Delizia degli ufologi, la terza pietra interstellare ci raggiungerà nel giorno del Sol Invictus

Fin da tempo immemore, l’intrinseco funzionamento della mente umana ci ha portato a venerare i corpi astrali, manifestazioni scintillanti di possibili divinità o entità superne. Persino nelle religioni monoteiste, come il Cristianesimo, la nascita di Cristo viene fatta corrispondere alla comparsa nella volta di un corpo cometario, la cosiddetta Stella di Betlemme, che guidò coloro che volevano rendergli omaggio fino al figlio o manifestazione prettamente antropica di nostro Signore. Ed è forse una fortuna, dal punto di vista di coloro che volessero classificare i molti culti nella storia delle religioni, il fatto che l’attrezzatura tecnologicamente limitata abbia in passato contenuto il numero di quei fenomeni, che gli aspiranti profeti potevano indicare ai propri sostenitori nelle ore che si frapponevano tra il tramonto e l’alba con voce tremula e sguardo (temporaneamente) offuscato da rivelazioni trascendenti. Poiché al sopraggiungere dei tempi odierni, il metodo scientifico ha ormai da tempo smascherato l’occorrenza sistematica delle coincidenze, con appena 365 giorni di calendario a disposizione per il compiersi degli eventi predestinati, inclusi fenomeni galattici di proporzioni tali da poter essere osservati ad occhio nudo. Ma persino i più potenti telescopi di cui possiamo disporre, risultano condizionati da particolari limitazioni…
Immaginate dunque la sorpresa degli addetti presso l’Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System (ATLAS) di Río Hurtado, Cile, quando lo scorso primo luglio ciò che avevano fino a quel momento classificato come un tenute asteroide iniziò a spostarsi di qualche grado, dimostrando nel contempo alcune delle caratteristiche tipicamente associate alle comete: una chioma marginale, una coda di 3 secondi d’arco ed una possibile nube di polvere capace di oscurare il suo nucleo rotante. Essendo nel contempo identificabile, causa la sua traiettoria eccessivamente tangente ed oltremodo rapida, come un oggetto proveniente da regioni ben più distanti della nostra familiare nube di Oort, così come gli altri due predecessori provenienti da regioni astrali cosmiche identificati fino ad ora, 1I/ʻOumuamua del 2017 e 2I/Borisov del 2019. Doverosamente denominato, a questo punto come 3I/ATLAS rendendo onore al sito da cui era stato avvistato. Per una classificazione relativamente preoccupante proprio perché il nostro più avanzato centro di ricerca sugli oggetti cosmici vaganti aveva identificato il “rischio” relativamente tardi, a 670 milioni di Km di distanza dal Sole ed appena 171 giorni dal perielio (momento di massima vicinanza con la Terra) corrispondente a circa 268 milioni di chilometri dalla nostra cara, vecchia e vulnerabile sfera di fango. Laddove obbligatorie risultano essere virgolette in quel contesto, vista la distanza proiettata a rimanere sempre significativa, soprattutto rispetto ai pianeti che saluterà molto più da vicino di Giove (53 milioni di Km) Marte (29 milioni) e Venere (97 milioni). Il che costituisce, nel contempo, il nocciolo primario dell’interessante problema. Essendo tale tripla congiunzione molto atipica, al punto da costituire una reale coincidenza, per la maniera in cui il corpo in questione giunge non soltanto alla velocità vertiginosa di 68,3 Km al secondo, ma riesce a farlo con un asse in alcun modo tangente al piano di rotazione orbitale del Sistema Solare, quasi come se un mandante sconosciuto avesse inteso proiettarlo in modo tale da massimizzare il numero di tali incontri. Aggiungente a tutto questo la maniera in cui l’attività di vaporizzazione glaciale, tipica delle comete, sia iniziata in questo caso molto più lontano del previsto, come se qualcuno/qualcosa avesse intenzionalmente acceso una sorta di motore, per comprendere come la cometa abbia già sollevato i soliti dubbi sulla sue possibili… Intenzioni…

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Dietro al dilagante ossimoro mediatico del mini-calamaro colossale

