Oh, pregiato porco degli abissi! Sincretico, stupendo squalo suino!

Nel vasto e largamente sconosciuto mare d’Internet, ogni sorta di bizzarra situazione sembrerebbe aver trovato il modo di verificarsi. Incluso il caso giunto alle sue conseguenze finali, di un individuo forse troppo persuasivo capace di proporre ai suoi seguaci d’investire molte migliaia di dollari in un bizzarro “gioco” a base di NFT, l’equivalente ancora più volatile dei Bitcoin, per incrociare e far venire al mondo ibridi animali digitalizzati, ciascuno univoco e irriproducibile grazie al miracolo criptato della blockchain. Eppur nemmeno a Logan Paul, l’ex-wrestler, pugile, YouTuber, speaker motivazionale accusato di truffa nelle scorse settimane per l’originale iniziativa inconcludente del CryptoZoo, sembra essere venuto in mente d’includere nel suo canale il risultato di un simile singolare esperimento: l’effettiva commistione genetica, per lo meno in apparenza, del patrimonio genetico appartenente a due specie nettamente distinte. Una di terra e l’altra acquatica. La prima erbivora, la seconda di un carnivoro obbligato e spiccatamente predatorio. Il maiale tondeggiante e flaccido; lo squalo ruvido, inflessibile, spigoloso. In un solo termine prestato dalla lingua inglese, rough – grezzo, che è poi l’aggettivo comune utilizzato assieme al nome di categoria per l’intero genere tassonomico degli Oxynotus, compatte creature dei fondali più remoti dell’Oceano Atlantico e non solo, caratterizzate da un volto che ben pochi potrebbero essere inclini a dimenticare anche dopo il più sfuggente e transitorio degli sguardi. Come certamente può essere effettivamente capitato, a molti dei presenti, nella scorsa ed iper-documentata casistica del ritrovamento di un esemplare di O. centrina presso la darsena medicea di Portoferraio sull’Isola d’Elba, per la seconda volta nel settembre del 2021. Il “bizzarro mostriciattolo” o “muppet pinnuto” in grado di spiccare, tra tutti gli articoli di fondo su strane creature naturale, per l’assenza di approfondite trattazioni al di là di qualche dato generico sulle misure o abitudini ecologiche del pesce in questione. Il che non può costituire certamente un mero incidente, quando si considera l’effettiva penuria di studi scientifici sull’argomento, al punto che una breve osservazione scientifica sul campo per qualche decina di minuti nel Mar di Marmara in Turchia, nel 2009 (cit. Hakan Kabasakal) era stata ritenuta degna di essere pubblicata sulla Rivista Pan-Americana delle Scienze Acquatiche. Perché certo, non è facile trovarsi casualmente al cospetto di un pesce che vive normalmente al di sotto dei 50 metri di profondità e fino a un massimo di 660, mentre avviene più frequentemente di pescarlo per errore con le proprie reti a strascico, eventualità certamente meno propedeutica in materia d’approfondimenti e comunque anch’essa relativamente rara, data l’abitudine dei pescatori dell’Europa Occidentale a ributtarlo rapidamente in mare, causa la diffusa credenza che possa in qualche modo costituire una fonte d’influenza negativa sulla propria fortuna. Nonostante l’espressione dell’alieno appaia non del tutto priva di un latente senso di dolcezza e magnanimità, a chiaro beneficio di chiunque o qualunque cosa risulti eccessivamente grande da poter passare per le sue fauci prevedibilmente ricche di affilate piccole zanne. Molto più di quanto possa essere affermato sul tema dei loro più aggressivi cugini…

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Squalo a squalo vede l’occhio, fluorescente. E una catena che l’avvolge strettamente

