L’adorabile groviglio di tentacoli scovato grazie ai video amatoriali dello stretto indonesiano

Sebbene ci siano molti animali dall’aspetto notevole nel mondo, è decisamente alquanto raro che singole specie vantino un appellativo che parrebbe uscito da un fumetto dei supereroi. L’incredibile… Wunderpus, invisibile cervello manipolatore degli ambienti abissali. Che li protegge dagli agguerriti nemici della natura? D’altronde, va pur detto che la maggior parte delle volte le categorie genetiche tendono ad essere identificate grazie ad analisi fenotipiche o all’interno di asettici laboratori, dove l’uso della nomenclatura binomiale con generoso uso di parole greche o latine viene considerato un orgoglioso marchio di fabbrica nell’ambiente della scienza accademica e quelli che si muovo al suo interno. Perennemente attenti, sempre indaffarati, intenti a manipolare attrezzatura, provette, terminali e microscopi più o meno elettronici, spesso allo stesso tempo. Cui farebbe indubbiamente comodo, tra tutti, la saliente dotazione di quattro paia di braccia. Il che potrebbe spiegare, almeno in parte, il fascino innato posseduto dall’intero ordine degli Octopoda e più in particolare, nel distintivo gruppo capace di mimetizzarsi, cambiare forma ed un cervello abbastanza complesso da farne buon uso. Ecco un esempio, se vogliamo, delle maniere imprevedibili in cui opera l’evoluzione: fino alla creazione di una creatura dal corpo molle, quasi totalmente priva di difese degne di nota e totalmente vulnerabile per quanto concerne i predatori. Ma infinitamente più scaltra, rispetto a loro. Un tipo di dicotomia ancor più applicabile nel caso della specie in oggetto, scoperta formalmente nel 2006 pur essendo ritenuta quanto meno probabile da un tempo esponenzialmente più lungo, vista la ridotta efficienza del suo organo produttore d’inchiostro, nei fatti non più funzionale al fine di creare la caratteristica nube di dissimulazione tipica dei cefalopodi soggetti a fattori di pericolo o disturbo. Più volte comparso e casualmente noto come “polpo dai tentacoli sottili” all’interno d’infiniti filmati di vacanze indonesiane girati all’interno del biodiverso stretto di Lembeh, ma anche nelle Filippine o presso l’isola di Vanuatu, il Wunderpus photogenicus (che ci crediate o meno, questo è il chiaro sottotesto del suo cognome) era inoltre riconoscibile per un’altra prerogativa almeno in apparenza controproducente alle sue prerogative di sopravvivenza. Sto parlando del possesso di una colorazione a strisce color mattone ragionevolmente riconoscibile anche una volta cambiato colore grazie all’uso dei fotofori, andando ad inficiare proprio quelle caratteristiche di mimetismo giudicate normalmente necessarie allo stile di vita ottuplice degli abissi marini. Lasciando come unica strategia disponibile al nostro amico quella dell’autotomia e successiva rigenerazione di uno dei propri preziosi arti serpeggianti, cui non è propriamente conveniente far ricorso a meno che si tratti dell’ultima residua possibilità di salvezza. Nessuno aveva mai pensato, in fin dei conti, che la vita dei molluschi potesse risultare semplice, sotto la coperta perpetua delle onde oceaniche del tutto indifferenti allo splendore dei loro abitanti…

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Oh, pittore per antonomasia: qual mirabile pennello ha tinto l’ali di cotanta falena?

