Il tempio scenografico della democrazia sul palcoscenico fluviale del Sarawak

Più volte paragonato a una tenda da circo alta 114 metri, uno spremiagrumi o una giostra da Luna Park, il Nuovo Edificio dell’Assemblea Legislativa di Kuching (Bangunan Dewan Undangan Negeri Sarawak Baru) vanta in realtà un’ispirazione soltanto in apparenza prosaica: quella della sommità di un ombrello, l’iconico payung negara usato dal capo costituzionale del suo paese. Una sorta di egida metaforica, o protezione del popolo dalle gravose avversità, al punto da aver generato l’espressione idiomatica di trovarsi sotto la sua copertura sovrana. Alimentando un proficuo senso di autocompiacimento patriottico e fiducia nei confronti dello stato. Ma il suo significato metaforico, esemplificato dai numerosi archi che sostengono la forma di una stella a nove punte, allude nel contempo all’inclinazione di una società multiculturale, capace di unire le proprie forze al fine di sostenere qualcosa di grande. Come per l’appunto, la stanza dove si riunisce il governo monocamerale di questa particolare regione a statuto autonomo della Malesia, all’ottavo piano dell’abnorme edificio.
C’è d’altra parte una storia di fraternità tra i popoli nella vicenda collegata alla modernizzazione della principale città malese sull’isola del Borneo, con i suoi 723.000 abitanti dislocati in prossimità della foce del Sarawak. Nome di un fiume e di uno stato, fin da quando il Raja Muda Hashimit abdicò nel 1841 a favore dell’avventuriero britannico James Brooke, dopo che l’esercito privato di quest’ultimo lo aveva assistito nel sedare la cruenta ribellione dei popoli Land Dayak. Se non che nel giro di anni, se non mesi, la gente dell’entroterra isolano avrebbe imparato ad ammirare questo nuovo ed a quanto si dice saggio governante, costruttore di scuole, ospedali, strade ed un sistema fognario. Rendendogli l’onore, del tutto privo di precedenti fino a quel particolare momento storico, d’inviare i propri capi a presenziare le assemblee pubbliche all’interno del suo surau di legno, l’edificio amministrativo fatto costruire in base all’usanza tradizionale dei Minangkabau, costrutto architettonico comparabile alla zawiya araba, ovvero quella parte della moschea dedicata alla gestione degli affari comunitari. Fu tuttavia nell’anno stesso della sua morte, il 1868, che l’assemblea cresciuta eccessivamente nel numero dei propri membri cominciò quindi a diventare raminga, riunendosi dapprima nel forte militare lungo il fiume, quindi nella vicina villa del governatore, poi nell’edificio del tribunale ed infine nella Sala per lo sviluppo Tun Abdul Razak. Era ormai il 1976 quando lo Yang di-Pertuan Agong, il sovrano eletto costituzionalmente del paese, inaugurò finalmente un luogo dedicato a quello che si era dimostrato capace di diventare nel frattempo un vero e proprio parlamento. Il cuboide palazzo del Wisma Bapa Malaysia (Edificio Padre della Malesia) deliberatamente ispirato alla struttura dalle funzioni simili presente presso la capitale nazionale, Kuala Lumpur. Una soluzione destinata a durare questa volta ben 33 anni, almeno finché il numero dei parlamentari, ormai cresciuto esponenzialmente, non richiese l’ennesimo miglioramento delle sale a loro dedicate. E fu così che una titanica struttura sorse, nuovamente, lungo le sponde del sacro fiume…

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La testa del gigante che sorveglia le ossa del castello di Kaliningrado

