L’antica genesi dell’arpa e le palline da ping pong delle remote profondità marine

La ragione per cui l’abusato modo di dire “Come vendere frigoriferi agli eschimesi” appare ormai desueto, o quanto meno dovrebbe tendere a farlo, è che un diverso tipo di pensiero può essere desunto dalla più materialistica espressione: “Allo stesso modo di chi affitta ombrelli, ai pesci e gli altri esseri sottomarini”. In altri termini perfetti parasole, in altri casi, strumenti musicali o basici accessori per la pratica di quel tipo di sport che nel più ampio ventaglio dei casi, consiste nel far rimbalzare una pallina da un lato all’altro di un tavolo rettangolare, mentre ci si tuffa nell’auspicabile speranza di riuscire a offrire una risposta valida e mandarla oltre la racchetta del proprio avversario. Oppure tennistavolo: se mai c’è stato un altro tipo di attività, che sottintende una specifica serie di condizioni fisiche, gravitazionali e di resistenza dell’aria… Completamente irriproducibili al di sotto delle superfici acquee, dove la Sirenetta rivolgeva il proprio sguardo e anelito verso inimmaginabili opportunità d’emersione. Eppur di certo proprio lei, prima di stringere malcapitati patti con creature dai tentacoli a raggiera, avrebbe potuto apprezzare l’opportunità di fare pratica sott’acqua in molte delle tecniche e i sistemi in uso tra le genti di superficie! Vedi l’arte musicale che riesce ad essere esemplificata, o quanto meno esteriormente rappresentata, dalla forma soavemente armonica di quest’altra notevole creatura, il cui ruolo e aspetto potrebbero rassomigliare a quelli dell’aspirapolvere-pterodattilo, o la televisione stegosauro, del celebre cartoon degli Antenati. Poiché rappresenta un innegabile rappresentante del mondo animale, tale membra della classe delle Demospongiae o spugne di mare, benché appaia di per se dotata di una serie di caratteristiche trasversalmente riconducibili alla collettività vegetale, oltre che all’ambito dell’oggettistica ad uso specifico di esseri dotati di orecchie, braccia e mani. Ed è Chondrocladia il suo genere d’appartenenza, più comunemente detto delle “spugne carnivore” mentre il nome specifico latino si presenta col binomio metaforico di C. lyra e non… Arpa.
Osservata per la prima (e ultima?) volta ad oltre 3500 metri di profondità a largo della California, per opera dei soliti operatori di batiscafi a controllo remoto dello Mbari (Monterey Aquarium Research Institute) nell’ormai remoto 2012, mentre operava facendo quello che, più di ogni altra cosa, sembrerebbe riuscirgli al meglio: prelevar dall’acqua valide fonti di sostentamento, che costituiscono le briciole danzanti e saltellanti di questo mondo. Ma non esattamente quel tipo di particolato, micro-particelle o ancor più infinitesimali organismi, che gli altri poriferi delle acque oceaniche sono soliti filtrare, facendo affidamento sulla naturale capacità d’assorbimento dei propri utili sistemi digerenti. Bensì effettivi cobepodi, oltre a larve di pesce ed altri esseri dotati di una propria mente e desiderio di sfuggirgli, tuttavia del tutto inutile di fronte alla furbizia evolutiva di questa particolare “spugna”. Che progressivamente attraverso i secoli, ha visto allungarsi le proprie propaggini fino alla forma verticale di una serie di preminenze o “pali” a partire dai sinuosi tentacoli che s’irradiano dal rizoma centrale, ciascuno rivestito di una serie di minuscoli uncini simili alla parte ruvida del velcro, tali da poter intrappolare qualsivoglia tipo di passante impreparato ad evitare di venirne a contatto. E così via a seguire, senza neanche la necessità di trasportare quel che è stato catturato fino a un qualche tipo di bocca, di cui comunque il predatore non risulta dotato, provvedendo a digerire gradualmente il malcapitato direttamente lì, sul ramo. Grazie all’uso di un vero e proprio microbioma simbiotico facente parte del suo involucro esteriore, che ne prepara l’assorbimento, a ulteriore coronamento di un funzionamento biologico perfettamente ed innegabilmente alieno. Una considerazione, quest’ultima, che potremmo trovare ancor più esplicita nella pregressa storia di un’altra rara appartenente a questo genere, la pianta che comunemente siamo giunti a definire, albero delle palline da ping pong. E mai nome avrebbe potuto essergli più adatto…

Durante la scena videoregistrata del prelievo (o cattura che dir si voglia) della Chondrocladia, il video s’interrompe all’improvviso proprio mentre la brutale pinza dei ricercatori afferra laboriosamente la parte bassa del sublime alberello. Dovrei essere considerato un pessimista, se immagino di lì a seguire un fallimento catastrofico della complessa manovra?

