L’inquietante sguardo dello squalo fantasma

Fluttuando tra l’ombra, nelle più remote profondità marine, esso si aggira alla ricerca di qualcosa. Esso è inconsapevole del mondo di superficie. Eppure, come la creatura del Dr. Frankenstein a cui vagamente rassomiglia, esso vive! Nell’emisfero settentrionale. Il muso ricucito e bitorzoluto, dal mostruoso paio d’occhi neri, le pinne ventrali simili ad ali di un’impossibile colomba senza piume. E la pelle senza scaglie, di un malsano color crema vagamente azzurino, punteggiata da piccoli marchi simili a rivettature. Potremo anche non sapere moltissimo sulle abitudini dell’Hydrolagus trolli, pesce misterioso che prende il nome dal celebre illustratore di animali fantastici marini Ray Troll, ma almeno adesso conosciamo un dato nuovo che un tempo ci aveva eluso: contrariamente a quanto si pensava, la creatura non vive soltanto in prossimità del Sud Africa e la Nuova Zelanda, ma sembrerebbe aver spaziato per tutti e sette i mari, essendo giunta fino al tratto d’Oceano che si estende tra le Hawaii e la California. Proprio dove nel 2009 l’Istituto di Ricerca dell’Acquario di Monterey ha deciso di far effettuare alcune immersioni al suo sofisticato sub dotato di controlli a distanza, incontrando tra lo stupore generale proprio lui, l’oscuro e silenzioso nuotatore. Trascorsi così tanti anni, dunque, il video è stato finalmente rilasciato al pubblico. Chiamiamolo una sorta d’anticipato regalo di Natale. O scherzo di Halloween fatto in ritardo. Certo è che se una creatura simile dovesse palesarsi nei nostri sogni, per fissarci intensamente con quei pozzi gemelli nel baratro dell’illusione, non ne saremmo eccessivamente lieti…
Che gli squali siano, come pesci cartilaginei privi di un vero e proprio scheletro, direttamente imparentati con le razze: questo è uno di quei concetti acquisiti per sentito dire, ma in merito al quale è raro che si faccia mente locale. Perché nel nostro immaginario i primi sono agili e veloci cacciatori, per lo meno per quanto concerne le specie maggiormente note all’opinione comune, mentre le seconde, piatte e larghe, placide nei movimenti, si aggirano come spazzine ultramondani sui fondali del mare. Entrambe le categorie d’animali sono poi prive di una notocorda (la colonna vertebrale) per lo meno dopo il periodo della loro gioventù, presentano una forma marcatamente asimmetrica e risultano protette da una pelle rigida, dotata d’innumerevoli denticoli dermici simili a carta vetrata. E l’organo sensoriale della linea laterale, in grado di percepire i vortici nelle correnti e qualche volta, addirittura i campi elettrici delle piccole forme di vita. Ma al di là di questi aspetti che interessano soltanto ai biologi e ai bambini molto intelligenti, cosa mai potrebbe accomunare un grande squalo bianco con ad esempio una Raja Texana, razza evolutasi per risucchiare gramberetti e granchi tra la sabbia del Golfo del Messico? Dal punto di vista meramente superficiale dell’aspetto esteriore, sarebbe assai difficile metterli direttamente in relazione. Ed è per questo che si rende necessario prendere in esame l’anello mancante tra di loro, che poi sarebbe il gruppo di pesci a cui appartiene anche l’insolito H. trolli, quello cosiddetto dei chimeriformi.
La chimera, nella mitologia del mondo classico, era una creatura ibrida e sputafuoco raffigurata spesso con il corpo e una testa di leone, tra le cui scapole spuntava quella cornuta di una capra ed una coda letteralmente serpentina, in quanto dotata di occhi, bocca ed ogni altro aspetto del più comune rettile scaglioso privo di zampe. Ma le versioni variavano, e qualche volta essa presentava un volto di donna o ali d’uccello, ampliando il termine fino ad includere qualsivoglia bestia che costituisse una “via di mezzo” tra qualcosa: quale miglior modo di definire, dunque, un pesce che presenta alcuni aspetti in comune con gli squali, ed altri che se ne discostano nettamente… Come ad esempio l’organo del tentaculum che può estendere a comando dalla sua fronte, dotato di una sorta di mazza all’estremità, con bitorzoli ed uncini, che esso impiega per immobilizzare la femmina durante l’accoppiamento. Un sistema decisamente barbarico, che tuttavia, è pur sempre meglio dei letterali attacchi sanguinari praticati dai maschi delle altre specie di squali ai danni delle partner, che talvolta neppure sopravvivono all’evento.