Nel sistema iconografico dell’animazione fantascientifica giapponese, la squadra degli eroi decolla dall’astronave in orbita dentro la testa dei propri robot antropomorfi, per combattere le presenze indesiderate. Nella Russia sovietica, la presenza indesiderata pratica il base jumping direttamente dalla testa del robot, per girare un video pronto alla pubblicazione online. E meno male che aveva il paracadute! Questo gioco delle inversioni d’altra parte, inventato possibilmente negli anni ’30 dall’autore di musical statunitense Cole Porter, è da sempre stato utilizzato al fine d’identificare le ironiche contraddizioni di uno stato di sorveglianza. Del tipo che parrebbe voler pubblicizzare se stesso la figura della Дом Советов o “Casa dei Soviet”, il massiccio edificio che fu approvato negli anni ’70 per poi restare eternamente incompleto, venendo associato dai locali al quasi-mezzo busto di un colosso sepolto, con le balconate quadrate simili ad occhi per scrutare le tribolazioni dei cittadini sottostanti. 50 metri di cemento brutalista o “futuribile” per dare forma ad un progetto dichiaratamente ispirato al Congresso nazionale di Brasilia, di suo conto disegnato dal celebre architetto sudamericano Oscar Niemeyer. Laddove l’autore di quello che sarebbe diventato il principale avamposto del blocco orientale nel contesto geografico mitteleuropeo, il suo collega vincitore dell’appalto Yulian Lvovich Shvartsbreim, aveva palesemente deciso di premere l’acceleratore con enfasi sul tema del modernismo post-bellico impersonale ed oggettivista, finendo per creare qualcosa di drammaticamente rappresentativo della propria epoca, eccezionalmente alla moda ed al tempo stesso, facilmente discutibile con il senno di poi. L’idea di ispirarsi più o meno direttamente ad una città costruita dal nulla in epoca contemporanea, nel frattempo, sembrò da subito perfettamente calzante, data la condizione derelitta in cui si trovava ancora il centro storico della strategicamente rilevante exclave lituano-polacca, già due volte di troppo coinvolta nei bombardamenti e le battaglie della seconda guerra mondiale. Il che aveva portato, tra le altre cose, al grave danneggiamento del magnifico castello dei Cavalieri Teutonici del XIII secolo della loro omonima Königsberg, demolito infine tra il 1969-70 piuttosto che restaurato a caro prezzo, con la scusa probabilmente scelta ad arte che potesse costituire un simbolo del fascismo storico di questi luoghi (benché gli fosse antecedente di circa 6 secoli, ma tant’è).
Quale miglior luogo, dunque, per edificare un nuovo grattacielo amministrativo dell’altezza di 28 piani, dove i rappresentanti del Partito giunti da Mosca potessero risiedere ed esercitare il proprio potere, in quella che potremmo definire unicamente come una monumentale, ponderosa ed abitabile allegoria…

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Benvenuti, maiali: costruito in Cina il primo super-grattacielo suino

Tra la fine del 2022 e i primi mesi dell’anno corrente, un grido di sdegno si è alzato gradualmente da un particolare angolo di Internet, riecheggiando tra le aule degli animalisti e chiunque altro abbia mai sentito prossimo il supremo Spirito del veganismo: gli abitanti della Cina, quel popolo pragmatico, industrioso, spregiudicato… L’avevano fatto di nuovo. Superando i crismi della tradizione, ribaltando il paradigma ereditato, un periglioso tuffo verticale fuori dall’immenso oceano dell’umanità. Così tramando, con gli empi gesti, contro il nostro beneamato quasi-fratello, pasto rosa con le zampe al centro della dieta di una grande maggioranza dei paesi, salvo fondamentali e ben radicate eccezioni. Un panino con le zampe, la salsiccia in grado di pensare, l’animale amico unicamente dal supremo attimo del suo decesso, quando si trasforma nella pratica sostanza che conduce verso la spietata sopravvivenza. Trasportato come nulla fosse dentro un cubo di crudele ferro e cemento!
Infernale d’altra parte non può fare a meno di apparirci, almeno in linea di principio, quel concetto dimostrato in modo tanto esaustivo dallo Hubei Zhongxin Kaiwei Modern Husbandry di Ezhou, nell’area centrale del paese, un colossale pseudo-condominio alto 26 piani al cui interno si sono già esaurite, nel giro di appena 12 mesi, svariate centinaia di migliaia di esistenze. Dal trogolo alla tomba, per così dire, dove il secondo di questi due luoghi si trova temporaneamente rappresentato nel caso specifico dal punto di passaggio dello stomaco umano. Ovvero la risposta pratica, ben presto destinata ad essere seguita da una pluralità di ulteriori esempi, al decreto del Ministro delle Risorse Naturali promulgato nel dicembre del 2019, su “Questioni relative alla gestione del territorio per l’agricoltura strutturale” un’apparente ossimoro effettivamente calibrato al fine d’introdurre, già nel titolo, l’inusitata congiunzione dell’allevamento zootecnico alla costruzione di strutture architettoniche complesse. Per allevare, come commentato enfaticamente da una certa quantità di testate approvate dallo stringente sistema mediatico del Regno di Mezzo, il maiale al piano di sopra. Una visione propedeutica al guadagno, di spazi, denaro e convenienza, in direzione inversamente proporzionale alla tremenda immagine che rappresenta. Vediamo, un po’ più nei dettagli, perché…

