Le inviolate simmetrie di Coca, castello sincretico nell’ansa del Voltoya

Se all’interno di un dizionario enciclopedico si volesse rappresentare l’idea stereotipica di una residenza fortificata medievale, alla voce relativa figurerebbe assai probabilmente qualcosa di molto simile al massiccio, elegante ed imponente castello della città di Coca, costruito dopo la metà del XV secolo nella regione di Segovia, all’interno della comunità indipendente di Castiglia e Leon. Un concentrato di elementi sovrapposti e squadrati, dalla ricca merlatura, quattro torri in ciascun angolo più l’alto mastio centrale, punteggiate di pericolose feritoie e piombatoie, per far piovere proiettili ed olio bollente sulla testa degli eventuali nemici. Eppure costruito, non senza una significativa quantità d’orgoglio, presso un territorio per lo più pianeggiante, con l’unica difesa naturale dell’incrocio tra i due corsi d’acqua Voltoya ed Erasma, non vicinissima benché abbastanza prossimi da intralciare i movimenti di un’armata sotto il tiro di balestre e cannoni. Questo perché il notevole edificio non fu costruito con finalità primariamente strategiche, lungo un’importante arteria commerciale o con l’effettivo scopo d’impedire l’accesso ad una roccaforte, bensì al fine principale di esibire il prestigio e l’influenza di una famiglia nobiliare, quella dei Fonseca di Siviglia, il cui principale esponente nel 1451, l’arcivescovo Alonso de Fonseca y Ulloa, portò a termine una trattativa con il Marchese di Santillana, ottenendo in gestione il feudo di Coca in cambio della città di Saldaña, per poi chiedere al re Juan II di Castiglia il permesso per costruirvi la sua fortezza di famiglia. Beneplacito presto accordato, sebbene il tempo necessario alla ratifica del trattato e l’età avanzata del compratore ne spostarono la messa in opera a carico del fratello Fernando de Fonseca ed in seguito a suo figlio Alonso de Fonseca y Avellaneda, a cui vengono attribuiti la maggior parte dei lavori nella prima costruzione del grande castello. Opera iniziata attorno al 1473 e che avrebbe richiesto esattamente vent’anni, giungendo a conclusione meno di una decade prima dell’inizio del secolo XVI. Sfruttando niente meno, come era usanza diffusa in quell’epoca nei territori di Spagna, che le competenze di un esperto architetto d’Oriente, il cui nome è stato tramandato come Alí Caro. Che nell’eseguire il progetto, utilizzò alcuni presupposti largamente originali, a partire dall’ampio utilizzo del mattone, piuttosto che imponenti pietre lapidarie utilizzate unicamente per le finestre, cancellate ed altri elementi discontinui nella solida facciata delle sue mura. Costruite, d’altra parte, calcolando uno spessore tale, ed abbondanza di materiali, da poter resistere secondo i suoi calcoli ad un’ampia serie di possibili assalti ed armi d’assedio. E verso l’ottenimento di uno stile complessivo ibrido, tra le sensibilità gotiche dell’Europa in quegli anni e le ornate affettazioni del cosiddetto stile Mudéjar o Mudegiaro, messo frequentemente in pratica dagli arabi rimasti nella penisola dopo la ritirata degli anni della Reconquista. Una sovrapposizione di registri la cui promessa efficienza militare, ben presto, si sarebbe ritrovata messa duramente alla prova…

I quattro angoli e relative torri principali della struttura centrale del castello possiedono altrettanti nomi univoci: Torre Pedro Mata, Torre del Muro, Torre dei Pesci e Torre dell’Omaggio. Unico elemento asimmetrica quest’ultima, abbastanza alta da avvistare in lontananza l’avvicinamento di eventuali armate nemiche.

