Incontri ravvicinati con lo squalo rimasto immutato dall’epoca del Giurassico inferiore

Giustificata può sembrarci l’ipotesi secondo cui gli abissi marini siano abitati essenzialmente da due sole tipologie di creature, entrambe dalle dimensioni superiori alle nostre: quelle che potrebbero facilmente mangiarci, e se soltanto gli viene concessa l’occasione sono pienamente disposte a farlo, e quelle che invece non ne possiedono l’abilità inerente, e proprio per questo, non provano neppure a farlo. Quando l’esperienza ed il comportamento messo in atto da parte del visitatore nel qui mostrato frangente, riscontrato dall’equipaggio del sottomarino/batiscafo a bolla di classe Triton, “Nadir”, appare perfettamente valido nel confermare come soltanto perché qualcosa normalmente non succede, questo non riesce ad escludere del tutto la sua imprescindibile plausibilità nell’incerto proseguire dei giorni. Siam qui in effetti a largo dell’isola di Eleuthera, durante il viaggio esplorativo della nave OceanX nell’ottobre del 2019, vascello protagonista dell’omonima iniziativa oceanografica finanziata dal magnate dell’alta finanza Ray Dalio, con l’obiettivo dichiarato di “Fotografare gli abissi e riportarli di fronte allo sguardo di coloro che si trovano in superficie.” Abissi popolati da creature come il qui presente impressionante esemplare dall’aspetto preistorico di Hexanchus griseus, lo squalo che siamo abituati a chiamare in Italia capopiatto, sei branchie o pesce vacca, secondo le occasionali osservazioni verificatesi a più riprese nello stretto di Messina. Creatura con distribuzione nei fatti globale negli ambienti dalle acque temperate, le cui considerevoli dimensioni di fino a 6,1 metri bastano a farne uno dei predatori rappresentanti della sua classe più imponenti, capace di rivaleggiare con il giustamente temuto Carcharodon carcharias, il grande squalo bianco. Ma che risulta essere, rispetto ad esso, molto più raro in tutti gli habitat di provenienza, solitario e soprattutto incline ad abitare profondità superiori ai 1000 metri tali da non incontrare semplicemente alcun tipo d’invitante spuntino umano, intento a mantenersi sereno praticando una piacevole (?) nuotata.
Ecco dunque presentarsi l’astrusa scena, nel quadro tenebroso di un ampio spazio abissale, in cui la sagoma vagamente riconoscibile di questo vero e proprio fossile vivente sembra palesarsi all’improvviso di fronte alle telecamere dei tre membri dell’equipaggio del piccolo sottomarino, che sembrerebbe averne richiamato l’attenzione attraverso l’impiego di esche sanguinolente e lo stesso propagarsi luccicante del suo potente faro d’ordinanza. Con uno scopo in realtà nobile consistente nell’applicazione di una targhetta di tracciamento, del tipo destinato a studiare il comportamento e lo stile di vita di questa creatura sostanzialmente ignota alla scienza, le cui abitudini potrebbero chiarire l’effettivo processo che ha portato attraverso i millenni all’attuale aspetto di tutte le altre specie di squalo. Finalità già praticata in precedenza a partire dagli anni ’90, previa cattura e trascinamento di sfortunati esemplari fino alla superficie, un’esperienza considerata particolarmente traumatica, e potenzialmente accecante o letale, per questi esseri normalmente placidi ed abituati a sopravvivere nell’oscurità pressoché totale. Fondamento essenziale dell’idea, fortemente voluta dal team di naturalisti formato da Dean Grubbs, Edd Brooks e Brendan Talwar, per effettuare la stessa procedura mediante l’impiego di un fucile a fiocina puntato e fatto sparare dall’interno del trasparente veicolo, proprio laggiù dove questi esseri sono soliti trascorrere le loro predatorie giornate. Un compito che potremmo definire, a dire il vero, più facile in via teorica che nell’esplicita manifestazione della realtà…

Talvolta lo squalo sei branchie può arrivare ad attaccare direttamente il sottomarino, come successo durante questa famosa scena del documentario di David Attenborough del 2017, Blue Planet 2. In un fraintendimento probabilmente incline a considerare il veicolo come un possibile concorrente, durante il raro banchetto dovuto al ritrovamento di una preziosa carcassa di balena.

