La remota passeggiata in mezzo ai portici di una caldera primordiale

Antichi templi ci avvicinano alle atemporali anomalie. Chi li ha costruiti, e perché? Esistono perché li hanno costruiti, o perché? Se una roccia svetta ponderosa ma c’è un buco sotto, quel buco è stato costruito dall’uomo, oppure… Molti sono gli interrogativi stranamente suscitati da una vista come questa, del tutto uguale a quella palesatosi agli esploratori delle circostanze in essere improvvisamente, dopo l’apertura (o per meglio dire la “chiusura”) di una diga a monte di qui. Quella di Long Valley lungo il fiume Owens, nella regione della California nota come Mammoth Lakes perché molto probabilmente in un momento imprecisato della storia rilevante, nei dintorni pascolavano gli enormi pachidermi di allora. Ed ancor prima, i dinosauri. Ma dopo la scomparsa di costoro e prima che arrivassero quegli altri, fuoco e fiamme, e distruzione sulla Terra. Frutto affiorante delle viscere sepolte sopra e dentro il mare di magma: una caldera. Conseguente da una delle più terribili eruzioni pompeiane che tale nazione abbia potuto sperimentare (benché non fossero ancora degli Stati e tanto meno Uniti) Stiamo parlando, per essere precisi, di come 760.000 anni a questa parte i vulcani avessero ancora cose molto significative da dire. E caso vuole, opere d’arte da mostrare ai posteri viventi e respiranti delle proprie valli antistanti. Una serie di ambiziose macerie, a voler qualificarle, verticalmente parallele quando non pendenti lievemente da una parte all’altra. Segmentate visualmente da diverse spaccature orizzontali equidistanti, talvolta semisepolte a ricordare le ossa di sopiti scheletri di Leviatani non più viventi.
Creazioni. Rocciose. Colonnari meraviglie delle circostanze. Di un sito geologicamente eccezionale che la gente ha definito le Colonne del Lago Crowley. Per analogia con il bacino artificiale di cui sopra, a sua volta battezzato nel 1941 in onore della figura del celebre ecclesiastico John J. Crowley. Colui che era morto poco tempo prima nei dintorni all’età di 48 anni, dopo aver trascorso la propria esistenza nel tentativo di mitigare la sofferenza dei popoli nativi lasciati all’asciutto dall’accaparramento delle limitate fonti d’acqua della Costa Est, a maggior vantaggio dei magnati losangelini. Quale perfida ironia, in un certo senso! Sebbene sia del tutto ragionevole immaginarlo colpito, o per lo meno riportato con la mente all’infinita gloria del Creatore, di fronte a uno spettacolo configurato sulla falsariga di questo: letterali centinaia di pilastri perfettamente torniti. Come quelli del Tempio Santo a Gerusalemme, posti a sostenere una volta collinare dal candore abbagliante. Il chiaro ed evidente simbolo, di un’antica simmetria rimasta. La pacifica innocenza del paesaggio! Il dito che indica, sbucando dalle nubi, la suprema verità dell’Universo. E tutto ciò che tende normalmente a derivarne…

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Le tre illusioni ottiche del maggior ponte nella baia di San Francisco

