Artista dimostra per gioco la lentezza stratosferica dell’Universo

Se soltanto a causa di un fenomeno imprevisto, tra 14 milioni di anni, ogni atomo d’idrogeno dell’universo iniziasse a replicarsi come cellule viventi… Causando l’istantanea crescita, seguita dal collasso, di una quantità spropositata di astri cosmici…. E se tali e tante stelle, raggiunto l’iperboreo stato di una supernova, sprigionassero all’unisono quell’energia magicamente convogliata nell’esecuzione di un singolo gesto, azionare la macchina nella maniera auspicata… Allora forse, molto lentamente, l’ultima di quelle ruote girerebbe di uno, due o tre gradi! Niente più di questo. E niente meno di un tale miracolo sarebbe sufficiente a farlo capitare, poiché, come spiega il costruttore di un simile attrezzo, “Scientificamente parlando, tale possibilità è inesistente.” E saremmo in molti a questo punto a collocare idealmente Daniel de Bruin in qualche monumentale laboratorio di ricerca all’interno di una struttura simile a Black Mesa, semi-sepolta nelle sabbie dei deserti nordamericani. Magari uno scienziato veterano dal candido camice e capigliatura, gli occhiali protettivi, circondato da un’equipe di sicofanti in grado di rivaleggiare con quelli di un film di James di Bond. Invece che un giovane artista olandese, telecamera alla mano, del variopinto e variegato mondo creativo di YouTube. Niente mezzi o materiali d’irreperibilità estrema: perché un oggetto come questo, dopo tutto, rappresenta sopratutto un potenziale irrealizzato, piuttosto che una materiale casistica dei nostri giorni. Il che permette, come appare molto chiaro, di usare almeno in parte lo strumento della fantasia.
“Macchina inutile” d’altronde, non può che essere un concetto sopravvalutato. Sebbene questa riesca ad andarci veramente vicino: soddisfacente susseguirsi di 100 ruote d’ingranaggio grandi e piccole, ciascuna in grado di ridurre il movimento in un fattore di 10 a 1. Verso la crescita esponenziale, e proporzionale rallentamento, della forza messa in moto dal funzionamento del motore originale. Alla prima delle due estremità. Ed all’altra? Bé volendo essere schietti, non avremo modo di vederla muoversi prima di “qualche” tempo. Ovvero, secondo i calcoli di Daniel, l’intero trascorrere di 3 o 4 secondi (tempo necessario perché la prima ruota compia un’intera rotazione) elevato a un googolione di volte. Forse già conoscerete questo numero, nominato per la prima volta dal matematico Edward Kasner nel 1938: stiamo parlando, nei fatti, di un “uno” seguito da cento zeri. Non esattamente un ordine di grandezza a cui gli esseri umani sono abituati a pensare… In un’iniziativa che potremmo chiaramente associare a quello di un artista contemporaneo, sebbene abbia l’evidente desiderio di essere associato a un tipico gioco memetico di Internet, come la scatola che preme il suo stesso interruttore on/off a seguito di ogni avvenuta attivazione, tramite l’apposito “dito meccanico” nascosto all’interno. Con un peso ed un significato filosofico, tuttavia, sensibilmente più profondi…

Nella creatività dell’americano Arthur Ganson, molte delle opere create provengono dal mondo inusitato dei sogni. Durante notti nelle quali, a quanto sembra, forze estranee sussistono nell’aria tenebrosa del New Hampshire…

