Tecnologie perdute americane: la singolare armatura degli irochesi

Ferocia, senso pratico e attenzione ai dettagli. L’aspetto del guerriero armato di arco e lancia che si aggira in mezzo ai tronchi del bosco è quello di un solido baluardo. Con l’alto cimiero ornato di una composizione di foglie, la corazza in legno solido ed un paio di rigidi parastinchi. Un grande scudo, articolato e flessibile, disposto in modo tale da proteggergli la schiena e le spalle. Lungi dall’essere una figura mitica o meramente immaginaria, egli è in effetti Malcolm Kahyonhakonh Powless-Lynes, archeologo sperimentale nonché discendente dell’antico popolo degli Haudenosaunee, a tratti saldi o disuniti, al punto da essere riusciti a perfezionare già molto prima dell’arrivo dei bianchi un particolare approccio ai problemi della vita non sempre tranquilla. E così contrariamente a ciò che si potrebbe essere inclini ad azzardare, egli non sta rievocando un qualche tipo di costume bellico appartenente alle genti Sumere o Babilonesi. Bensì un tipo di soluzione, oggi poco nota, utilizzata fino a quattro secoli prima di adesso tra i confini volubili di quelle terre.
Poiché alla fine indipendentemente dal proprio contesto culturale, l’essere umano è una creatura con due gambe, due braccia, una testa ed il comparto sensoriale che tende a derivarne. Per quale ragione dunque le metodologie impiegate al fine di risolvere i conflitti armati, scatenati da un vasto ventaglio di diversità d’opinioni, dovrebbero essere fondamentalmente diverse tra società di livello tecnologico ed organizzazione sociale simile? Come l’America precolombiana e l’Europa dell’Età della Pietra o del Bronzo (fatta eccezione, s’intende, per il bronzo. Che soltanto gli Aztechi avevano compreso oltreoceano e ad ogni modo, utilizzavano soltanto a scopo decorativo). Laddove esiste soprattutto in merito alle genti del settentrione degli odierni Stati Uniti e Canada, lo stereotipo del selvaggio seminudo con arco e frecce, che utilizzando tecniche di guerriglia balza fuori dai cespugli o si precipita da luoghi sopraelevati. Assaltando coraggiosamente il convoglio o la diligenza, mentre emette grida disarticolate senza nessun tipo di disciplina. Una visione chiaramente alimentata dal cinema hollywoodiano, che al tempo stesso trovava una corrispondenza pratica a partire da un particolare momento storico, quando i coloni inglesi, francesi e spagnoli cominciarono a calcare queste terre. Con una ragione pratica chiaramente identificabile: ciascuno di loro poteva, almeno in linea di principio, essere dotato di armi da fuoco. E a cosa servivano una precisa formazione di battaglia, una catena di comando, ufficiali ed eroi, di fronte alla morte improvvisa e incontrovertibile, consegnata al rombo di un bastone magico assassino? L’occasione d’altra parte di osservare una comunità organizzata di nativi che ne combatteva un’altra sarebbe notoriamente giunta verso la fine del XVII secolo, quando il delicato equilibrio nell’amministrazione territoriale, ed in particolare il commercio del pellame gestito dalla confederazione di tribù Irochesi ed i loro vicini, la nazione degli Uroni-Wendant, venne alterata da fattori esterni. Portando almeno nelle primissime battute al più recente, e nei fatti l’ultimo, grande conflitto tra popolazioni nordamericane ragionevolmente indipendenti. Ne parlò estensivamente nelle sue memorie di viaggio il navigatore, cartografo, esploratore e futuro governatore de facto della Nuova Francia, Samuel de Champlain (1567-1635) raccolte in modo particolare nel celebre volume Voyages et Découvertes del 1619, redatto su mandato parzialmente esplicito di Re Luigi XIII in persona. Un testo dalla monumentale importanza proprio perché le due fazioni oggetto di un simile approfondimento, per quanto avanzate dal punto di vista organizzativo, non padroneggiarono mai l’uso della scrittura essendosi piuttosto affidate per millenni alla cronologia tramandata oralmente dei loro saggi detentori della conoscenza. Un metodo il quale, per quanto ben collaudato, tendeva inevitabilmente a lasciar sfumare tutto quello che non aveva più un’impiego pratico evidente…