“Guarda, stupisci, interrogati sullo stato di salute delle tue sinapsi.” Avrebbe potuto facilmente sussurrare a un’interlocutore prototipico l’altoparlante per i passeggeri del volo tra New York e l’area della Baia a bordo del quale si trovava Will Mandis verso la metà del mese scorso, momentaneamente intento a superare la sottile striscia di asfalto sospesa a bassa quota sopra le acque barbaglianti di un territorio dal nesso intellettivo chiaramente inesplorato. Ove le cose parevano rispondere a un tipo di regolamento del tutto nuovo: non era forse quello, perpendicolarmente situato sopra al valido passaggio, un altro volo aereo passeggeri diretto verso lo stesso scalo? E non si trovava forse esso, in un chiaro ed evidente stato d’immobilità sopra un tratto invariabile di un così vasto e strabiliante mare? Fermo, Bloccato, in stato di Arresto, allo Stop, Tranquillo, Sospeso. In maniera paragonabile alla situazione di un pilota di autobus il quale, avendo rilevato un guasto incline a compromettere la sicurezza dei passeggeri, avesse deciso di fermare il proprio mezzo a lato della strada per chiamare il soccorso stradale. Eppur difficilmente la gravità terrestre, nella maggior parte dei casi, tende a permettere quel tipo di soluzioni per i velivoli che necessitano di generare la propria portanza, essendo più pesanti dell’aria…
Diverse, nel frattempo, sono le tipologie di ponte costruite per unire punti contrapposti ai lati di un crepaccio, fiume, dirupo, tratto di mare; così come risultano possibili dei gradi di difficoltà variabili in base alle precise condizioni di ciascuna circostanza vigente. Ed è probabilmente questa la ragione, per cui associando la seconda più grande città della Costa Ovest al concetto di un’infrastruttura stradale di collegamento, l’immagine che sorge con preponderanza nella mente e nei motori di ricerca è quella delle rosse torri svettanti del Golden Gate, la sospesa meraviglia di metà secolo dell’architettura che avvicina la parte più estrema della penisola di San Francisco Bay al resto di quella metropoli dai grandi dislivelli, con la sua luce massima di 1.282 metri sui 2.737 di lunghezza totale. Quasi nulla del resto, in termini di mera distanza, rispetto a quella percorsa dai due trait d’union posizionati nella parte laterale della stessa lingua di terra, di cui il più significativo dei quali posto in essere già nel 1929, il San Mateo-Hayward Bridge, vanta ben 11 Km dall’inizio alla fine, con tuttavia appena 230 metri di distanza massima tra due dei suoi piloni in evidente (o relativo) stato di allineamento. Abbastanza, caso vuole, per riuscire a generare un soddisfacente effetto parallattico per chi volesse tentare, per esempio, di osservarne la prospettiva da un punto di vista sopraelevato. Il che costituisce a dire il vero anche il segreto di tale memetica sequenza d’immagini, in cui il secondo aereo “sembra” soltanto rimanere in quel particolare luogo perpendicolarmente al ponte, causa lo spostamento progressivo di colui che ne ha immortalato l’evidenza a beneficio dell’indefinita posterità internettiana. Niente venti contrari o strani fenomani ad opera di dischi volanti alieni, dunque! Eppur sovviene un’intrigante e secondaria domanda in merito all’intera questione. Non sembra in effetti, anche a voi, che il ponte contenuto nell’inquadratura abbia l’aspetto ragionevolmente approssimativo rispetto a quello di una colossale banana? Appare più che mai opportuno, a questo punto, offrire in merito una spiegazione…

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Se i pesci non volano in California, chi appende reti da traino alle querce?

Nei pomeriggi umidi d’inverno, una vista estremamente comune: l’agile ungulato della foresta, cervo incoronato del suo palco, si alza con facilità sulle zampe posteriori. Allunga il collo e punta il muso, con la precisione millimetrica che nasce dall’esperienza, verso un singolare tipo di ornamento del proprio ambiente. Dal nostro punto di vista svantaggiato in pratica… Una tenda, ma sfrangiata e perforata in più punti, finché il cacciatore o l’escursionista, interessati ad una scena che potrebbero conoscere piuttosto bene, si avvicinano a indentificare l’eminente forma vegetativa del cosiddetto “muschio spagnolo”. Che non è muschio e neppure spagnolo, come anche la pianta che condivide tale nome nella parte meridionale degli Stati Uniti, in realtà un’epifita dello stesso ordine dei cultivar dell’ananas creati e coltivati dall’uomo. Ma è proprio in tale bisogno di appoggiarsi a un albero madre, che le somiglianze biologiche tra i due esseri fogliosi si esauriscono in modo totalizzante, visto come il verde oggetto dalla nostra trattazione odierna appartenga, piuttosto, alla complessa e stratificata categoria dei licheni. Che non possiedono neppure un singolo regno d’appartenenza, essendo una combinazione collaborativa, al minimo, di un’alga ed un fungo. Come nel caso del qui presente, strano ed elegante Ramalina menziesii, a sua volta risultanza di un non meglio specificato tipo di Cholorphyta fotosensibile, ed il chitinoso corpo dell’Ascomyceta. In questo caso combinati e potenziati da un’aspetto idoneo a pendere dai rami degli arbusti, dove guadagnano un qualche tipo di protezione dalle fauci degli erbivori affamati. Dal punto di vista morfologico dunque, ed al contrario di quanto si potrebbe pensare, il lichene cosiddetto a “merletto” o “rete da pesca” appartiene alla macrocategoria di quelli fruticosi, come esemplificato dai piccoli organi riproduttivi che si manifestano nel punto più alto, esteriormente simili a dei calici per il vino. Una conclusione raggiunta in tempi odierni e dopo lunghe disquisizioni, visto come tali esseri abbiano lasciato per lungo tempo gli studiosi in posizione di perplessità latente. Poiché erano in molti a pensare, con ragionevoli e apparenti giustificazioni, che una presenza vegetale abbarbicata ai rami di un’altra dovesse fondamentalmente trarne un qualche tipo di vantaggio a beneficio della controparte. Piuttosto che il proficuo mutualismo che tende a manifestarsi in questo e molti altri casi simili, cementato grazie alla maniera in cui l’essere simbiotico non possiede, semplicemente, alcun tipo di radice né il bisogno di sostanze nutritive evidenti. Traendo tutta l’energia necessaria a crescere e iniziare il processo riproduttivo dal sole e dall’aria, ragion per cui esseri come questi possono esistere unicamente dove il clima è limpido e manchino particolari agenti inquinanti. Il che parrebbe aver affascinato i suoi vicini umani a tal punto, da essere nominato nel 2015 “lichene di stato” della California, con decreto specifico e lungamente richiesto al governatore Jerry Brown. Sulla base di vari criteri tra cui, primo tra tutti, la sua elevata e pressoché sicura possibilità di essere identificato dai non iniziati…