La vasca ben illuminata con la luce azzurra dell’acquario era esposta in una grande sala, con lo spazio per girarvi attorno agevolmente. Bassa e rettangolare, difficilmente superava l’altezza della vita degli addetti alla manutenzione e per quanto riguardava i bambini, era comunque possibile affacciarsi dall’altezza del petto per scrutarvi dentro dall’alto… E non solo. “Avanti, accarezzateli pure.” Disse la guida assegnata al loro gruppo, sorridendo all’indirizzo dell’insegnante. Quindi volse lo sguardo alle affusolate forme che vagavano al di sotto del pelo della superficie: “…Non mordono.” Titubando lievemente, il gruppo dei più coraggiosi fece un passo sotto la diffusa luce della lampada a infrarossi. Ed il capo meno timido, l’organizzatore di una vasta quantità di scorribande in giro per la scuola, immerse la sua mano per accarezzare la creatura all’interno. Che non era, come si potrebbe essere indotti a pensare, un grasso e variopinto esempio di koi, bensì la freccia lanceolata del carnivoro per assoluta definizione: un pesce lungo circa 36 centimetri, la bocca semi-aperta ad aspettare la sua ricompensa. Squalo delle circostanze e squalo sotto ogni punto di vista rilevante, che brillava tenuamente come una soave apparizione degli abissi marini. Assieme a sei dei suoi compagni, ciascuno riconoscibile dalla particolare configurazione delle macchie sopra il dorso, elegantemente inanellate l’una all’altra. Avvicinandosi e sostando sotto l’amichevole contatto di quella mano, il pinnuto nuotatore si fermò a guardarlo dritto in volto coi suoi occhi tondeggianti e spalancati. Soltanto in seguito, l’alunno avrebbe detto agli altri di aver percepito chiaramente con l’orecchio della mente il familiare suono: “Meow!”
Il chain catshark (squalo gatto incatenato, a causa della sua livrea caratteristica) o Scyliorhinus retifer dell’Atlantico Settentrionale viene in effetti così chiamato per la configurazione del suo muso ma anche l’indole mansueta e timida che lo caratterizza, sia in cattività che nei rari casi d’incontro con gli umani nei suoi effettivi habitat d’appartenenza. Episodi tutt’altro che scontati, vista la profondità ideale della specie che si aggira tra i 70 e 500 metri, dove è solito nascondersi presso il fondale sfruttando gli elementi discontinui come asperità, anemoni o relitti di navi. Da cui si scosta quotidianamente per andare a caccia, delle prede in genere rappresentate da pesci più piccoli, vermi policheti e crostacei di varia natura. E nelle più salienti circostanze che ricorrono a partire dal raggiungimento dell’età riproduttiva e lo sviluppo degli pterigopodi prensili nel maschio, al fine di trovare la perfetta controparte verso cui manifestare tutto il proprio naturale desiderio di produrre una prole. Il che presume, prima di ogni cosa, che i due spasimanti riescano effettivamente a trovarsi, fattore tutt’altro che scontato nelle vastità profonde degli oscuri abissi marini. Così che proprio a tal fine, riesce a fare la sua parte un’intrigante idea evolutiva: la biofluerescenza che caratterizza le creature, grazie all’uso di un pigmento sulla loro pelle ricoperta di dentelli ruvidi, capace d’immagazzinare ogni minima fonte di luce e trasformarla in un caratteristico colore verde, caratterizzato da una tenue dose di brillantezza. Ad accorgersene sono stati, alquanto tardivamente, gli autori di uno studio del 2016 (David F. Gruber, Ellis R. Loew et al.) che pensarono di andare oltre, al fine di tentare di scoprire COME esattamente questi squali potessero vedersi l’un l’altro…

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Incontri ravvicinati con lo squalo rimasto immutato dall’epoca del Giurassico inferiore

Giustificata può sembrarci l’ipotesi secondo cui gli abissi marini siano abitati essenzialmente da due sole tipologie di creature, entrambe dalle dimensioni superiori alle nostre: quelle che potrebbero facilmente mangiarci, e se soltanto gli viene concessa l’occasione sono pienamente disposte a farlo, e quelle che invece non ne possiedono l’abilità inerente, e proprio per questo, non provano neppure a farlo. Quando l’esperienza ed il comportamento messo in atto da parte del visitatore nel qui mostrato frangente, riscontrato dall’equipaggio del sottomarino/batiscafo a bolla di classe Triton, “Nadir”, appare perfettamente valido nel confermare come soltanto perché qualcosa normalmente non succede, questo non riesce ad escludere del tutto la sua imprescindibile plausibilità nell’incerto proseguire dei giorni. Siam qui in effetti a largo dell’isola di Eleuthera, durante il viaggio esplorativo della nave OceanX nell’ottobre del 2019, vascello protagonista dell’omonima iniziativa oceanografica finanziata dal magnate dell’alta finanza Ray Dalio, con l’obiettivo dichiarato di “Fotografare gli abissi e riportarli di fronte allo sguardo di coloro che si trovano in superficie.” Abissi popolati da creature come il qui presente impressionante esemplare dall’aspetto preistorico di Hexanchus griseus, lo squalo che siamo abituati a chiamare in Italia capopiatto, sei branchie o pesce vacca, secondo le occasionali osservazioni verificatesi a più riprese nello stretto di Messina. Creatura con distribuzione nei fatti globale negli ambienti dalle acque temperate, le cui considerevoli dimensioni di fino a 6,1 metri bastano a farne uno dei predatori rappresentanti della sua classe più imponenti, capace di rivaleggiare con il giustamente temuto Carcharodon carcharias, il grande squalo bianco. Ma che risulta essere, rispetto ad esso, molto più raro in tutti gli habitat di provenienza, solitario e soprattutto incline ad abitare profondità superiori ai 1000 metri tali da non incontrare semplicemente alcun tipo d’invitante spuntino umano, intento a mantenersi sereno praticando una piacevole (?) nuotata.
Ecco dunque presentarsi l’astrusa scena, nel quadro tenebroso di un ampio spazio abissale, in cui la sagoma vagamente riconoscibile di questo vero e proprio fossile vivente sembra palesarsi all’improvviso di fronte alle telecamere dei tre membri dell’equipaggio del piccolo sottomarino, che sembrerebbe averne richiamato l’attenzione attraverso l’impiego di esche sanguinolente e lo stesso propagarsi luccicante del suo potente faro d’ordinanza. Con uno scopo in realtà nobile consistente nell’applicazione di una targhetta di tracciamento, del tipo destinato a studiare il comportamento e lo stile di vita di questa creatura sostanzialmente ignota alla scienza, le cui abitudini potrebbero chiarire l’effettivo processo che ha portato attraverso i millenni all’attuale aspetto di tutte le altre specie di squalo. Finalità già praticata in precedenza a partire dagli anni ’90, previa cattura e trascinamento di sfortunati esemplari fino alla superficie, un’esperienza considerata particolarmente traumatica, e potenzialmente accecante o letale, per questi esseri normalmente placidi ed abituati a sopravvivere nell’oscurità pressoché totale. Fondamento essenziale dell’idea, fortemente voluta dal team di naturalisti formato da Dean Grubbs, Edd Brooks e Brendan Talwar, per effettuare la stessa procedura mediante l’impiego di un fucile a fiocina puntato e fatto sparare dall’interno del trasparente veicolo, proprio laggiù dove questi esseri sono soliti trascorrere le loro predatorie giornate. Un compito che potremmo definire, a dire il vero, più facile in via teorica che nell’esplicita manifestazione della realtà…