“Negli abissi profondi nessuno potrà sentirvi gorgogliare” usava come slogan il regista Ridley Scott, in un universo alternativo in cui l’affermazione secondo cui sappiamo più sul cosmo infinito che l’oscuro ambito degli oceani terrestri (più o meno vera in base al punto di vista) avrebbe avuto la ragione di trovarsi al centro di un movimento collettivo di ambizione speculativa. Se davvero le divinità del cosmo giacciono sopite sui fondali, nell’attesa del risveglio apocalittico profetizzato, non è necessariamente indicativo né davvero interpretabile in senso letterale. Sebbene Qualcosa sia capace di acquisire validi vantaggi da una dimora tanto remota, indisturbata per quanto possibile dagli esseri che traggono dal Sole la propria forza. Alieni sono d’altra parte tutti quei molluschi, che fluttuando nella colonna oceanica, permangono di taglio tra gli strati di molecole dell’apparenza, particolarmente quando tanto rari da poterne contare gli avvistamenti di esemplari già defunti sulla punta di otto tentacoli. Ed aggiungerne alfine un altro, in cui per la prima volta… La! Creatura! Sta! Nuotando!
È un Mesonychoteuthis hamiltoni quello, o sei soltanto felice di vedermi?” Avrebbero potuto interrogarsi a vicenda i colleghi, metaforicamente parlando, in quel fatidico 9 marzo scorso (2025) a bordo della nave oceanica dell’Istituto Schmidt denominata “Falkor (too)”, con un chiaro quanto inaspettato riferimento al romanzo fantasy de La Storia Infinita. Così come post-modernista si profilava il nome del mezzo a controllo remoto sottomarino SuBastian, che si trovava in quel momento a 600 metri di profondità dell’Oceano Atlantico, vicino alle isole antartiche delle Sandwich Australi. Un luogo ed un’impostazione professionale che, una volta messe in relazione, lasciano immaginare un’ambizione in particolare dei presenti situata al di sopra di qualsiasi altra: l’avvistamento ed identificazione, come già tentato innumerevoli altre volte in passato, di QUESTO particolare animale. Il calamaro colossale, da non confondere con la seppia gigante di tutt’altra famiglia, ancorché in lingua inglese siano entrambi definiti con il termine squid che per tanto tempo avrebbe alimentato le leggende nautiche sul Kraken o altri simili mostri marini tentacolari. Potendo agevolmente raggiungere, come dimostrato grazie al precedente recupero di esemplari già defunti o i resti dentro lo stomaco dei capodogli, una lunghezza di 14 metri ed un peso probabile tra i 600 e i 700 Kg. Il che non significa, è importante sottolinearlo, che gli operatori del ROV si fossero remotamente ritrovati al cospetto di un simile gigante. Trattandosi nel caso del già celebre segmento videoregistrato, di un esemplare molto giovane, della lunghezza di 30 cm appena. Non che fosse facile capirlo in assenza di punti di riferimento nell’inquadratura. E non che molte delle testate internazionali che hanno riportato il caso, si siano preoccupate di specificare “l’insignificante” dettaglio…

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L’onirica chimera che potrebbe aprire un importante capitolo della conservazione indonesiana

“Eccezionale scoperta: rintracciato in mezzo alla foresta il misterioso TI-GEL-BOAT” fu l’entusiastico annuncio di Antara, l’agenzia per le notizie del Borneo, riferendosi a una straordinaria ed impossibile creatura che nel 1975 fu tenuta brevemente presso una prigione a Tengarong, in attesa che scienziati ed accademici venissero a studiarne le caratteristiche del tutto prive di precedenti. Opportunità più unica che rara, in effetti, destinata ad essere rimandata una, due, un numero infinito di volte, finché l’animale in questione, forse per il declino della sua salute, o più ottimisticamente per un gesto altruista dei suoi carcerieri, scomparisse totalmente dai radar. Un disinteresse motivato, paradossalmente, proprio dalle “troppo” straordinarie caratteristiche menzionate nell’articolo di riferimento; in cui la strana denominazione si concretizzava in qualità di commistione anglofona di varie e disparate specie animali. Volendo indicare che l’ibrido si presentasse nella seguente maniera: “Corpo di una TIGRE, collo di un LEONE, proboscide d’ELEFANTE, orecchie di MUCCA, zampe di CAPRA, piedi da POLLO ed una barba, di nuovo, da CAPRA.” Alchimie al di fuori della ragionevole portata dell’evoluzione, a ben vedere, ma di certo non della potente immaginazione umana. Ancorché fosse possibile pensare tale descrizione come un punto d’incontro tra le due, riferito ad un qualcosa di molto più plausibile di quanto si potrebbe essere inclini ad immaginare. Tradotto in termini meno comparativi, apparirà dunque possibile che siamo qui a parlare di un quadrupede dotato di una livrea striata, zampe lunghe ma non troppo massicce, artigli o zoccoli con dita separate, orecchie tonde ed erette. Qualcosa di assolutamente conforme ad un possibile cucciolo di tapiro della Malesia (T. indicus) l’unico rappresentante vivente di tale genere nei territorio dell’intera Eurasia, con l’aggiunta di un paio di tratti non conformi: la criniera e la barba sotto il muso. Il che non sarebbe stato neanche tanto insolito da concepire, visto che stiamo parlando di una popolazione territoriale la cui contestualizzazione cronologica più recente trova collocazione maggiormente probabile attorno ai 4.000-5.000 anni dall’Era odierna. Il che avrebbe fatto di un ipotetico Tigelboat ancora vivo sottoposto a studi scientifici approfonditi, una delle scoperte scientifiche del secolo nel campo della criptozoologia. Ma il destino, talvolta, può essere crudele…

