Il bullone divino che mantiene l’elicottero in volo

Si dice che il diavolo sia nei dettagli, poiché è nella natura stessa degli esseri umani, affini al principio supremo dell’universo, osservare per sommi capi le cose, tradendo se stessi nelle questioni apparentemente prive d’importanza. Il che è soltanto un altro modo di dire che mentre Dio è triangolare, poiché tende sempre alla realizzazione di un obiettivo, Satana assume la forma di una perfetta circonferenza, in cui ciascun punto insegue se stesso, e nel contempo la quantità totalità dei suoi innumerevoli cloni. Esiste tuttavia un caso, uno solo nel mondo a noi noto, in cui la Grazia suprema risiede all’interno del cerchio. E per comprenderne il senso occorrerà ricorrere, come si usava a quei tempi, alla narrazione di una parabola esplicativa: la storia dell’elicotterista. Egli portava il nome di Thom Jefferson, e verso la fine del 1966, svolgeva con impeto la sua funzione di mitragliere del portello principale, a bordo di un elicottero Bell UH-1 Iroquois, comunemente detto “lo Huey”. Il che lo poneva, geograficamente, nei tenebrosi recessi di una delle più sanguinarie guerre del mondo moderno, quel conflitto vietnamita che a un certo punto diventò di dominio pubblico, accendendo la lampadina della sua colossale inutilità. Ma per tornare a noi, codesto membro dell’esercito era situato, al principio della vicenda, presso l’area di Bong Son vicino An Khe, dove lui, i due piloti e un gruppo di assaltatori erano stati incaricati di scardinare una fortificazione nemica. Così lasciati scivolare a terra i sanguinari marines mediante la fune d’ordinanza, Jefferson si chinò per un attimo per uno strano rumore nella carlinga, quando un proiettile penetrò attraverso la paratia, esattamente dove la sua testa si trovava soltanto un secondo prima. L’elicottero era sotto il fuoco nemico, e in breve tempo le armi automatiche di Charlie, puntate con astio inverecondo, perforarono il serbatoio, il sistema idraulico e alcuni dei servomeccanismi del motore! Faticando immensamente, tuttavia, i piloti mantennero l’uccello in volo, che barcollando in alternanza da una parte e dall’altra, riuscì per fortuna a giungere fino al campo d’atterraggio. Nessuno a bordo riportò alcuna ferita. L’ufficiale meccanico quindi, vedendo la situazione dell’apparato principale, esclamò: “Non è possibile che siate vivi, niente avrebbe potuto volare in queste condizioni.” Quindi Jefferson, arrampicandosi sulla scaletta, andò anche lui ad osservare il punto in cui il rotore dell’elicottero era assicurato al motore. E vide lo scempio causato dai proiettili, mentre un solo bullone, al centro di tutto, rimaneva perfettamente privo di danni evidenti. Alzando lentamente lo sguardo, quindi, si rivolse alla controparte: “Maggiore, lei non capisce. Se l’elicottero è rimasto intero, c’è una sola possibile ragione. Deve averlo aiutato il Figlio di Dio in persona.”
Così nacque secondo la leggenda il termine, spesso utilizzato come metafora nei sermoni degli Stati Uniti (ma COSA non lo è?) di Jesus nut, ovvero “Il bullone di Gesù”. Antonomasia del cosiddetto singolo punto di vulnerabilità, un oggetto talmente piccolo da entrare in una mano e che costituisce tuttavia l’unico responsabile, ovvero il cardine stesso, di quell’intero sistema volante che è l’elicottero, direttamente interconnesso alla vita di tutti coloro che si trovano a bordo. Si potrebbe in effetti dire che il componente in questione sostenga in autonomia le 2-3 tonnellate del mezzo, contro la forza di gravità e mentre esso si trova variabilmente distante dal rifugio sicuro del duro suolo…

Esperti professionisti installano il rotore di un elicottero Bell 206. Grazie al posizionamento della telecamera, è possibile osservare la crenellatura entro cui troverà posto il bullone di Dio.