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La quaglia con la virgola sul capo e uno spiccato senso della solidarietà pennuta

La gente di città in genere non riconosce molte varietà d’uccelli. Abituati più che altro ai versi ripetuti di piccioni, corvi, gabbiani e l’occasionale pappagallo introdotto dall’uomo, guardiamo all’origine dei loro versi con un senso di tranquilla familiarità ed occasionale fastidio, associandoli a quel sostrato chiassoso che include lo squillo del clacson, le sirene della polizia ed il suono di autoradio distanti. Verso la seconda metà degli anni 2010, tuttavia, nel parco Presidio di San Francisco, una presenza anomala diventò familiare per i passanti e visitatori locali: stranamente saltellante, grazioso nella sua pura eleganza, emettitore di un particolare canto reiterato che può essere trascritto come “Chii-ca-go! Chii-ca-go!”. Ma nessuna possibile compagna o altro maschio in lizza per il territorio avrebbe più raccolto la sfida di Ishi, così chiamato per analogia con il celebre ultimo membro della tribù degli Yahi, nativi americani delle colline della Sierra. Esattamente come il proprio antesignano, questo piccolo rappresentante della natura era rimasto totalmente solo al mondo. Una condizione particolarmente sofferta per creature socievoli come la quaglia della California, famosa per l’inclinazione a riunirsi un tempo in gruppi tra i 60 e (raramente) più di 1.000 esemplari, straordinariamente solidali nella ricerca del cibo, la protezione dei piccoli e la vigilanza nei confronti dei predatori. Caratteristiche di uccelli ad oggi tutt’altro che rari, nonostante la caccia notoriamente entusiastica che ne viene fatto nell’intero spazio del proprio areale. Eppure la scomparsa della specie all’interno della quarta città della California, probabilmente dovuta alla progressiva proliferazione dei gatti ferali, dovrebbe rappresentare un monito fondamentalmente bene accetto. Poiché non vi sono molti gli altri volatili, qui o altrove, a possedere lo stesso di fascino frutto di un accurato equilibrio di fenotipi mirati a monopolizzare l’attenzione dei propri co-specifici del sesso opposto. All’interno della specie Callipepla californica, forse il più celebre rappresentante di un genere di quaglie del Nuovo Mondo, famose per la loro capacità di adattamento e la capacità di colonizzare paesi del Centro America a discapito delle specie locali. Eppure non sarebbe giusto, di sicuro, fargliene una colpa: uccelli non-migratori e perciò inerentemente soggetti alle alterazioni climatiche e del territorio, fatta eccezione per la capacità di scendere a valle nei mesi invernali, questi visitatori occasionali della nostra coscienza hanno quietamente e lungamente combattuto contro condizioni avverse. Che li hanno visti diventare vittime prescelte di una quantità spropositata di predatori, finché grazie alla notevole attenzione ai dettagli, la capacità di proliferazione e di trovare possibili fonti di cibo, hanno prevalso in buona parte di un habitat capace di estendersi lungo la costa Ovest, fino alle propaggini meridionali del territorio canadese. Insegnando i meriti di una creatura semplice, ma non per questo comune…

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