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Il tempio sul macigno che commemora l’arrivo nel Nuovo Mondo

L’uomo novantaquattrenne sulla sedia trasportata a braccio fino in spiaggia si sistemò brevemente la lunga barba bianca. Quindi con un guizzo improvviso di consapevolezza, indicò il punto designato e sembrò spostarsi fino al punto estremo della seduta, gridando con enfasi ai membri della sua congrega religiosa: “È lei, è lei! La vera roccia di paragone. Il sasso di volta dove nacque il sogno di questo paese, ovvero la libertà di tutti gli uomini di esser tutto quello che potevano diventare…”Doveva pesare all’incirca 9,1 tonnellate.
Per lungo, lunghissimo tempo scienziati, sociologi e professori si sono interrogati sull’effettiva ponderosità della storia. Invero era possibile, come paiono pensare alcuni, smontare il nostro passato, farne un commercio, atomizzarlo esponendone porzioni microscopiche all’interno d’innumerevoli musei ed istituzioni di varia natura? Oppure l’unica strada possibile è vedere le cose nel punto esatto in cui sono sempre state, come simbolo perfettamente tangibile di ciò che i nostri padri, e i padri dei loro padri, avevano pensato potesse rappresentare il culmine di un Grande Evento. O ancora i padri ovvero quel particolare gruppo di estremisti religiosi, avversi alle pesanti imposizioni della Chiesa Protestante, che nel 1620 salirono a bordo in 102 assieme ai 30 uomini dell’equipaggio del Mayflower, un piccolo veliero da trasporto o fluyt che avrebbero impiegato per attraversare l’Oceano Atlantico. Con l’obiettivo dichiarato di raggiungere la prima colonia americana di Jamestown in Virginia, se non che il tempo meteorologico, diversi contrattempi ed ostacoli sul loro tragitto, avrebbero finito per portarli in tutt’altro luogo: Capo Cod, Massachusetts. Presso quella che sarebbe diventata la colonia di Plymouth, secondo insediamento permanente nel territorio di quelli che sarebbero diventati un giorno gli Stati Uniti. Un luogo dai molti ricordi, oggigiorno, dove l’istituzione di un cosiddetto museo vivente commemora, dal 1947, la condizione attraverso i secoli dei nativi Patuxet, la cui alleanza ed il commercio sarebbero risultati cruciali per la sopravvivenza di questa gente, i loro figli e l’importante eredità che avevano costruito. E tutto a partire, almeno così si dice, dal momento in cui il primo di loro aveva posato il piede sul sacro granito Dedham di un macigno glaciale errante, collocato casualmente proprio nel punto in cui il primo di loro toccò terra, dopo aver firmato il documento destinato a diventare il Patto del Mayflower, il primo codice legale d’impronta democratica stilato in via specifica dai coloni di queste terre. Sasso destinato a diventare, dopo il suoi circa 600 milioni di totale indifferenza, un importante simbolo al punto da ricevere più volte significative attenzioni nel corso dei secoli a partire dal 1741, quando in un momento emblematico per la commemorazione storica statunitense, l’anziano Thomas Faunce dichiarò ad un pubblico gremito di averla riconosciuta nel congruo macigno che stava per essere seppellito, a causa della costruzione di un nuovo molo navale. Fino allo stato delle cose attuali, che la vedono chiusa all’interno di una gabbia aperta per un lato all’acqua di mare, sotto un tetto con colonne doriche che non sfigurerebbero in una ricostruzione del Partenone di Atene. Dopo tutto qui siamo in America, e non è certamente un caso se dall’altro lato della baia presso Provincetown, gli stessi pellegrini avrebbero ricevuto nel 1910 un monumento inaspettatamente identico alla torre del Mangia di Siena…

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