Facilmente collocabile nella circostanza di un’ulteriore spedizione subacquea dello Mbari, questa volta datata al 2017 presso le propaggini più profonde del golfo californiano, il suggestivo alberello chiamato scientificamente Chondrocladia verticallita sorge nella più totale solitudine, facendo affidamento per avere il predominio del suo territorio proprio sulla dote che mai nessuno potrebbe riuscire a togliergli: la sua innegabile rarità. Tale da portare a raccontare uno dei commentatori della scena, molto probabilmente facente parte dell’equipaggio della nave oceanografica a partire dalla quale viene direzionata la telecamera del caso (vera e propria “cabina di regia” dell’operazione) dell’aneddoto secondo cui la prima volta in cui un essere simile venne inquadrato in condizioni analoghe, ci si trovava in piena guerra fredda e in molti suggerirono che potesse trattarsi di un dispositivo artificiale di ascolto sovietico, se non addirittura l’antenna messa in tale posizione per l’opera di un qualche tipo di misteriosa civiltà aliena. Vista la forma stranamente oblunga, ma soprattutto il notevole comparto di sferoidi al termine delle propaggini e diramazioni, ciascuna armata della stessa serie di uncini che caratterizzano la C. lyra, sebbene disposti sulla base di un diverso piano architettonico e corrispondente metodologia di cattura. Interessante approccio, senza dubbio, alla risoluzione del problema di molti esseri bentonici dei più remoti recessi e profondità marine, costretti a nutrirsi di quel poco di cibo che riescono a racimolare in quei luoghi distanti dalla luce vivificatrice dell’astro solare, e le corrispondenti moltitudini di pratici organismi pronti alla consumazione. Così come riescono a fare, per loro conto e in forza di un antologico caso di convergenza evolutiva, le Hexactinellidi o silicospongie, un tipo di sugne altrettanto carnivore ma dotate di un insolito scheletro esterno di ossido di silicio, ragionevole approssimazione biologica del vetro. La cui forma maggiormente rigida assomiglia, di suo conto, a quella degli anemoni e non riesce nello stesso modo a ricordare la suggestiva collezione di oggettistica delle loro colleghe fin qui citate.
Per quanto concerne d’altra parte l’essenziale metodo riproduttivo, le demospongie del genere Chondrocladia sono solite fare affidamento su un sistema altrettanto riconducibile al loro dominio delle naturali correnti marine, che ogni cosa trasportano da un lato all’altro dei più oscuri recessi di questo pianeta. Inclusi gli spermatofori, contenuti in piccole sfere sulla cima dei “rametti” più alti, liberati ad intervalli regolari e successivamente catturati dal/dalla partner del caso (l’ermafroditismo da queste parti è di casa) che vedrà formarsi nel tentacolo corrispondente un piccolo ma significativo rigonfiamento. Dal quale potranno giungere a scaturire, dopo il trascorrere di un tempo incerto, i piccoli allo stato larvale, indotti a fluttuare nella colonna acquatica fino alla costituzione dell’arto simile a una radice nella parte inferiore del loro corpo, chiamato rizoma ed utile a piantarsi nelle sabbie soffici proprio come un alberello delle vaste foreste di superficie. Affinché una volta iniziata la fase sessile della propria vita, possano riuscire a fare a meno degli spostamenti l’intera progressione successiva dell’esistenza. Certo, a meno che la pinza facente parte della dotazione di un batiscafo oceanografico non venga a fare la sua parte. Prelevando il “campione” per ulteriori e più approfonditi studi. A discapito di qualsivoglia considerazione prudenziale sul lasciare integro ciò che non conosciamo realmente. Ed il cui stato di conservazione resta dunque, a conti fatti, del tutto ignoto.

Per quanto mai davvero sottoposte a studi molecolari particolarmente approfonditi, data la loro sostanziale rarità, le spugne carnivore del gruppo delle demospongie appaiono riconducibili a una serie di tratti ereditari, che potrebbero collocarne la prima esistenza su questa Terra attorno ai 15.000/20.000 anni fa.

Conclude la carrellata del qui presente post divulgativo, con simmetrico riferimento alla battuta d’apertura, quella particolare spugna carnivora dal nome di Cladorhiza mexicana, che informalmente si è trovata ad essere associata alla pratica forma dell’ombrello durante un’ulteriore spedizione del 2017, sebbene privo di alcun tipo di calotta in stoffa per deviare l’inesistente pioggia delle circostanze marine. Laddove le appariscenti stecche con la disposizione di petali floreali, altro non rappresentano che una versione alternativa della stessa trappola adesiva, che potremmo definire la perfetta realizzazione pratica adattata a uno scopo ideale: nutrirsi, prosperare, moltiplicarsi. Come la più ragionevole approssimazione, del concetto di una ragnatela, ma rimasta senza aracnide per dominare la partita. Che mai aveva imparato, attraverso i secoli pregressi, a intessere se stessa in molte suggestive fogge, soltanto per noi umani cariche di metaforiche allusioni.
Poiché cosa potrà mai importare, a chi giace e fluttua al tempo stesso per riuscire a sopravvivere, di ombrelli, palline o arpe? Colui o colei che suona la sua musica, secondo il piano di un’antica e ininterrotta sinfonia. Tra l’acuta indifferenza dei suoi spettatori, piccoli crostacei o sfortunati nuotatori… Il cui destino finale sarà l’invito a farsi avanti e diventare ospiti del capo dell’orchestra. Per moltissimi giorni a seguire, meditando sull’ingiusta ed indigesta Eternità.

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