellicott, sfruttando l’espandersi di un sistema di strade a raggera dalla piazza centrale di Niagara Square, aveva previsto un intercalare di parchi equidistanti ed isolati complementari, ciascuno dedicato all’espressione di un diverso aspetto della vita cittadina. Ed al centro di tutto, spazio per quella che sarebbe diventata un giorno la casa del popolo, un edificio amministrativo monumentale d’imponente e distintiva composizione. Mentre la città continuava a crescere, tuttavia, l’obiettivo sarebbe stato rimandato più volte, fino all’acquisto da parte dell’amministrazione nel 1871 di uno slargo presso il mozzo della ruota ideale, ove sarebbe sorto un palazzo di granito in stile neo-gotico dell’architetto Andrew Jackson Warner, con tanto di torre dell’orologio alta sette piani. Non ci volle molto tuttavia affinché il rapido incremento della popolazione rendesse tale sede municipale eccessivamente angusta, incoraggiando appena mezzo secolo dopo la costruzione di una nuova sede municipale dalle proporzioni maggiorate. Ma le regole del “gioco”, nel frattempo, avevano subìto un cambiamento di significativa rilevanza. Chiamati a tal fine gli architetti George J. Dietel and John Wade, fu deciso quindi che il palazzo sarebbe sorto nello stile simbolo del nuovo paradigma, l’Art Decò diventato popolare grazie all’opera d’innumerevoli ingegneri, progettisti e fautori della rivoluzione dei canoni visuali vigenti. Esso sarebbe stato inoltre, in maniera quasi incidentale, assolutamente immenso…

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Arcobaleno di una torre di maioliche, ovvero la maestà del Buddha nell’alto castello

Notevole prodotto dell’architettura dell’Estremo Oriente, le pagode rappresentano un’evoluzione dello stupa indiano con sviluppo verticale aumentato, dotate di funzione rappresentativa non del tutto dissimile dalle torri campanarie delle nostre chiese o cattedrali. Dal Giappone alla Thailandia, dalla Cambogia alla Birmania, ciascuna di esse costituisce la rappresentazione ideale di un modo idoneo ad onorare Dei, Buddha e Bodhisattva, o in casi più rari offrire un mero punto panoramico ai visitatori di un sito turistico o centro commerciale. Ben pochi luoghi in tutta l’Asia, d’altra parte, possono vantare il profilo iconico e l’aspetto impressionante della torre a padiglioni sovrapposti di Feihong, facente parte del complesso religioso dell’antico tempio di Guangsheng. La cui costruzione riesce ad essere talmente antica, con datazione acclarata al nostro 147 d.C, ovvero il primo anno di Jianhe, che all’edificazione dell’attuale edificio nel corso della dinastia Ming le sue iterazioni precedenti erano state già distrutte, e ricostruite almeno una mezza dozzina di volte. A partire da quando l’Imperatore Huan, 27° della dinastia degli Han, optò di celebrare la spiritualità del regno poco dopo il proprio accesso al trono, costruendo un luogo di venerazione e insegnamento nei dintorni montani della città di Linfen, nella provicina dello Shanxi. Dal che nacque il tempio allora chiamato di Ashoka, in quanto vi veniva venerato il sovrano indiano dell’Impero dei Maurya che aveva ricevuto la benedizione del Buddha storico, assieme ad altre manifestazioni del supremo protettore e ispiratore della collettività umana. Tra sale superiori, inferiori ed almeno una singola torre a tamburo, che si rivelò più volte insufficientemente solida per poter resistere ai frequenti terremoti della regione. Questo almeno finché in epoca molto più recente, durante il  decimo anno di Zhengde della dinastia Ming (1515) il monaco Darian supervisionò all’edificazione di un edificio dal concetto e fondamenta particolarmente sofisticate, la cui solidità si sarebbe rivelata in seguito del tutto esemplare. Il suo nome sarebbe diventato quello di pagoda Feihong, con riferimento a una pronuncia alternativa del suo stesso nome che scritta in maniera differente (飞虹) poteva acquisire il significato altamente poetico di “Arcobaleno Volante”. Per una ragione facilmente motivabile costituendo tale sito una delle quattro pagode antiche della Cina nonché uno splendente esempio della tecnica di rivestimento con maioliche smaltate di un edificio, utilizzate non soltanto al fine di proteggere la struttura in legno interna ma anche ornarla con statue, figure e immagini variopinte collegate alle storie della religione del Dharma. Così che alla luce diretta del sole, colpita con la giusta angolazione dai suoi raggi, può vantare una colorazione che vira dal blu al bianco, all’ocra, al marrone, al verde, giallo e nero. Diventando l’equivalente di un faro alto 47 metri, verso la rotta che può e dovrebbe condurre all’illuminazione…