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L’enorme distruttore che costituisce il nucleo più potente mai osservato dall’uomo

Tentando di considerare quale sia la presenza di maggiori dimensioni che riesce a passare inosservata, le persone comuni tendono a vagliare insetti, piccoli mammiferi, presenze notturne come pipistrelli o gufi. Mentre gli astronomi rivolgono la mente a nubi gassose o pianeti raminghi, possibilmente liberati dalla presa gravitazionale della loro stella. Semplicemente esiste un ordine di luminosità e grandezza, oltre il quale non è facilmente immaginabile l’assenza di una presa di coscienza, per il tramite di annotazione sui diari condivisi della nostra memoria. Ma che dire, invece, di tutti quei casi in cui una cosa tende ad essere fraintesa? Come quando nel 1980, durante il Sondaggio Stellare del Cielo Meridionale del telescopio ESO in Cile, a un punto luminoso tra milioni venne attribuito il numero di serie J0529-4351, tale da porlo in mezzo al novero di una delle tante tra quelle che vengono comunemente dette stelle fisse dei cieli. Benché molti siano perfettamente coscienti della maniera in cui lo splendore di un corpo ardente possa dirsi la diretta risultanza di due fattori: potenza e distanza. Così che la prima possa essere, talvolta, sottovalutata per sbaglio. Stiamo parlando in altri termini della maniera in cui l’impiego della matematica computerizzata o meglio un tipo di ragionamento automatico su parametri regolarmente imposti possa, in determinate circostanze, condurre a conclusioni errate. O “piccoli” errori della portata di sette milioni di anni luce, ovvero 15.000 volte la distanza tra il nostro Sole e il pianeta Nettuno. Questa l’effettiva ampiezza, dunque, dell’alone circostante la “cosa” che possiamo conseguentemente definire straordinariamente distante ed in funzione di ciò, antica. In quanto altrimenti, non sarebbero ancora trascorsi i 12 miliardi di anni necessari affinché la sua presenza potesse rendersi visibile anche da questo particolare distretto dell’Universo. Due fattori a dire il vero non direttamente correlati quando si considera che siamo necessariamente innanzi al tipo di oggetto cosmico chiamato tradizionalmente quasar, fin da quando nel 1964 l’astrofisico Hong-Yee Chiu ebbe la necessità di riferirsi ad un qualcosa che era Quasi una Stella, ma non Proprio. Anni sarebbero trascorsi, conseguentemente, affinché l’utilizzo di strumenti d’analisi maggiormente avanzati permettessero di comprendere di cosa stavamo effettivamente parlando: il tipo di di orizzonte degli eventi, simile ad un letterale uragano galattico, che ruota attorno ad un buco nero supermassiccio o SMBH. Categoria entro cui la massa complessiva viene misurata normalmente in milioni o miliardi di volte la nostra insignificante stella o come in questo caso, oltre 500 trilioni (milioni di bilioni o 1 milione alla terza) tale entità specifica misura. O per usare un’altra metodologia internazionalmente beneamata molti, moltissimi campi da football americano. Abbastanza a dire il vero, da farne di gran lunga l’oggetto più potente mai osservato da occhi umani…

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