La vasca ben illuminata con la luce azzurra dell’acquario era esposta in una grande sala, con lo spazio per girarvi attorno agevolmente. Bassa e rettangolare, difficilmente superava l’altezza della vita degli addetti alla manutenzione e per quanto riguardava i bambini, era comunque possibile affacciarsi dall’altezza del petto per scrutarvi dentro dall’alto… E non solo. “Avanti, accarezzateli pure.” Disse la guida assegnata al loro gruppo, sorridendo all’indirizzo dell’insegnante. Quindi volse lo sguardo alle affusolate forme che vagavano al di sotto del pelo della superficie: “…Non mordono.” Titubando lievemente, il gruppo dei più coraggiosi fece un passo sotto la diffusa luce della lampada a infrarossi. Ed il capo meno timido, l’organizzatore di una vasta quantità di scorribande in giro per la scuola, immerse la sua mano per accarezzare la creatura all’interno. Che non era, come si potrebbe essere indotti a pensare, un grasso e variopinto esempio di koi, bensì la freccia lanceolata del carnivoro per assoluta definizione: un pesce lungo circa 36 centimetri, la bocca semi-aperta ad aspettare la sua ricompensa. Squalo delle circostanze e squalo sotto ogni punto di vista rilevante, che brillava tenuamente come una soave apparizione degli abissi marini. Assieme a sei dei suoi compagni, ciascuno riconoscibile dalla particolare configurazione delle macchie sopra il dorso, elegantemente inanellate l’una all’altra. Avvicinandosi e sostando sotto l’amichevole contatto di quella mano, il pinnuto nuotatore si fermò a guardarlo dritto in volto coi suoi occhi tondeggianti e spalancati. Soltanto in seguito, l’alunno avrebbe detto agli altri di aver percepito chiaramente con l’orecchio della mente il familiare suono: “Meow!”
Il chain catshark (squalo gatto incatenato, a causa della sua livrea caratteristica) o Scyliorhinus retifer dell’Atlantico Settentrionale viene in effetti così chiamato per la configurazione del suo muso ma anche l’indole mansueta e timida che lo caratterizza, sia in cattività che nei rari casi d’incontro con gli umani nei suoi effettivi habitat d’appartenenza. Episodi tutt’altro che scontati, vista la profondità ideale della specie che si aggira tra i 70 e 500 metri, dove è solito nascondersi presso il fondale sfruttando gli elementi discontinui come asperità, anemoni o relitti di navi. Da cui si scosta quotidianamente per andare a caccia, delle prede in genere rappresentate da pesci più piccoli, vermi policheti e crostacei di varia natura. E nelle più salienti circostanze che ricorrono a partire dal raggiungimento dell’età riproduttiva e lo sviluppo degli pterigopodi prensili nel maschio, al fine di trovare la perfetta controparte verso cui manifestare tutto il proprio naturale desiderio di produrre una prole. Il che presume, prima di ogni cosa, che i due spasimanti riescano effettivamente a trovarsi, fattore tutt’altro che scontato nelle vastità profonde degli oscuri abissi marini. Così che proprio a tal fine, riesce a fare la sua parte un’intrigante idea evolutiva: la biofluerescenza che caratterizza le creature, grazie all’uso di un pigmento sulla loro pelle ricoperta di dentelli ruvidi, capace d’immagazzinare ogni minima fonte di luce e trasformarla in un caratteristico colore verde, caratterizzato da una tenue dose di brillantezza. Ad accorgersene sono stati, alquanto tardivamente, gli autori di uno studio del 2016 (David F. Gruber, Ellis R. Loew et al.) che pensarono di andare oltre, al fine di tentare di scoprire COME esattamente questi squali potessero vedersi l’un l’altro…
