Bruchi ed onde condividono lo spirito vitale dell’artista leonardesco californiano

In un mondo in cui la specializzazione sembra ormai rappresentare il nettare che nutre il fondamento stesso della società contemporanea, esiste ancora un tipo di mestiere, o attività che dir si voglia, in cui la somma delle proprie precedenti esperienze costituisce un carburante fattivo, la spinta implicita delle proprie aspirazioni comunicative latenti. Chi se non l’artista, d’altronde, può basare il proprio senso del dovere nei confronti delle moltitudini su di un’esperienza transitoria, durata appena una ventina di secondi collocati in senso cronologico all’inizio di un’ormai trascorsa stagione della sua vita? Ovvero nel caso del qui presente costruttore onirico, Reuben Heyday Margolin, l’aver visto un bruco che strisciava sulle sabbie del deserto, in una placida giornata di parecchi anni fa. Larva di un comune lepidottero, il cui movimento reiterato giunse tuttavia a rappresentare per la sua immaginazione tutto ciò che di dinamico e vivace può persistere nel pozzo subitaneo dell’Universo, da cui una rana scruta verso l’alto e prova il sentimento che può attribuire, ad ogni singola forma di vita, significati algebrici ulteriori. Coadiuvati da quello scopo esistenziale con immense proporzioni latenti.
Così l’uomo che ha studiato all’Università, nell’ordine: matematica, geologia, antropologia, lettere ed ha poi completato la sua erudizione presso celebri accademie di disegno a Firenze e San Pietroburgo, oggi è celebre per un particolare quanto distintivo tipo di scultura cinetica fondata su principi filosofici e naturalistici, che riesce ad evocare la natura pur mostrando fieramente i meccanismi che costituiscono il sistema funzionale di un meccanismo niente meno che impressionante. Nel modo in cui una semplice fonte di movimento, in genere un motore elettrico, anima la serie d’ingranaggi interconnessi e camme, rigorosamente analogici e per questo in grado di operare con funzionale discrezione dei singoli attimi, verso l’ottenimento di una sequenza in qualche modo pregna o in grado di condurre a multiple utili interpretazioni personali. Questo perché ciò che rappresenta forse il punto di maggiore distinzione dell’autore, rispetto ai molti colleghi attivi nello stesso campo dell’arte contemporanea, è una ferrea aderenza al tema principale di una singola ricerca: quella per ridurre un’ampia gamma di fenomeni e forme di vita allo strumento interpretativo di un’analisi numerica. Un vero e proprio codice, in parole povere, che dimostra di essere risolto nel momento stesso in cui comincia a svolgere l’attività per cui è stato creato…

Nato a Berkeley, California nel 1970, da un padre editore e madre artista egualmente entusiasti della vita all’aria aperta, Margolin crebbe conducendo frequenti escursioni fuori dai restrittivi ambienti urbani dove gli riuscì di porre il fondamento di quella che avrebbe costituito in seguito la forza generatrice della sua particolare strada verso la celebrità internazionale. Quando al termine del sopracitato percorso formativo, con una reputazione di pittore già piuttosto diffusa, venne accettato per una residenza d’artista presso il castello di Orchardton House in Scozia. Luogo dove lavorando assieme ad altri 40 giovani creativi, iniziò ogni giorno a camminare fino alle scogliere sulla costa atlantica, dove nella solitudine periodica tornò con la memoria alle antiche passioni adolescenziali della falegnameria e creazione di meccanismi. Fu dunque in quel momento, unendo in modo eclettico la passione per gli insetti a quella per l’analisi matematica, che pensò di elaborare una funzione pratica capace di ricreare il classico movimento ondulatorio di una larva geometride, giungendo dopo alcuni tentativi ad una creazione in legno del tutto coerente con lo stile deambulatorio dell’animale di partenza. Ma la sua esperienza formativa, in quel momento, non era ancora terminata. Tanto che partendo nuovamente, giunse fino ad Ahmedabad in India, ove il proprio campo operativo diventò la creazione di risciò a pedali dotati di ali battenti di farfalla, che imparò a costruire con perizia di particolari e al tempo stesso precisione dei singoli componenti, paragonabili alla complessità di un tradizionale orologio. Per poi tornare finalmente nella natìa California, stabilendosi nel 2003 in uno studio nella Bay Area di San Francisco, che aveva la caratteristica fortunata di un soffitto particolarmente alto dal suolo. Dove dunque, ritornando alla creazione di creature ondulatorie, iniziò a comprendere quanto fosse limitato e limitante il confine ultimo del suolo. In modo tale da iniziare ad appendere sempre più in alto le sue opere, progressivamente inclini a diventare sempre più astratte ed al tempo stesso immaginifiche nelle forme fondamentali di riferimento. Onde, nubi, nebulose indotte a quella stessa fluttuazione reiterativa, che da un certo punto di vista può essere descritta come una delle tendenze impliciti ed imprescindibili della Natura.
Avendo a questo punto esposto le sue opere in diverse mostre nazionali ed internazionali, con prestigiosi premi e riconoscimenti all’attivo, Margolin avrebbe ampliato verso l’inizio degli anni 2010 la sua inclinazione a lavorare su commissioni specifiche, arredando e connotando spazi architettonici con la sua fenomenale capacità d’immaginazione. Giungendo, per citare un paio di opere notevoli, a creazioni monumentali come Helio Curve (2015) in collaborazione con il Centro Avanzato di Progettazione della Hyundai di Roma o Nebula (2010) l’imponente lampadario mobile di 4.500 astri artificiali color ambra appeso nell’atrio dell’hotel Hilton Anatole di Dallas, definito anche soltanto in termini proporzionali come una delle opere cinetiche più ambiziose al mondo.

Con una presenza su Internet complessa e stratificata, capace di beneficiare largamente della sua capacità dialettica e comunicativa, l’artista sembrerebbe tuttavia nell’ultimo anno aver rallentato il ritmo della propria produzione. Possibilmente con lo scopo di dedicare maggior tempo alla famiglia, oppure in funzione dell’imprescindibile progressione dei trend e aspirazioni del mercato dell’arte contemporanea, che ogni cosa fagocita e consuma nella continua e inarrestabile ricerca del Nuovo. Il che tende ad indurre, sulla base dei successi pregressi, il forte sospetto che egli stia serbando valide soprese nel futuro prossimo, nuove rielaborazioni ed ulteriori evoluzioni dei modelli procedurali, che potrebbero condurre a un significativo passo avanti nel concetto stesso di scultura cinetica e ciò che essa può rappresentare nell’odierno scenario del senso comune latente. Sempre pronto, per sua innata propensione, a individuare la strada possibile da un’immagine, un sentiero, un movimento.

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