Il termine tecnico per definire un simile arnese sarebbe, per l’appunto, bullone principale di sostegno dell’apparato, mentre la forma stessa che lo caratterizza permette, almeno in parte, di comprenderne istintivamente la funzione. Il componente si presenta come un ingranaggio crenellato, con due chiavi di blocco, la prima connessa all’albero motore, mentre la seconda risiede, di traverso, all’incontro delle due, tre o quattro pale rotanti, incaricate a seconda dei casi di generare il fenomeno fisico della portanza. Questo bullone viene generalmente inserito e montato a mano, mentre la sua collocazione avviene unicamente mediante cacciaviti e chiavi, proprio perché controllarne la tensione risulta essere di così fondamentale importanza. Esso tenderà, in ogni caso, a stringersi ulteriormente durante il volo, poiché la filettatura risulterà sempre inversa alla rotazione impressa dalle pale dell’elicottero di destinazione. Come potrete facilmente immaginare, gli incidenti con tale componente sono piuttosto rari, per il semplice fatto che ogni ispettore degno di questo nome, incaricato delle procedure pre-volo, tenderà sempre a controllarlo per primo, dandogli magari un paio di colpetti con il martello per verificare che sia ben stretto e solido nella sua sede. Tuttavia le distrazioni capitano e nel caso di un simile oggetto, possono condurre al disastro totale.
Una questione non sempre nota dell’elicottero in quanto tale risulta essere, in effetti, che esso può sempre planare verso la salvezza, a seguito di un’avaria, grazie al fenomeno aerodinamico dell’auto-rotazione. Ma non esiste nessuna possibilità simile, nel caso della rottura o del fallimento del bullone di Dio, semplicemente perché ogni singola pala del velivolo fuoriuscirà dalla sua sede, venendo lanciata verso bersagli impossibilmente lontani. Un elicottero senza questo bullone è soltanto una scatola da un paio di tonnellate destinata a lasciare un cratere per terra. Tra i marines americani esiste un detto: “Il suo nome è  bullone divino perché se si rompe, per prima cosa chiami il Suo nome. Quindi entro un paio di minuti al massimo, corri direttamente ad incontrarlo.” Un incidente simile può essere ad esempio identificato in quello subito nel 2016 da un EC225 Super Puma nei pressi dell’isola norvegese di Turøy, mentre portava del personale di ritorno dalla piattaforma petrolifera del sito Gullfaks B. La scena è stata assolutamente terribile a vedersi: semplicemente il mezzo è caduto dritto a terra, in un vortice di fumo e fiamme, mentre le sue pale, come un giocattolo per bambini, hanno continuato a fluttuare leggiadre in aria. Evento a seguito del quale, purtroppo, 13 persone persero la vita.

Il video dell’incidente di Turøy è strano e incomprensibile, quasi surreale. Finché l’inquadratura si sposta verso il punto d’impatto, evidenziandone le terribili implicazioni.

Nell’ingegneria elicotteristica moderna si è tentato quindi, per quanto possibile, di eliminare il ruolo insostituibile del bullone di Dio. Ci sono velivoli, come il Sikorsky S-61, in cui le pale vengono innestate direttamente sull’albero motore, come evidenziato da alcune animazioni 3D su YouTube. Mentre il rinomato Sikorsky UH-60 “Black Hawk” presenta una ghiera molto più grande e complessa, con tredici bulloni a mantenerla in posizione, che per dare continuità alla metafora potrebbero prendere il nome degli apostoli di Gesù. Ma non tutti i più moderni mezzi ad ala rotante possono fare a meno di un simile componente primario, ad esempio tutt’ora presente, in tutta la sua precaria magnificenza, nel Boeing AH-64 Apache, l’elicottero da attacco più noto a videogiocatori e cultori della cinematografia di guerra. Una macchina distruttrice ed armata fino ai denti, della quale tuttavia ad aprile di quest’anno sono stati ritirati un certo numero non dichiarato d’esemplari, a causa di un incidente per sospetto cedimento della Jesus nut. Costato, per inciso, il caro prezzo della vita di due soldati, impegnati in una missione d’addestramento presso Fort Campbell, Kentucky.
Perché dunque, se è vero che esistono delle alternative, simili elicotteri non vengono completamente riprogettati, eliminando così il pericoloso singolo punto di vulnerabilità? La risposta potrebbe sorprendervi, o convincervi a disdire il volo panoramico che avevate prenotato sopra la città di New York: il concetto stesso dell’elicottero in quanto tale, costituisce nei fatti un agglomerato critico di singoli punti di vulnerabilità. Ci sono così tante cose diverse, in un simile meccanismo perverso, che possono andare storte e causare l’irrimediabile autodistruzione di tutto e tutti, che un singolo bullone non fa poi una così radicale differenza. Esiste una citazione, attribuita ad uno dei meccanici impiegati dall’ingegnere russo Igor’ Ivanovič Sikorskij emigrato negli Stati Uniti, inventore di un tale concentrato d’impossibilità volanti, che recita: “Di sicuro, perché tutto questo possa staccarsi da terra, sarà necessario l’intervento diretto di Dio.” Ma una volta considerati approfonditamente i fattori in gioco, non sarebbe poi così sbagliato attribuire l’ispirazione che ci ha condotto a questo agli antipodi, ovvero colui che risiede sul trono di fiamme, nelle profondità chtonie dell’aldilà. Per fortuna esistono le alternative. Dopo tutto, avete mai sentito parlare di un aereo che perde entrambe le ali in volo? Uhm…

Il bullone di Gesù è indicato in questo diagramma al punto 8

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