Si dice del resto che l’ottimo artista non crei mai nulla a partire dal nulla, come nei processi ambientali e geologici che determinano il passaggio delle Ere. E la creazione di questo inventore di Utrecht, d’altra parte, si configura nella categoria pregressa dei cosiddetti orologi universali, costruiti al fine di misurare, o in qualche modo dimostrare, il trascorrere di una quantità inusitata di giorni. In una particolare esecuzione, quella di un susseguirsi di rapporti rotativi, perfettamente in linea da quanto proposto nel 2008 dal collega artista Arthur Ganson, con il suo “Macchina con Cemento”. Opera composta, essenzialmente, da tre parti: 1 – Un motore elettrico. 2 – Il susseguirsi di 12 paia di ruote d’ingranaggio. 3 – Il titolare blocco di materiale da costruzione, usato per bloccare l’ultima di tali componenti. Il tutto nella visualizzazione esplicita di quanto, d’altra parte, l’esecutore internettiano dello stesso concetto ha scelto di lasciare aperto all’interpretazione osservatore: il fatto che l’ultima ruota, per quanto possiamo immaginare, non si muoverà MAI. Dopo tutto, basta un attimo per realizzarlo: anche ipotizzando che potesse esistere una fonte d’energia abbastanza duratura, ed anche se l’universo potesse continuare ad esistere nel suo stato corrente per 3 o 4 secondi elevati a un googolione di volte (qualcosa di molto lontano, eppure al tempo stesso drammaticamente vicino all’Infinito) come potremmo credere che l’intera macchina non sia già diventata polvere da tempo? Anche perché i materiali, almeno in apparenza un prodotto della stampa tridimensionale, si usurerebbero nel giro di qualche settimana appena di funzionamento ininterrotto. Il che d’altra parte, conduce alla successiva domanda: che cosa succederebbe esattamente alla prima ruota se David, o qualcun altro di altrettanto coraggioso, avessero l’iniziativa di azionare la macchina a partire da quella opposta. Eccoci, dunque, ci siamo! A una domanda la cui portata può essere paragonata, nei fatti, ad uno dei quesiti fondamentali della nostra stessa Esistenza. Poiché possiamo ragionevolmente affermare che riuscire nell’impresa genererebbe una quantità di energia, attraverso la rotazione del primo ingranaggio, largamente superiore a quella attualmente presente nell’universo. Non soltanto superando la velocità della luce, ma creando letteralmente un buco nero in grado di cancellare l’intera regione dello spazio osservabile e conosciuto. Fortuna, quindi, che un simile gesto risulti semplicemente impossibile, per affermare in altri termini che non esista un materiale sufficientemente resistente perché, applicando la forza necessaria a dare inizio al cataclisma, l’intero assemblaggio non esploda semplicemente in un milione di piccoli pezzi. Almeno finché esso continuerà ad esistere, semplicemente, in un piano materiale dell’esistenza…

È lo strumento del gioco, molto spesso, che permette di accedere alle idee più sfrenate raggiungibili dalle interconnessioni neuronali che compongono la mente umana. Ma soltanto liberandosi dai limiti della materia (i.e, attraverso spazi virtuali) diventa possibile, addirittura, visualizzarle.

Mondi dentro altri mondi, dentro altri mondi che si sovrappongono, in un gioco che l’umanità non può comprendere, pur avendolo a tutti gli effetti, creato. In un’epoca in cui esistono le reti neurali, aggregati di sub-routine meccaniche che elaborano il pensiero alla velocità dei fotoni, applicandone le conseguenze su rapporti di scala precedentemente inusitati, tutto appare possibile, persino il superamento delle leggi fisiche dell’universo.
Così viene da un terzo creativo, forse, una maggiormente “probabile” visualizzazione del prototipico iper-numero di Kasner, grazie al più inaspettato ma funzionale degli strumenti: il videogioco Minecraft. Passatempo delle costruzioni cubiche, basato sul principio della grafica voxel, ma anche uno strumento creativo dimostratosi a più riprese particolarmente flessibile, grazie all’opera continuativa di un miliardo di attori umani per oltre 10 anni (un’Eternità, in questo settore) ormai lungamente transitati presso regioni ludiche di tipo differente. Finalizzato, sostanzialmente, nel trasferire una serie di unità segnatempo, ciascuna di esse un orologio, attraverso una serie di contenitori, ad un ritmo automatico che aumenta in modo esponenziale. Fino al raggiungimento, e superamento, del limite arbitrario di un googolione. Il che ci porta, grazie al contesto digitalizzato, anche ad alcune utili notazioni di tempo: 3 trilioni di anni perché una sola unità raggiunga l’ottavo “orologio”. E nessun problema nell’inserirne altri 8, ed altri 8 ancora.
Il che dimostra, in ultima analisi, quanto sia facile costruire la possibilità di un qualcosa, rispetto all’effettivo realizzarsi di un’ipotesi di qualsivoglia portata. Perché tra il dire e il far (girare) come osserva il celebre proverbio, c’è di mezzo un mare… Di stelle pronte a esplodere, al comando del probabile demiurgo che ci osserva non appena egli dovesse risvegliarsi, tragicamente, annoiato.

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