Considerato non particolarmente pericoloso per l’uomo proprio perché non si hanno notizie pregresse di attacchi da parte di questo specifico animale, anche nello scenario già statisticamente piuttosto raro degli attacchi portati a termine dal più temuto divoratore delle profondità marine (laddove la maggior parte degli squali sono, più che altro, degli spazzini) lo squalo a sei branchie è stato tuttavia osservato mettere in atto alcuni comportamenti aggressivi nel frangente delle escursioni subacquee notturne, durante le ore in cui è solito spingersi in alto per poter usufruire dei più abbondanti territori di caccia, situati a ridosso delle increspate acque oceaniche di superficie. Attività in funzione della quale viene identificato come una creatura soggetta alla migrazione verticale diurna, o diel vertical migration (DVM) per cui può fare affidamento sulla sua insolita propensione al galleggiamento, misurabile grazie alle difficoltà e tempistiche superiori impiegate dall’animale per tornare, con le prime luci dell’alba, fino ai 2500 metri di distanza da cui era provenuto. Con un’avversione per la luce, più che mai evidente, che parrebbe posizionarsi alla base dell’apparente intento vendicativo mostrato dal soggetto dell’iniziativa di OceanX così come molti altri suoi simili videoregistrati in contesti scientifici. Nonché i racconti aneddotici del pericoloso balzo in avanti compiuto da esponenti di questa imponente genìa all’indirizzo di un sub, successivamente allo scattare di un flash fotografico fatto brillare a una distanza eccessivamente ridotta dal vagheggiar tranquillo dei loro sensibili occhi verdi. Strumenti sensoriali di prima classe così come risultano essere i recettori dell’olfatto all’interno delle sue narici e le ampolle di Lorenzini situate a ridosso di questi, utilizzati dal grande carnivoro per dare la caccia e fagocitare le sue comuni prede, inclusive di pesci vertebrati, crostacei, molluschi, granchi, foche e (più raramente) altri squali dalle dimensioni più piccole, incluso l’occasionale appartenente alla sua stessa specie. Data l’attitudine riproduttiva all’ovoviviparità, ovvero la schiusa delle uova già all’interno dell’apparato uterino materno, non è del resto irragionevole immaginare i piccoli di H. griseus come del tutto conformi allo stereotipo del cannibalismo fratricida, già praticato ancor prima di poter venire a contatto per la prima volta con le salmastre acque del mondo esterno. Un’attività, questa, tutt’altro che deleteria per la popolazione complessiva di tali squali, vista la capacità della femmina di produrre fino a 108 eredi per ciascun singolo evento riproduttivo, occasione in seguito alla quale il maschio è solito aggredirla letteralmente infliggendogli cicatrici perfettamente identificabili nel corso di riprese come quella girata dai sommergibilisti di OceanX.
Che il pesce vacca sia un sopravvissuto dell’epoca Giurassica (199-145 milioni di anni fa) è stato quindi ampiamente determinato dalla sua somiglianza biologica con molti dei fossili ritrovati databili a quell’antico e lungo periodo geologico, nonché determinate caratteristiche morfologiche distinte da quelle di tutti gli altri condritti, incluso il programmatico possesso di sei branchie per lato, probabili vestigia di un’oceano in cui la quantità di anidride carbonica risultava essere certamente superiore. Per un’apprezzabile antichità che non sembrerebbe d’altra parte esser valsa allo squalo alcun occhio di riguardo, vista la frequenza con cui sembra comparire sul menu dei ristoranti nell’intero estendersi del suo vasto areale, incluso il Canada dove la sua carne viene venduta col nome di snow shark, per il riconoscibile pallore che sembrerebbe caratterizzarla. E dovremmo perciò sorprenderci, di fronte all’inclinazione occasionalmente ostile agli uomini di questo normalmente placido abitante pinnuto dei mari?

In una rara occasione eticamente corretta, questo squalo a sei branchie viene trascinato fino in superficie con l’obiettivo da parte degli ocean vet Neil e Choy di rimuovere un lungo segmento di lenza da pesca, che si era in qualche modo avvolto tutto attorno al corpo dell’animale.

La verità nascosta nel grande, e quasi umano sguardo di questi massicci esseri è il modo in cui talvolta, la semplice capacità di difendersi possa servire a scoraggiare il disturbo messo in atto persino dalla più curiosa e insistente specie di questo intero pianeta: l’uomo all’interno delle sue impenetrabili scatolette, armato di strali fotonici capaci di trasformare la notte in giorno (torce, nient’altro che questo). Benché sia poco e quasi sicuramente non abbastanza, per poter davvero sopravvivere con successo anche all’attuale periodo dell’Olocene, nel corso del quale sta continuando a verificarsi il più notevole evento d’estinzione di massa, al rallentatore, di cui si abbia notizia fin dalla prototipica estinzione dei dinosauri.
Zero squali: affinché un giorno tutto quello che resiste siano il mare, la terra ed il sole… Nel triste scenario di un labirinto di specchi, pronto ad infrangersi alla prima tardiva presa di coscienza, da parte dell’uomo, del così fortemente voluto stato dei fatti attuale.

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