Champlain, combattendo a sua volta dalla parte degli Uroni e oltre il confine di quello che sarebbe diventato un giorno il Canada moderno, parlò allora lungamente delle complesse fortificazioni dei villaggi impiegate da ambo i lati di quello che sarebbe diventato il lungo e sanguinoso conflitto delle guerre dei castori (1609-1701) una serie di battaglie per procura inizialmente problematiche da gestire per francesi ed inglesi, ma che in seguito avrebbe avuto l’utilità pratica di contribuire alla depopolazione di quei luoghi che attendevano soltanto di trovarsi all’ombra di diverse bandiere. Giacché Irochesi e Uroni, lungi all’essere genti pacifiche inclini a vivere in armonia, si erano già combattute a più riprese attraverso le epoche trascorse, giungendo a un codice guerriero non meno complesso e approcci conflittuali dall’elevato grado di raffinatezza. Senza tralasciare l’occasionale impiego delle incisioni tipografiche popolari in quegli anni, con diverse tavole dedicate ai costumi, le armi e le armature dei nativi. Una delle quali è stata scelta in modo esplicito da Mr. Kahyonhakonh, proprio al fine di concepire e architettare la riproduzione dell’armatura posseduta in origine dai propri avi. Una commistione artigianalmente complessa di multipli materiali, a partire dal legno di frassino impiegato per il pettorale in una serie di listelli, perfettamente in grado di deviare la punta di pietra di una freccia o lancia, o distribuire l’impatto di un colpo di clava. Le cui componenti legate assieme, nei termini impiegati dallo stesso cronista francese coévo, avrebbero fatto uso di cotone benché ciò appaia oggi giorno improbabile, per l’assenza di tale pianta alla latitudine corrispondente all’area geografica presa in considerazione. Così che l’irochese dei nostri giorni ipotizza l’utilizzo, al posto di questa pianta ideale, di fibre lavorate a partire da milkweed (g. Aclepias) o dogbane (g. Apocynum). Con un’interpretazione ancor più speculativa per quanto concerne le protezioni delle gambe, disegnate in modo non troppo dettagliato dall’originale illustratore, che avrebbero potenzialmente incluso pelle, strisce d’osso o altro materiale di derivazione animale. Maggiormente chiara risulta essere d’altronde, grazie all’inferenza, la natura e l’utilizzo del versatile scudo dorsale in legno più leggero, che i guerrieri potevano dinamicamente rimuovere ed utilizzare come protezione frontale nel corso degli assalti alle palizzate nemiche. Una parte dell’armamentario che avrebbe in effetti continuato a persistere nel corso dell’intero secolo di battaglie con alcune rivisitazioni, nonostante entrambe le fazioni avessero iniziato ad impiegare i moschetti forniti dagli europei. Va da se in effetti che un’armatura realizzata quasi interamente in legno ha ben poche possibilità di deviare o scansare non soltanto il pericolo di palle lanciate da una canna di fucile, ma anche il taglio di armi costruite con quel minerale rimasto ineffabile in questi lidi, il ferro. E c’è più di una menzione, nei resoconti scritti dagli europei delle colonie, di formidabili guerrieri abbattuti con umili strumenti della vita civile, quali asce da boscaiolo o attizzatoi per il fuoco. C’è davvero tanto da meravigliarsi, dunque, se a partire da quel fatidico momento del contatto, i nativi scelsero di abbandonare i loro vestimenti marziali, andando all’assalto privi di superflue protezioni ed impiegando unicamente la tattica del mordi e fuggi?

L’assioma nel settore dei conflitti armati è d’altra parte duplice, in merito al fatto che la guerra possa cambiare o meno col passare ed il succedersi dei livelli tecnologici operanti. Così che i fondamentali motivi per passare alle salienti vie di fatto, in qualunque momento o contesto storico, possono ricondursi ad una serie di concause dolorosamente chiare. Ma è fondamentalmente la tecnologia, più di ogni altra cosa, a determinare la rapidità e l’intensità con cui le cose tendono immancabilmente a degenerare. Le guerre dei castori furono in effetti uno dei momenti più tragici nella storia nordamericana fino a quel momento, con gli irochesi in modo particolare attrezzati e dotati per la prima volta del tipo di strumenti necessari a sterminare i propri rivali per esplicito volere degli inglesi. Laddove la Francia esitò sempre, per una serie di ragioni tutt’altro che altruiste, nel fornire armi da fuoco ai “selvaggi” del Nuovo Mondo. Con il risultato di una vera e propria prova tecnica di genocidio, parzialmente agevolata dalla diffusione del colera, la scarlattina ed il vaiolo. Il cui seguito, ahimè, ben conosciamo. Giacché non esiste alcun tipo di vestimento abbastanza solido ed impenetrabile, per proteggerci da microbi come i virus e batteri. Che un giorno potrebbero riuscire a ereditare la Terra, dopo averne asservito totalmente gli abitanti più complessi ed orgogliosi nonostante i presupposti. Del tutto inermi e dolorosamente inconsapevoli, di fronte all’invisibile consorzio strisciante.

Lascia un commento