Leggi tutto

Il pesce che s’insinua nel sommerso deretano

pearlfish

Lasciate che vi presenti Cet. Ecco, si tratta di un tipo veramente alla mano. Qualcuno arriverebbe a definirlo un ragazzo semplice, quasi banale. E con questo intendo, un onesto lavoratore lungo esattamente 32 centimetri, dalla forma grossomodo cilindrica, internamente suddiviso in cinque segmenti perfettamente simmetrici, privo di cervello, dotato di bocca aspiratrice tentacolare, pelle avvelenata piena di bitorzoli e un efficientissimo foro retroattivo di eliminazione delle scorie dal quale tra l’altro, guarda caso, respira. Il che, incidentalmente, ci conduce dritti al suo mestiere: vedete, per comprendere a pieno Cet, occorre sapere che fa lo spazzino dei fondali bentonici, fino alla profondità di 8-9 Km dalla superficie. Si potrebbe definire la sua vocazione per nascita, ovvero il metodo in cui non soltanto lui, ma i suoi stessi genitori, e i loro prima ancora, nonché l’intera linea famiglia variegata fin dalla creazione degli oceani del pianeta, si sono guadagnati da mangiare risucchiando al loro interno la sabbia intrisa di minuscoli organismi ed…Altre cose, per filtrarla e renderla più pura. Proprio così: funziona tutto all’incontrario, quaggiù. Dove Cet defeca, non c’è sporcizia. Ma l’estrema purezza del canto degli angeli, il profumo neutro dei fiori di campo. Qualcuno potrebbe addirittura raccogliere quei piccoli cilindri a forma di salsiccia, e usarli per farne degli ottimi castelli di sabbia, completi di merlatura, pista per le biglie e tutto il resto.
Ora, questo essere perfettamente soddisfatto della propria vita, che dal punto di vista scientifico (se fosse mai stato a scuola) potrebbe dirsi un orgoglioso appartenente alla classe delle oloturie o cetrioli di mare, non sperimenta numerosi eventi atipici nel corso della sua esistenza. Persino il momento dell’accoppiamento, nel caso in cui la specie presa in analisi preveda in effetti i due sessi separati, non comporta altro che il rilascio automatico di sperma ed ovuli nella corrente, confidando nella natura per fare il resto. La maggior parte dei predatori, nel frattempo, lo ignorano bellamente, consapevoli che un solo assaggio basterebbe a indurre in loro l’avvelenamento. Senza ombra di dubbio, si può dunque dire che il momento più eccitante per lui è l’occasionale incontro, e successiva convivenza, con un serpeggiante coinquilino del profondo, il carapide chiamato pesce perla. “Ma come può esistere la convivenza tra costoro…” Mi sembra di sentire l’ottima domanda: “Quando nessuno dei due possiede una casa?” Semplicissimo: l’uno dovrà vivere DENTRO l’altro. Il pesce. È il pesce che sceglie di farlo.
Una visione bizzarra. Una scena inquietante. Uno di quei casi in cui sarebbe meglio, coscienziosamente, mettere da pare l’umano desiderio di creare termini di paragone, immaginandosi allo sconveniente posto del nostro inconsapevole eroe. Ritorniamo dunque al nostro Cet, intento a strisciare lentamente verso misteriose destinazioni grazie all’impiego dei suoi minuscoli piedini a tubo, dotati di ventose per assicurarsi ad uno scoglio in caso di necessità. Quando all’improvviso, un’ombra scura e serpeggiante si avvicina alla sua massa grinzosa, guizzando da una parte all’altra in cerca di qualcosa. Qui no, qui no, sembra pensare, mentre esamina la parte frontale, i lati e il dorso dell’essere cilindriforme, che comunque non ha occhi per notarlo e quindi preoccuparsene in alcun modo. Finché alla fine, Eureka! Il pesce è riuscito nella sua missione, d’individuare la straordinaria posizione, in altri termini l’argenteo bassopiano, che qualcuno, un tempo, avrebbe definito l’ano. Ora l’effettivo ingresso, o invasione che dir si voglia (qualcuno, esagerando, giungerebbe a definirla una penetrazione) è particolarmente rilevante da osservare, perché avviene alla velocità del fulmine del tuono. Così dove un attimo prima c’erano due esseri, ne resta soltanto uno, con il carapide che sembra fare un gioco di prestigio, ed in un attimo sparisce all’intero del cetriolo di mare. Perché succede? C’è davvero una ragione? La natura può essere così crudele? Beh, la realtà è che non c’è alcun aspetto negativo in questo splendido momento di condivisione. Tanto che persino chiamare il pesce un parassita, non sarebbe del tutto corretto. Anche se è lui, che riesce a trarne il più significativo dei vantaggi, ovvero la sopravvivenza…