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Le insospettate meraviglie architettoniche della metropolitana di Wuhan

È l’aspetto della cultura cinese contemporanea meno conosciuto da coloro che non hanno visitato quel paese, mantenendo fermo nella mente lo stereotipo di uno stile decorativo tradizionalista, rigido nelle applicazioni, appannaggio del pubblico dominio e strettamente limitato dall’aderenza ad una serie di modelli imposti dall’alto. Idea ben presto sovrascritta da un rapido vaglio del tipo di materiale disponibile online, valido a ridefinire la tipica megalopoli del regno di Mezzo come un qualcosa di fuoriuscito direttamente da un film di fantascienza o il tipico romanzo cyberpunk. Ciò principalmente per il modo in cui si è soliti da queste parti coniugare antico e moderno, giungendo a generare un’interpretazione altamente riconoscibile di quello che può essere chiamato “idoneo” a determinare il principale carattere di una nazione. Al punto che persino l’infrastruttura civile, in modo particolare negli ultimi vent’anni, ha raggiunto un livello di presentazione al pubblico finalizzato a comunicare una precisa gamma di reazioni, riassumibili nel quieto senso di soddisfazione che tende a trasformarsi, gradualmente, nell’orgoglio di far parte di una determinata collettività viaggiante. Da un lato all’altro di Wuhan, tanto per fare un esempio, la popolosa capitale della provincia di Hubei. 13 milioni di persone dislocate in poco più di 8.400 Km, in questo luogo sfortunatamente celebre in Occidente come punto d’origine della pandemia da Covid che sconvolse il mondo pochi anni fa. Tanto che potrebbe anche lasciare un certo senso di sorpresa, prendere atto di quali e quante opere di rinnovamento siano state portate a termine nel corso dell’ultima mezza decade, in una maniera in grado di colpire, ancora una volta, la fantasia della mente collettiva incernierata nei sottosistemi di questo Web. Internet ovvero un luogo dedicato a viaggi virtuali, telecamere fluttuanti e riprese dirette in grado di sfatare, o alternativamente accentuare, gli assunti persistenti poco dietro i monitor e le tastiere. Ecco allora l’ipotetico turista, come anche l’individuo giunto in questi lidi per studio e/o lavoro, sperimentare una dopo l’altra le notevoli bizzarrie disseminate lungo il corso dell’ormai celebre Linea 5, l’ultima aggiunta del sistema metropolitano in grado di costituire la maturità evidente dei crismi progettuali e priorità estetiche di questa tipologia di servizi in Cina. Aperta nel dicembre del 2021, con significativo entusiasmo mediatico e partecipazione pressoché immediata ed altresì spontanea di una fetta significativa degli abitanti, all’entusiasmo per così dire istituzionale nei confronti dei crismi architettonici percorsi fino alle più estreme conseguenze…

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La sacra coppa che fu perduta e ritrovata, diventando l’emblema museale d’Irlanda