Costruito fin da subito con evidenti finalità di rappresentanza, ed utilizzato per numerosi ricevimenti ed eventi organizzati dalla famiglia dei Fonseca il castello continuò ad essere ampliato ed abbellito dal secondo Alonso, che nel 1502 era diventato un influente capitano sotto l’autorità dei Re Cattolici, Isabella I di Castiglia e a Ferdinando II d’Aragona. Come ricompensa a suo titolo, quindi, venne decretato in via straordinaria che l’intero feudo non potesse essere ereditato dalle figlie femmine della famiglia, garantendo in tal modo il continuativo controllo da parte dei Fonseca a sempiterna memoria. In questi anni vennero coinvolti nell’ulteriore decorazione delle mura gli alarifes (maestri muratori) di Siviglia, che v’integrarono intriganti motivi geometrici, scale elicoidali e una volta finemente ornata sotto il soffitto della torre centrale, oltre a costruire la cappella e sala d’armi principale. La prima prova del fuoco e delle armi giunse perciò soltanto due anni dopo, quando il Marchese del Cenete avendo intrattenuto una tresca con la cugina di Alonso, Maria de Fonseca, tentò di prendere d’assalto le mura di Coca con un contingente d’uomini e relativo ariete per “salvarla”, ottenendo soltanto di essere ustionato gravemente dai difensori al di sotto di una delle imponenti porte fortificate. Un tentativo più organizzato di saccheggio sarebbe invece giunto nel 1521, da parte delle truppe popolari della rivolta dei Comuneros (o guerra delle comunità di Castiglia) già responsabili dell’incendio di Medina del Campo, ma che dopo aver verificato in prima persona l’imprendibilità delle alte mura, decisero di proseguire fino alla vicina fortezza di Alaejos. Senza ulteriori battaglie da combattere o vaste corti da ospitare, l’importante punto di riferimento diventò quindi successivamente un carcere, ospitando tra gli altri nei suoi sotterranei niente meno che Gaspar Alonso Pérez de Guzmán el Bueno , 9° duca di Medina Sidonia, che aveva provato a dichiararsi re dell’Andalusia proclamandone l’indipendenza nel 1645. Periodo a seguito del quale, per l’estinguersi del ramo principale dei Fonseca, il castello di Coca era passato ufficialmente sotto il controllo dell’importante casata del ducato di Alba. Fu l’inizio dell’era del declino a partire dall’abbandono nel 1730, con la cessazione delle opere di manutenzione ed il progressivo disfacimento delle mura esterne, fino alla condizione attuale che le vede largamente in rovina. Una situazione ulteriormente peggiorata a partire dal 1808, quando l’edificio cadde infine sotto il controllo delle truppe d’invasione francesi durante la Guerra d’Indipendenza Spagnola che lo utilizzarono come quartier generale per le operazioni nella regione, danneggiandolo e saccheggiandone i residui tesori. Molti degli elementi di maggior distinzione, come i mosaici e le maioliche mudéjar, furono devastati e portati via come ingombranti souvenir di guerra, fino alla restituzione ai legittimi proprietari nel 1812. Che non fecero molto per migliorare la situazione, quando la casata degli Alba vendette nel 1828 alcune colonne ed altri materiali a terze parti prelevandoli direttamente dalla struttura dell’antico castello. Operazione passata sotto silenzio per quasi un secolo, finché nel 1926 lo stato non ricevette in dono la struttura derelitta, decretandola contestualmente e tardivamente come un importante monumento nazionale.
Ciononostante caratterizzato oggi da uno stato di conservazione più che buono, il castello di Coca è stato sottoposto negli ultimi due secoli a reiterati e significativi interventi di restauro, il più estensivo dei quali durato quattro anni a partire dal 1954, sotto la supervisione dell’architetto avant-garde Miguel de los Santos Nicolás. Un’opera condotta con estrema attenzione all’autenticità della sua composizione originale, nonostante fosse stata concessa una totale autonomia d’intenti e metodi, al termine della quale venne aperta tra queste mura un’importante Scuola Forestale, per gli addetti alla conservazione del territorio.

Queste foto degli anni ’50 mostrano lo stato di sostanziale rovina in cui si trovava il castello prima del suo ultimo restauro, portato a termine sul finire della stessa decade ed anch’esso largamente documentato. Un cambiamento notevole, sebbene sia rimasto immutato il carattere fondamentale dell’edificio.

Celebre punto di riferimento turistico, grazie al suo aspetto al tempo stesso originale ed iconico, l’imponente dimora dei Fonseca compare all’interno di diversi contesti contemporanei, tra cui le riproduzioni in miniatura dei due parchi giochi Mudéjar di Olmedo e Minimundus di Klagenfurt. Famoso anche l’utilizzo come sfondo per una serie di puntate del popolare programma televisivo degli anni ’90, La noche de los castillos, durante il quale i concorrenti venivano chiamati a gareggiare in velocità ed in seguito competere in svariate prove all’interno di edifici storici di vari luoghi della Spagna. Occasione nella quale, tuttavia, le scene degli interni furono realizzate all’interno di una ricostruzione artificiale delle antiche e prestigiose sale.
Ma forse la collocazione più importante in epoca contemporanea è rintracciabile nella visione ideale che ricorre all’interno del senso comune, di quello che dovrebbe essere e rappresentare idealmente un luogo involabile capace di resistere alla furia delle moltitudini. Ma non quella, molto più implacabile, delle stagioni. Un solenne monito, in mattoni e pietre ponderose, a chi presume di poter cambiare l’andamento della Storia. Di fronte all’evidenza e la necessità di fare tutto quello che è possibile, entro le tempistiche determinate dall’imperturbabile trascorrere delle generazioni.

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