Leggi tutto

Il muco malefico del pesce strega

Hagfish

Un bicchierino sopra il tavolo, due guanti bianchi, quella che sembrerebbe a tutti gli effetti una comune anguilla. Sembrerebbe! Perché in poco tempo, lo scienziato inizia una curiosa procedura che basta a denunciarne la natura fuori dal comune. Sul fianco dell’animale, che ci viene assicurato essere stato solamente addormentato, viene inflitta una leggera scarica elettricità, sufficiente a stimolare alcune ghiandole invisibili da questa angolazione. Quindi, con una piccola spatola di metallo, se ne raccoglie il frutto totalmente trasparente: alcuni grammi di una sostanza perfettamente trasparente, la potente secrezione difensiva di questa creatura. Il cui utilizzo deputato, nel presente caso, diviene presto chiaro. Quando l’attrezzo viene immerso in un bicchiere, sottoponendo la mistura risultante ad un’energica miscelatura. Poco dopo, quello che era liquido, diviene denso, e cola verso il basso, in un modo che potrebbe facilmente lasciarvi basiti…
Ci sono più cose in cielo e in terra…Che camminano, strisciano, battono le ali. Ma se quelle sono infiniti miliardi, allora che dire delle bestie che si spostano tra luci ed ombre, sopra l’onde e dentro i flutti delle acquatiche profondità? Dove il rapporto tra le dimensioni e la capacità d’imporsi è spesso trascurabile, tra le armi evolutive più sofisticate ed efficaci. Perché se dovessimo partire all’interno di uno scafo sommergibile, con apertura panoramica su tutti i lati, per una discesa verso il ripido fondale, ciò che passa innanzi ai nostri stessi occhi basterebbe a comprendere quella marcia senza posa, che dall’uovo primordiale ci ha condotti a…Pesci dalle ali argentee, che rimbalzano leggiadri verso l’orizzonte. Mentre poco sotto, i caranghi carnivori della zona superficiale guizzano nervosi, riorientando i grossi bulbi verso le possibili fonti di cibo. E ancora oltre, dove i raggi della luce iniziano a farsi più radi, meduse a profusione, del tutto immobili e insensibili, essere non-vivi ma certamente neanche morti, le cui cellule tossiche, i nematocisti, bastano a scoraggiare tutti i predatori tranne quelli più determinati. Un delfino tra le ombre, soffiando il suo richiamo, delicatamente si avvicina, apre la bocca e ne risucchia una. Sembra sorridere, come se fosse l’unico a conoscere un segreto. Ma non è tempo di fermarsi ad indagare, mentre già la struttura di metallo sommergibile inizia a scricchiolare, per l’aumento costante della terribile pressione. Ancora più giù, tra gli squali della zona mesopelagica, possenti nuotatori, creature prive di uno scheletro nel senso più comune, perché provenienti da una diversa pagina del nostro grande libro. Questi pesci cartilaginei, dalla doppia fila di denti estremamente acuminati, del tutto indifferenti ai capodogli che percorrono le alterne correnti, e polipi giganti, e colossali calamari… E ancora non ci siamo, perché più giù, più giù dobbiamo andare. Sotto i 1.000 metri, nel buio ormai pressoché totale, dove inizia la zona batipelagica dei pesci granatieri (Macrouridae) la coda lunga e serpeggiante, con chemiorecettori lungo i fianchi, sotto la pelle pallida e malsana, a fare da strumenti per trovare la precisa via risolutiva di giornata. Altre creature, adottano diverse strategie: qui ancora si spingono, talvolta, i grossi tonni obesi (T. obesus), esploratori trasversali degli ambienti circostanti, privi del concetto di un confine tanto arbitrario, limitatamente verticale. Ma persino i loro grandi occhi, qui sotto, servono davvero a poco. D’un tratto, il nostro batiscafo appare stranamente silenzioso. Verso i 2.000 metri, nulla pare muoversi, e anche quelle poche creature che persistono nel vagheggiare, lo fanno in modo estremamente cauto. Se dovessimo trovarci presso una regione davvero profonda dell’oceano, da qui partirebbe la zona abissopelagica, mistico appannaggio delle occulte rane pescatrici, oltre ad organismi la cui logica ci sfugge ancora largamente. Ma ecco che le nostre luci, d’improvviso, incontrano il fondale! Dove nonostante l’opprimente oscurità degli altri giorni, serpeggianti cose hanno il metodo di prosperare. E quelle cose sono i missinoidi, simili ad anguille, spazzini simili alla lampreda, ma con almeno una freccia speciale al proprio arco. Estremamente appiccicosa.

Leggi tutto

1 11 12 13