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Registrata l’ultima frontiera della manta della Nuova Caledonia

Cosa fa di un pesce, quello che è? Le lunghe pinne cefaliche, simili a corna demoniache coadiuvate da una coppia d’ali grandi e triangolari. La bocca dalla forma ovale, quasi sempre spalancata per assimilare il plankton che viene trasportato dai grandi flussi del mare. La coda con l’aculeo in fondo, in grado di causare intense sofferenze per il veleno contenuto al suo interno. Di certo questo è un animale inusuale. Eppure tutti riconoscono, in maniera semplice nonché sommaria, la forma estremamente iconica delle grandi appartenenti al super-ordine dei Batoidea. Esseri che volano, metaforicamente o materialmente, soprattutto nel caso degli esemplari più piccoli che saltano sopra le onde, durante la loro migrazione che li porta fin dentro il golfo sul Pacifico del Mare di Cortez. Ma di esseri simili, come spesso succede per il funzionamento tassonomico degli ambienti marini, ve ne sono di simili a ogni possibile distanza planetaria, ivi inclusa l’area agli antipodi dei territori un tempo colonizzati dai francesi ad est del continente australiano. Nuova Caledonia (l’isola) intorno alla quale, come parte molto significativa di un vasto aerale, prospera la Mobula alfredi, manta della barriera corallina o seconda appartenente per le dimensioni a questa vasta aggregazione d’esseri, tanto simili e così distanti da ogni altra forma di vita dei loro ambienti. Essere recentemente ri-classificato con il suo nome direttamente prelevato da quello del figlio della regina Vittoria, assieme alla cugina maggiore Mobula birostris, all’interno della stessa famiglia delle ben più piccole M. Monkiana e Japonica del succitato ambiente californiano , dopo aver preso coscienza dell’effettiva somiglianza di particolari caratteristiche anatomiche e abitudini comportamentali. Fatto sta che il nostro svolazzante amico, con un’apertura alare di fino 5 metri ma un peso in grado di superare appena i 7-8 Kg, sembra preferire ai tentativi di spiccare letteralmente il volo presumibilmente impiegati dai suoi simili come parte di un complesso rituale d’accoppiamento, un diverso tipo di approccio esplorativo delle circostanze, finalizzato a un obiettivo totalmente differente: sopravvivere, nonostante i presupposti meno favorevoli di un tempo.
Prima di addentrarci ulteriormente nella questione, dunque, sarà opportuno osservare come questa specifica popolazione di mante appartenenti al Pacifico meridionale presenti un comportamento e caratteristiche diversi anche da quello della stessa specie in altre regioni geografiche, tra cui l’abitudine a formare gruppi di appena 10-12 individui, contro le letterali centinaia, se non migliaia d’individui normalmente facenti parte di un singolo gruppo di aggregazione e protezione reciproca dei predatori. Il che assieme ad altri tratti distintivi ha sempre lasciato perplessi gli scienziati, almeno fino all’ultimo studio pubblicato da Hugo Lassauce e colleghi entro il catalogo della Public Library of Science lo scorso marzo, frutto di un lungo lavoro di tracciamento portato a termine mediante l’impiego di dispositivi elettronici attaccati ai singoli esemplari. Il che ha permesso di scoprire, non senza legittimo stupore, le ripetute immersioni notturne di queste creature fino alla profondità di 672 metri, dove almeno in linea di principio, si pensava non potessero neppure aspirare ad arrivare. Il tutto non per un bisogno di scoperta ed avventura. Bensì le assolute ragioni, del tutto imprescindibili, della biologica necessità…

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