“Non andartene docile in quella buona notte, metamorfosi dovrebbe ardere e infierire quando cade il giorno; infuria, infuria contro il morire della luce” E sia! Molti tendono a tralasciare la saliente maniera in cui qualsiasi personalità creativa, sia l’individuo un pittore, musicista o poeta come Dylan Thomas, avesse in se il potenziale di diventare un entomologo. Poiché non è forse proprio tale categoria di esseri viventi, gli insetti, la più fenomenale testimonianza dell’ineccepibile capacità creativa della Natura, l’efficace dimostrazione che la bellezza può derivare dall’utilità, intesa come capacità di sopravvivere perpetrando una particolare soluzione dei problemi che ci rendono quasi fratelli? Contrattempi generalmente privi di fascino, quali il bisogno di mangiare, difendere il territorio, riprodursi… Essere il perfetto bruco e quindi l’infallibile farfalla. Scintille d’energia dinamica nella foresta museale di un certo mondo. E tutto ciò che inevitabilmente tende a derivarne. Se stessi compilando una fiaba, dunque, affermerei a questo punto: “C’era una volta un lepidottero. Il cui volo era tormentato da un migliaio di pericoli alla volta. Così come suo padre, sua madre e l’incalcolabile progressione dei suoi antenati, egli zigzagava schivando il becco d’uccelli. E ogni volta si posava aspettando le fauci di fiere in agguato, come gatti, mustelidi o i figli della stirpe scimmiesca.” Meno rara di quanto poteste pensare, nel saliente caso! Ci troviamo, dopo tutto, nel Sud Est asiatico e in India. Dove sin dall’epoca della fondazione di antiche discipline o religioni, la regola non scritta della meraviglia sembrerebbe aver determinato il corso di un trasversale destino. “Perciò il lepidottero scelse di essere come l’acqua che riflette il cielo. Scelse di sembrare molte cose allo stesso tempo.” Immagino abbiate capito ciò a cui sto alludendo. O quanto meno, a questo punto, la foto abbia sortito il doveroso effetto; poiché questo non è un insetto, nella propria forma adulta, che allinei la propria livrea all’aspetto di un pezzo di corteccia o la superficie di una foglia. Nossignore, Linneo. E lo stesso Darwin si sarebbe interrogato su quale processo di selezione potrebbe aver condotto per vie impreviste a qualcosa di tanto lontano dal consueto. Dopo tutto, questa specie scoperta, descritta e classificata per la prima volta nel 1882 in un catalogo illustrato del grande entomologo Frederic Moore, sembrerebbe essersi meritata a pieno titolo l’appellativo scientifico di Baorisa hieroglyphica. Con un diretto riferimento, per l’appunto, alla variopinta e complessa scrittura pittografica dell’antica civiltà egizia. Benché la più immediata ed istintiva sapienza popolare avrebbe preferito, in seguito, un riferimento ad uno dei più grandi creativi ed uomini più famosi del Novecento: Pablo Picasso in persona, utilizzatore in determinati “periodi” della sua carriera di armonie contrastanti di salienti colori. Così come quelli disposti, tanto artisticamente, sull’ali della nostra fluttuante amica…

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Eppure, credevamo di conoscere fino all’ultimo dei gechi volanti!

Ptychozoon è il genere di piccole lucertole, principalmente arboricole, all’interno della famiglia dei gechi dell’Asia Meridionale, famosa per il proprio aspetto distintivo ed alcuni tratti insoliti del proprio comportamento difensivo. Pur possedendo la stessa fondamentale caratteristica dei piedi lamellari, capaci di aderire a qualsiasi superficie verticale e camminare invertiti sui soffitti, la loro strategia principale nel momento in cui subiscono una minaccia prevede l’immediato distacco dalla relativa sicurezza di un punto d’appoggio sopraelevato. Per fluttuare, librandosi, giù dalla canopia e verso rami, tronchi o il suolo distante. Ciò sfruttando principalmente il proprio peso ridotto e l’agilità che ne consegue, ma anche la sovrabbondanza di pelle che circonda i loro fianchi, zampe, coda e i lati della testa, tale da giustificare un altro noto soprannome nel linguaggio comune: geco dal paracadute, sempre pronto da sfruttare nel momento del bisogno assieme all’ottimismo di un punto d’atterraggio migliore. Così descritto e classificato dal punto di vista tassonomico già nel secondo decennio del XIX secolo, grazie all’opera in parallelo dei naturalisti Kuhl e van Hasselt, questo gruppo di astuti corridori tra i recessi cortecciosi dell’esistenza, notturni e principalmente insettivori, hanno affascinato gli studiosi nell’intero corso dello scorso secolo fino all’individuazione di 12 specie distinte, differenziate per livrea, stazza e rapporto delle dimensioni tra gli arti e la coda, nonché nel corso dell’ultimo decennio particolari aspetti del loro codice genetico, emersi grazie agli utili strumenti dell’analisi molecolare. Nessuno delle quali soggette a significativi rischi di conservazione grazie all’areale ampio e la buona capacità di adattamento di queste creature, con una distribuzione alquanto prevedibile tra i territori di India, Cina e l’intero Sud-Est Asiatico inclusa l’Indonesia. Incluse le remote, difficilmente raggiungibili montagne di Arakam al confine con il Tibet, dove si riteneva prosperasse soprattutto la specie del G. lionotum o geco volante burmese dalla schiena liscia, almeno finché lo scorso aprile non è stato pubblicato lo studio incoraggiato da Zeeshan A. Mirza dell’Istituto Max Planck di Biologia, assieme ad alcuni colleghi del dipartimento zoologico della locale Università di Mizoram, capace di mettere in discussione l’assunto accademico latente. E dare il benvenuto, nel novero di questi distintivi abitanti della foresta, ad un nuovo imprescindibile protagonista…