“Sbrigati, il bastione del forte non terrà ancora per molto!” Il giovane Coll, con il lungo coltello stretto nella mano sinistra, in assenza del fodero lasciato in casa nella fretta di raggiungere il rath, guardava ansiosamente verso la porta dell’oratorio quadrangolare in legno lavorato, mentre il fratello Sean, secondo aiutante del sacerdote del villaggio, apriva l’armadio con i paramenti, tirandone fuori il calyx ministerialis, singolo oggetto più sacro dell’intero insediamento. Costoro erano i due più giovani membri della milizia e figli di famiglia nobile, inviati a svolgere il doloroso compito proprio perché ritenuti, a torto o ragione, i meno utili nel breve assedio che stava per cominciare contro i razziatori provenienti dal golfo di Corryvreckan, forse gli stessi che avevano attaccato il celebre monastero di Lindisfarne. Uomini spietati, vestiti di metallo e con alti elmi conici, che secondo le storie dei viaggiatori molti avevano iniziato a chiamare i “vichinghi”. Uscendo in tutta fretta dal basso e finemente ornato edificio, Coll fece segno di fermarsi, mentre osservava di sfuggita per un’ultima volta il meraviglioso oggetto, donato con gran sfarzo al capoclan di Ardagh dal suo Re legittimo, a seguito dell’aiuto ricevuto nell’ultima campagna militare con il tuatha (piccolo dominio) confinante. La coppa usata per dire messa, e principalmente costruita in argento, oro, bronzo e vari smalti colorati, conteneva una quantità di altri metalli che nemmeno in due, sarebbero stati in grado d’identificare al di là di ogni ragionevole dubbio. Ed in quel giorno fatidico, nel sesto mese del 723° anno dalla morte e resurrezione di Nostro Signore, essa sarebbe stata sepolta, per salvarla dal pericolo più grande: quello di cadere in mano a predatori spietati ed infedeli, per finire tra i tesori di una stretta e lunga nave di ritorno nell’oscuro settentrione innevato. Così Sean, guardandolo dritto negli occhi, fece un cenno inequivocabile, verso la fossa già preparata coi principali oggetti di valore dell’insediamento. Proprio lì sotto la vecchia quercia, dove un altro calice di bronzo si trovava in attesa, assieme a vari gioielli tra cui le grandi spille circolari dei due esattori delle tasse, inviati qui dal sindaco prima di prendere anche loro le armi. Con la massima deferenza, i fratelli posarono la reliquia tentando d’ignorare i suoi della terribile e disperata battaglia. La vanga, d’altra parte, era ancora lì accanto. Quindi una volta completata l’opera Coll, impugnando saldamente il coltello, alzò lo sguardo oltre le mura circolari del rath: già la punta di un’ascia ed una spada sporgevano oltre il bordo della palizzata. Suo fratello aveva in mano un piccolo arco da caccia, materializzatosi chissà da dove. Era l’ora di tentare il tutto per tutto, dimostrando la propria forza d’animo e convinzioni contro i barbari alle porte della civiltà. A Dio piacendo, nella speranza di essere presi come schiavi e forse, un giorno, ritornare a conoscere la libertà. E forse tornare fino a qui, uomini diversi. E ancor più saldi nella propria fede nei confronti della Provvidenza.
Lieta e pacifica, l’Isola Verde probabilmente non lo era più stata, fin dal posizionamento dei primi vessilli sulle alte colline, strumenti validi all’aggregazione di gruppi sociali in grado di riconoscersi in un antenato comune, con la ferma intenzione di combattersi per delineare i limiti dei propri territori. Ma il tipo di crudeltà e conflitti che questi abitanti poterono sperimentare per la prima volta attorno al sesto e settimo secolo, assieme al resto delle isole britanniche, furono di un tipo e una portata totalmente diverse. Tale da giustificare, in più di un caso, il tentativo di seppellire i propri averi più importanti, nella speranza di un domani migliore. Un giorno che talvolta non aveva proprio alcun modo, né ragione di venire a manifestarsi…

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