In una conversazione radiofonica del 2021 giudicata abbastanza rilevante da costituire l’unico contenuto pubblicato sul canale YouTube di un progetto scientifico internazionale, il responsabile del Laboratorio dei Sistemi Intelligenti dell’Istituto Scientifico di Losanna, Dario Floreano, racconta di essersi ad un certo punto interrogato su cosa potesse servire davvero per riuscire a replicare in modo artificiale un essere vivente. Giungendo all’improvvisa realizzazione: una delle principali caratteristiche delle creature biologiche, è la loro capacità di mangiarsi a vicenda. Siamo davvero certi che tale priorità risulti totalmente irraggiungibile, sulla base delle soluzioni tecnologiche di cui attualmente siamo dotati? Avendo identificato un simile pensiero come ben più che mera elucubrazione, anche data la sua posizione accademica di rilievo, lo scienziato ed ingegnere avrebbe quindi avviato la proposta del piano Robofood, iniziativa con finanziamenti a livello europeo per la creazione di un automa commestibile, in un certo senso l’incontro impossibile tra il settore gastronomico e quello della creatività ingegneristica finalizzata allo scopo di migliorare le nostre vita. Il che ci porta, paradossalmente, fuori strada e su settori più o meno in linea con tale obiettivo, fino all’epocale presentazione nel padiglione svizzero all’Expo di Osaka, in collaborazione con L’Istituto di Tecnologia di Genova, di quella che potremmo definire come la più insolita torta di matrimonio della corrente decade. Tre livelli di pan di spagna sovrapposti con sopra la piattaforma sommitale la caratteristica coppia di figure “lui & lei” (in questo caso, orsetti) intenti a muovere ritmicamente le braccia in una sorta di rudimentale danza. E fin qui nulla di troppo strano, finché non si viene a conoscenza della fonte d’energia che alimenta i loro muscoli pneumatici, assieme ai LED contenuti nella coppia di candeline del piano sottostante. Stiamo qui parlando, in parole povere, della prima batteria prodotta con un misto di carboni attivi e rivestita di cioccolata, dal potenziale elettrolitico fornito da riboflavina/vitamina B2 ed il flavonolo di origine vegetale chiamato quercetina. La cui autonomia non è del tutto chiara benché una cosa possa essere, inaspettatamente, sicura: ogni singolo elemento costituente di questa insolita creazione culinaria, candeline escluse, può essere completamente fagocitata dall’uomo. Risultando avere, a quanto ci viene spiegato, anche un buon sapore. A partire dagli orsetti stessi che sarebbero dotati di un gradevole gusto di melograno…
Visioni sataniche dal rosso preoccupante o sottilmente surreali, con priorità non propriamente ragionevoli nell’opinione di alcuni commentatori online. Considerato il mondo in cui viviamo ed i suoi moltissimi problemi, perché dedicarsi in quel contesto alla presentazione di una creazione tanto secondaria ed in funzione di ciò, dotata per definizioni di caratteristiche affini alla decadenza? Vediamo di analizzare, a tal proposito, le circostanze dell’evento dalla rutilante risonanza mediatica, che nel corso delle ultime due settimane è rimbalzato da un lato all’altro di Internet con palese entusiasmo degli articolisti d’innumerevoli testate sugli usi e costumi della società vigente. L’Expo di Osaka, esposizione universale di questo quinquennio nominalmente dedicata alla dimostrazione della “Società del futuro per le nostre vite” si tiene all’interno del più grande anello strutturale realizzato totalmente in legno della storia umana (oltre 61.000 metri quadri di area interna) dove il padiglione della Svizzera si profila come una compenetrazione di bolle interconnesse composte di materiali sostenibili, esso stesso un apprezzabile trionfo della tecnologia impiegata ben al di sopra delle mere esigenze del quotidiano. Lo scopo è far emergere le caratteristiche dei rispettivi paesi ed in tali circostanze, nulla può essere conservativo a rischio di scomparire stagliandosi sul rumore di fondo. Lo scopo reale della robotorta è dunque soprattutto quello di far parlare delle possibilità offerte da un singolare campo di ricerca, dimostrando nel contempo al mondo la validità degli obiettivi già raggiunti da parte delle menti fin qui coinvolte. Ed in merito a possibili applicazioni future che non risultano essere, sorprendentemente, affatto carenti. Robot commestibili potrebbero, ad esempio, fornire sostentamento a persone in situazioni disagiate, veicolare farmaci in assenza di un sistema digerente funzionante o a vantaggio di animali in via d’estinzione. Una batteria commestibile tra l’altro è anche di per se biodegradabile, il che è più di quanto si possa dire per il cuore degli innumerevoli gadget che arricchiscono le nostre giornate.
Lo stesso sito ufficiale di Robofood chiedeva al pubblico, in modo suggestivo: “Immaginate di ordinare per corrispondenza un pasto e che in breve tempo giunga a consegnarvelo un drone. Ma il dispositivo in questione non trasporta affatto del cibo. Potendo costituire esso stesso, in ogni suo singolo elemento costituente, il vostro pranzo, merenda o cena.” Il che potrà anche essere difficile da immaginare in senso pratico, al minimo per l’eventuale e problematico interesse di gabbiani sul percorso verso la meta finale. Benché gli organismi biologici abbiano anche dei sistemi per eludere o sfuggire ad eventuali predatori. E dovremmo forse credere che gli avanzati robot costruiti dagli umani siano incapaci di riuscire a fare, in linea di principio, lo stesso?
Per quanto concerne la partecipazione dell’Istituto di Tecnologia italiano, normalmente non facente parte dello staff coinvolto nel progetto a conduzione svizzera, gli effettivi traguardi a cui abbiamo contribuito non vengono resi del tutto espliciti nei documenti di presentazione, benché sia facilmente immaginabile vadano ben oltre consulenze di natura culinaria ed in merito agli ingredienti da utilizzare. Lo stesso direttore dell’IIT a partire dal 2020, Giorgio Metta è d’altra parte una figura con significative competenze nel campo della creazione di esseri meccanici, risultando personalmente il principale creatore e figura chiave del robottino iCub, pensato per simulare aspetto, capacità motorie ed intellettive pari a quelle di un bambino di tre anni. Ancorché in tal caso, l’effettiva commestibilità dell’oggetto in questione avrebbe senz’altro potuto risultare controproducente.
Dopotutto non è semplice suscitare empatia ed al tempo stesso appetito, un incontro di sentimenti che da sempre genera conflitti negli animalisti che non siano al tempo stesso vegani. E resta perciò indubbio come orsetti più sofisticati, ipoteticamente inclini all’eloquio o al rispetto delle tre leggi della robotica asimoviane, potrebbero trovarsi ad avere effetti controproducenti per l’appetito. Ma come potremmo individuare per inferenza nel motto dell’Expo giapponese, le convenzioni cambiano e con esse le aspettative del pubblico. L’ardua sentenza, come si usa dire, ai gourmand.