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La maschera mediterranea della mantide sottile dai molti colori

Territorio al centro della colonizzazione umana fin da tempi relativamente antichi, tramite l’aggregazione dei gruppi sociali che un giorno avrebbero portato a civiltà, insediamenti agricoli e un giorno alle metropoli contemporanee, l’Europa non conosce più quel tipo di foreste selvagge, praterie incontaminate o vere e proprie oasi biologiche, che ancora sopravvivono in mezzo ai confini di altri continenti del nostro affollato pianeta. Il che non significa, necessariamente, che la natura più selvaggia si sia totalmente ritirata dai nostri lidi, lasciando posto solamente ad animali domestici o egualmente privi di originalità circostanziale, quali gatti, cani, qualche ragno, piccioni. Il fatto che un’atipica o notevole presenza possa essere soltanto definita come “rara” dovrebbe forse farcela declassare come meno rappresentativa di un particolare ambito geografico? Dipende. Molti entomologi dei nostri giorni, di loro conto, sono pronti a entusiasmarsi e sfoderare gli strumenti tassonomici dell’analisi più approfondita, ogni qual volta si ritrovano in un prato assolato delle nostre terre. Soltanto per scorgere, con la coda dei propri sguardi, una presenza filiforme che ritmicamente oscilla avanti e indietro, avanti e indietro quasi fosse un rametto vegetale fatto muovere dal vento. “Sono foglia, sono foglia. Sono solamente una foglia!” Sembra dire come un mantra la Empusa pennata o mantide a testa di cono, o ancora “diavoletto” per l’aspetto alquanto aggressivo dei suoi tratti somatici geometricamente appuntiti. Non che il nome scientifico risulti necessariamente rassicurante, essendo preso in prestito direttamente dalla mitologia greca, con riferimento alle mostruose ancelle della Dea notturna Ecate, succhiatrici mutaforma del sangue dei viaggiatori. Un po’ come la portatrice che non supera i 10 cm di quel nome, nel suo piccolo, costituisce il terrore in paziente attesa d’insetti volanti o deambulatori, rapidamente catturati con un gesto calibrato dei due arti raptatori frontali, che ricordano l’approssimazione biologica di falci fatte per distruggere qualsiasi cosa gli capiti a tiro. Mentre per quanto concerne la qualifica nominale di pennata, essa è facilmente rintracciabile all’aspetto delle antenne particolarmente visibili nel maschio, ma presenti anche nella femmina, caratterizzate dalla forma simile alle venature di una foglia. Un prodotto funzionale dell’evoluzione, utile a rilevare l’emissione feromonica dell’altro sesso, facilitando e velocizzando l’essenziale processo di accoppiamento. Il che apre la strada a un’importante tratto di differenziazione di questi animali, rispetto allo stereotipo che gli viene comunemente attribuito: sto parlando della quasi totale assenza della pratica del cannibalismo, ai danni del partner di dimensioni minori subito dopo l’accoppiamento, notoriamente praticato dalla femmina nel caso di molte specie cognate. Quasi come simili presenze, avendo preso nota dello stato non propriamente iper-solido della loro popolazione in costante calo (nonostante la classificazione nominale di specie LC – “Non a rischio”) le mantidi avessero imparato a conservare per quanto possibile la vita dei propri simili. Ma non quella delle vittime designate al sopraggiungere, giorno dopo giorno, dell’ora di pranzo…

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