L’idea è in effetti innovativa e raramente utilizzata in precedenza. Con il team di ricerca che provvede a procurarsi una particolare telecamera notturna, modificata al fine di riprendere il preciso spettro d’assorbenza luminoso emerso dagli studi preventivi degli organi di vista delle piccole creature. Da cui è derivata l’occasione inaspettata e inimitabile, di scoprire quanto chiaramente spiccassero, nell’oscurità del Golfo del Messico, le forme smeraldine degli squali gatto sullo sfondo di una tenebra bluastra e ininterrotta delle profondità marine. Il che permetteva per la prima volta di acquisire nuovi dati sul comportamento riproduttivo e sociale di queste creature, ritenute per analogia piuttosto simili al gattuccio del Mar Mediterraneo (l’imparentato Scyliorhinus canicula) ma che rispetto a questo è stato il soggetto di una quantità notevolmente minore d’approfondimenti scientifici di qualsivoglia tipo. Fatta eccezione per quelli relativi all’effettiva deposizione delle sue uova, le particolarmente riconoscibili capsule note agli anglofoni come “borsello della sirena” (mermaid’s purse) per la forma coriacea a cuoiosa, ulteriormente definita dalla presenza di quattro filamenti sottili che si estendono dagli angoli, generalmente utilizzati per avvolgerlo saldamente ad elementi solidi e sporgenti nel ripetitivo scenario del fondale marino. Deposte dopo il trascorrere di un periodo variabile dall’evento dell’accoppiamento, grazie alla capacità della femmina di mantenere il materiale genetico del maschio all’interno del suo ovidotto per un periodo piuttosto lungo, finché non viene guidata dall’istinto a compiere una serie di gesti ben precisi. A partire dal tragitto circolare nel luogo di deposizione desiderato, vorticando affinché i suddetti “viticci” o “tentacoli” possano restare attorcigliati attorno all’oggetto selezionato, dove le uova (in genere due) resteranno assicurate per un periodo di circa 250 giorni. Finché alla nascita, i piccoli esteriormente simili a una forma sottodimensionata dei genitori inizieranno a muoversi nella colonna acquatica, esibendo una poca coordinazione ed incapacità di contrastare le correnti che durerà per alcuni giorni, se non settimane. Ragion per cui, probabilmente, i nuovi nati preferiscono cacciare in zone pianeggianti e prive di ripari, il che li rende d’altra parte alquanto vulnerabili all’attenzione dei predatori.
Anche una volta raggiunta l’età adulta, ad ogni modo, i gattucci dell’Atlantico non saranno mai del tutto abili a spostarsi agevolmente per lunghe distanze, facendone creature decisamente stanziali, una caratteristica ulteriormente favorita dalla loro poca tolleranza per temperature al di sotto dei 9 gradi. Il che escluderebbe, anche se fossero dei grandi esploratori, sostanzialmente, l’intero territorio situato a settentrione del loro areale, che si estende tra il medio Massachusets e l’area dei Caraibi, incluso il Nicaragua e le Barbados. Indifferente alla presenza degli umani, viste le profondità a cui è solito trascorrere la sua esistenza, il chain catshark non viene pescato con finalità commerciale e risulta raramente catturato per caso all’interno delle reti dei pescatori. Forse per questo non costituisce una specie a rischio, nonostante venga particolarmente favorito per l’esposizione negli acquari pubblici e privati, a causa del carattere e il suo aspetto particolarmente distintivo. Dove è riportato aver raggiunto agevolmente ed in più casi l’età di 8-9 anni, superiore a quella della maggior parte degli squali delle sue stesse dimensioni.
Tranquillamente all’opposto rispetto allo stereotipo dei crudeli mangiatori di uomini, il tranquillo catshark rappresenta un tipo di pesce condritto forse più conforme ad uno stereotipo produttivo per la sua vasta genìa. Benevolo ed affascinante, innocuo per gli umani almeno quanto spietato riesce ad essere per le sue prede più piccole… Esattamente come avviene nel caso dei temibili gatti domestici di superficie. I quali di lor conto non possiedono l’implicita idiosincrasia, di questa creatura che risulta al tempo stesso mimetica e fluorescente, soltanto per essere notata da coloro che ne possiedono l’elettiva predisposizione in base ai precisi schemi strategici della natura. Che nessuno può pensare d’ignorare, benché l’interfaccia tra le specie nate in cima a rami opposti del tentacolare albero della vita possa risultare, in tanti casi, un’occasione di arricchimento e realizzazione personale. Sia per l’uomo che lo squalo! Importante ambasciatore nel frangente, a sua stessa insaputa, per la futura sopravvivenza di un’intera classe del mondo animale.